Speranza
Improvvisamente sentii la porta aprirsi e dei passi avvicinarsi a me. Aprii gli occhi immediatamente. Accanto a me si stava sedendo Fhara e le altre ragazze che erano state portate via con lei facevano lo stesso, posizionandosi ai loro posti.
-Ciao Quinn, che ci fai qui?
Chiese lei, sgranando gli occhi come era solita fare quando chiedeva qualcosa.
-Beh, dove altro dovrei essere?
-Io credevo... insomma, quando ce ne siamo andate nessuno ti ha chiamata, quindi pensavo ti chiamassero di mattina.
-Chiamassero? Non so di cosa tu sia parlando.
-Come? Non sai perché viviamo qui? Perché la maggior parte delle notti ci allontaniamo?
-No, nessuno me ne ha parlato.
Fhara sembrava letteralmente sconvolta.
-In pratica noi...
Stava per iniziare a spiegare quando la porta si aprì e un ragazzo, che riconobbi subito si avvicinò a me.
-Andiamo?
Chiese Chirag facendomi segno di alzarmi.
Lanciai un'occhiata a Fhara che sembrava confusa, cercai di rassicurarla con un sorriso e raggiunsi Chirag alla porta. Ci incamminammo per il corridoio del giorno precedente, mentre il mio cuore batteva a mille. Avrei dovuto rivedere Daniel e comunicargli la mia decisione. Mi venne in mente quando ero nuova nella società degli stati Uniti e avevo paura di Justin, alla fine avevo scoperto che non era un tipo così tanto temibile. Qualcosa mi diceva, però, che Daniel lo era veramente. Non sembrava avere un punto debole, il che era impossibile. Tutti ne hanno uno.
-Hai... hai deciso?
Chiese Chirag evitando il mio sguardo.
-Si.
-Allora?
-Non sarò fedele alla società. Non tradirò i miei principi.
E tantomeno Justin. Aggiunsi nella mia testa. Sapevo che sarebbe stato difficile, ma preferivo non dover convivere con il tormento di allearmi con il nemico.
-Te ne pentirai.
Disse posizionandosi davanti a me. Sembrava seriamente preoccupato per me, non era una minaccia la sua.
-Senti, non so se me ne pentirò o no, ma sento che questa è la decisione che devo... a cosa ti serve quella?
Chiesi indicando una telecamera che aveva in mano. Non la avevo notata prima di allora.
-Ascolta, non è una cosa buona quella che stai per fare, né per me né per te.
Ignorò completamente la mia domanda.
-Per te?
-Si, odio doverlo fare, ma dovrò e sarà tutta colpa tua.
-Fare che cosa?
Se c'era una cosa che odiavo più di tutto erano i segreti che nessuno mi voleva spiegare. Nella società degli Stati Uniti ne avevo dovuti scoprire così tanti che alla fine avevo messo nei guai Stivie più volte pur di conoscerli.
Chirag mi ignorò, continuò a camminare e, quando raggiunse la porta del capo, una voce parlò in un'altra lingua. Chirag spinse la porta e mi fece entrare, chiudendola subito dopo.
-Oh, Quinn. Che bello divederti.
Il camino era acceso, benché non facesse tanto freddo. Daniel era seduto sul divano rosso, sfogliando ciò che sembrava un catalogo. Quando lo posò sul tavolo notai che era un catalogo di armi e trasalii.
-Non potrei dire la stessa di te.
Bofonchiai.
-Non mi avevano detto che eri così simpatica.
Daniel si alzò e mi raggiunse. Sorrideva divertito.
-Beh, novità? Cosa mi dici della tua scelta?
-Non sarò mai fedele a questa società, né ora né mai.
Sentii un bip alle mie spalle e notai che Chirag aveva acceso la videocamera.
-Perché voi donne volete rendere tutto così complicato?
Daniel sembrava infastidito.
-Per una volta che potevo raggiungere i miei scopi senza la violenza arrivi tu.
Rimasi in silenzio, a testa alta, non mi avrebbe fatto cambiare idea.
-Chirag, sai cosa fare.
Daniel si allontanò da me e impugnò la telecamera, direzionandola verso di me.
-Cosa avete intenzione di fare?
Mi voltai verso di Chirag sperando che, almno lui, mi avrebbe risposto. Sembrava un ragazzo dolce, l'unico con dei sentimenti, non mi avrebbe torto neanche un capello.
-Lo scoprirai presto.
Disse Daniel alle mie spalle. Mi stavo per voltare dalla sua parte, quando Chirag mi buttò a terra. Non lo aveva fatto con forza, ma io ero impreparata e persi l'equilibrio cadendo sul pavimento, urtando la spalla destra. Mi voltai a guardarlo, sembrava in colpa. Daniel gli urlò contro qualcosa in indiano, io non riuscii a capire, ma, qualunque cosa fosse, Chirag corrugò le sopracciglia e e mi guardò con aria di sfida. Indietreggiai strisciando a terra. Perché si comportava così? Chirag, quello che non mi voleva fare male, si era trasformato in una creatura che sembrava infuriata con me.
Avvicinò le sue mani a me e mi sfilò la maglia nera a maniche lunghe che indossavo. Pensavo che mi volesse violentare, ma contro ogni aspettativa si voltò di spalle per raggiungere uno dei tre divani in mezzo alla stanza. Feci per alzarmi ed ero lì lì per tirarargli un pugno, quando ne ricevetti io uno alle mie spalle. Ricaddi a terra con un tonfo e mi raggomitolai con le ginocchia al petto per il dolore.
-Stati Uniti non ti ha insegnato a non colpire alle spalle?
Chiese Daniel divertito.
-E' quello che hai appena fatto tu.
Solo quando aprii bocca mi accorsi di come la mia voce fosse debole. Daniel, per tutta risposta, mi sferrò un calcio alle gambe.
-Sta zitta.
Tuonò. In quel momento mi sentii afferrare le caviglie. Cercai di divincolarmi, ma invano. Chirag era inginocchiato di fronte a me e mi teneva stretta per sfilarmi i pantaloni. Ero intenzionata a tirargli dei calci in faccia, ma la sua presa era troppo forte. Nel momento in cui mi lasciò pensai di farlo, ma lui, velocemente si piazzò accanto a me e sfuggì dal raggio d'azione dei miei piedi. Mi tirò su per un braccio, la sua presa era forte e per niente delicata. Mi tenne le braccia in alto. Pensavo mi volesse soltanto tenere ferma per torturarmi, quando sentii cadere qualcosa di fresco e candido sulla mia pelle. Lui si allontanò e io mi guardai. Era un vestito come quello delle altre ragazze, solo che non era grigio, era bianco. Realizzai che probabilmente anche il loro era stato bianco in passato e adesso aveva perso il suo splendore a causa della polvere, della sporcizia e forse del sangue. In realtà avevo notato che alcune ragazze erano vestite con un tessuto più scuro di altre, forse perché vivevano da più tempo lì.
-Beh, cosa ne pensi?
Credevo che Daniel parlasse con me ed ero sul punto di rispondergli, quando vidi che stava inquadrando il suo video e parlava alla telecamera.
-Non è molto meglio questa tenuta candida rispetto ai vestiti neri della tua società, Stati Uniti?
Stava parlando con Justin, probabilmente gli avrebbero mandato il video.
-E aspetta di vedere la parte migliore.
Chirag mi prese alla sprovvista e con una manata mi fece tornare a terra, con la schiena sul pavimento freddo. Appoggiò una scarpa sulla mia spalla sinistra, in modo che non riuscissi a muovermi. Lo guardavo dal basso e mi sentivo come schiacciata dal suo potere, completamente indifesa. Tutte le botte che avevo ricevuto iniziavano a fare male sempre di più e quella posizione di certo non giovava alla mia salute. Chirag afferrò la telecamera e me la puntò contro. Mi voltai dalla parte opposta per non dargli soddisfazione, non volevo che Justin mi vedesse in quel modo, anche se probabilmnente non gli avrebbe fatto né caldo né freddo, visto che mi aveva abbandonata. Daniel, che intanto si era allontanato verso il camino, tornò con in mano qualcosa di lungo e sottile. Mi sembrò un bastone di ferro. Si chinò su di me e abbassò la spallina del vestito, dalla parte del braccio destro, lontano dal piede di Chirag.
-Rimpianti?
Chiese guardandomi negli occhi.
-No.
Risposi secca. Ogni parte del mio corpo gridava al mio cuore di lasciar perdere Justin ed evitare tutto quel dolore, ma lui non voleva che sentirne.
-Paura?
-No.
La mia voce tremò un po' e Daniel rise.
-Bene, caro Stati Uniti, guarda come la tua ragazza diventa una di noi.
Sorrise verso la telecamera e subito dopo si voltò di scatto verso di me. Se non avessi avuto il piede di Chirag a fermarmi sarei rotolata su me stessa per evitare che il ferro incandescente mi toccasse, ma non potei farlo. Quando quel bastone di metallo infuocato toccò la mia pelle urlai. Per un momento mi parve di poter sopportare il dolore, ma subito dopo cominciai a muovermi su me stessa per sottrarmi a quella pena spaventosa. Daniel faceva pressione su di me con il pezzo di ferro in mano, puntato sul mio petto, giusto qualche centimetro sotto la clavicola.
-Basta! Basta!
Urlai involontariamente. Ogni secondo che passava il dolore aumentava, credevo che a un certo punto avrebbe raggiunto il picco massimo e sarebbe diminuito, ma mi sorprendevo ogni volta quando mi accorgevo che la fine non arrivava mai e il bruciore aumentava sempre di più. Conficcai le mie stesse unghie nella carne dei palmi delle mani finché Daniel non si allontanò da me, portando con sé il metallo ardente. Chirag tolse il piede dalla mia spalla e indietreggiò. Cercai di tirarmi su e ricompormi, ma la spallina del vestito urtava proprio sulla ferita, dove avrei voluto versargli una bottiglia intera d'acqua. Alla fine riuscii adalzarmi. Stavo con la schiena piegata e con la mano sulla pelle bruciata.
-Ora posso annunciare ufficialmente, Quinn,che sei entrata a far parte della mia società. Sei mia adesso.
Quelle parole mi fulminarono, avevo fatto tanto per non volerne a che fare ed era stato tutto inutile. Non sarei stata fedele, ma mi ero procurata lo stesso il marchio e la divisa di quel posto.
-Saluta Stati Uniti.
Disse sottraendo a Chirag la telecamera e puntandomela contro. Abbassai gli occhi, forse un po' in imbarazzo. Justin mi avrebbe vista così vulnerabile, avrebbe visto come era riuscito a spezzarmi, mi sentivo male.
-Forza, Quinn. Non fartelo ripetere.
Mi portò una mano sotto il mento e fui costretta ad alzare il collo e a guardare verso l'obiettivo.
-Dì qualcosa.
Mi ordinò. Fissai la telecamera come se veramente di fronte a me ci fosse Justin, come se potessi trasmettergli tutti i miei pensieri.
-Ricordi l'ultima cosa che mi hai chiesto alla vendita? L'ho fatto.
Non sapevo se se lo sarebbe ricordato, ma sperai vivamente di si. Io non avrei mai dimenticato quelle ultime parole e speravo che per lui fossero state significative quanto per me. Mi aveva detto "perdonami solo quest'ultima volta" e io lo avevo fatto. Non sapevo se la sua era una vendetta, se non gli interessavo più , ma io lo avevo perdonato, infondo io avevo fatto di peggio in passato.
-Di che stai parlando?
Chiese Daniel muovendo il piede ininterrottamente, segno che era spazientito. Non risposi e lo guardai negli occhi.
-Di che cosa stai parlando?
Chiese di nuovo Daniel. Rimasi in silenzio, non erano affari suoi. Mi arrivò uno schiaffo che mi fece girare la testa dall'altra parte.
-Devi rispondere quando ti parlo, io qui sono il capo, anche se ti fa fatica ammetterlo. E tu sei sotto i miei ordini.
-Se non rispondo che mi fai? Mi ucciderai? Non penso proprio visto che hai detto che ti servo.
Probabilmente dopo di questa sapevo che mi avrebbe ucciso all'istante. Invece mi sorprese quando abbassò la spallina del vestito e premette un dito sul marchio, soffocai un grido.
-Portala via Chirag, non ci serve più per oggi.
Disse lui dopo un po' abbassando la telecamera. Mi aggiustai il vestito e posai una mano appena sotto il collo dolorante. Chirag mi afferrò per il braccio e mi trascinò fuori.
Camminammo in silenzio a lungo.Quel ragazzo che sembrava volermi aiutare non era affatto intenzionato a farlo. In più Justin mi avrebbe vista maltrattata, mi chiesi cosa pensasse di me. Gli interessavo ancora? Se si, cosa avrebbe fatto? Era significata qualcosa la mia ultima frase per lui? Odiavo il fatto che qualunque cosa facessi o pensassi mi ritrovavo sempre con Justin in testa. E ogni volta che succedeva, puntualmente, mi saliva un nodo alla gola.
Raggiungemmo la porta della solita stanza.
-Senti, ti avevo avvertito di non farlo.
Disse Chirag appoggiandosi alla porta, per evitare che la aprissi.
-Non me ne pento.
Risposi prontamente.
-Io si. Mi pento ti di non averti dissuaso dall'idea fino in fondo.
- Sembrava che provassi una certa soddisfazione a picchiarmi.
-Ascolta, non ero soddisfatto. E' solo che il capo mi ha minacciato in indiano. Non potevo non seguire le sue regole. Ho dovuto farlo.
Ricordai di quando Daniel gli aveva ordinato qualcosa in indiano e io non avevo capito. Lui aveva obbedito come un cagnolino.
-Se avessi voluto avresti potuto dirgli qualcosa.
Pensai a come Justin si comportava all'inizio, quando ancora non stavamo insieme. Ogni volta che qualcuno lo contraddiceva finiva male.
-Non si può lottare contro il capo, Quinn.
-Perché?
Sapevo che non mi avrebbe saputo dare una risposta.
-Perché è così e basta.
-E se qualcuno volesse esprimere la propria opinione?
-Può, ma non di fronte a Daniel. Non puoi contraddirlo, non puoi. E' un consiglio che ti sto dando.
-Beh, io ho contraddetto il capo della società Statunitense parecchie volte e sono ancora qui.
Risposi secca. Lui non seppe che dire, si scansò e lasciò che io aprissi la porta ed entrassi nella stanza. Mi voltai verso di lui prima di richiuderla, sembrava turbato, come se lo avessi lasciato senza paole e con molto da pensare.
Mi incamminai verso il mio angolo della stanza, non volevo fare altro che raggomitolarmi e cercare di prendere un po' di pace. Stavo per sedermi quando sentii delle ragazze alle mie spalle bisbigliare qualcosa. Ovviamente parlavano in un'altra lingua e le ignorai, ma poi le sentii pronunciare il mio nome. Mi voltai verso di loro, mi stavano guardando a bocca aperta.
-Speravo fossi tu.
Disse Fhara alle mie spalle. Mi voltai, stava sorridendo.
-Di che stai parlando? Che succede?
Avevano tutti gli occhi puntati su di me.
-Siediti qui.
Disse una ragazza, con un accento che mi fece faticare per capirla. Indicò il centro della stanza e io obbedii.
-Non pensavo esistessi davvero.
La ragazza mi afferrò un braccio e lo toccò delicatamente, mi chiesi cosa stesse facendo quando lo guardai. Stava sfiorando il tatuaggio della soccietà degli Stati Uniti. Il nostro marchio, quello che mi aveva fatto Stivie. Il triangolo, che simboleggiava l'unita, il simbolo dell'infinito al suo interno che simboleggiava il fatto che la società era per sempre (ironia della sorte proprio io la stavo per distruggere) e la croce in alto che ricordava ai soci che chi non rispettava il codice nlla maggior parte di casi moriva.
-Come fate a conoscermi?
Chiesi.
-Le notizie girano in fretta.
Una ragazza disse qualcosa alle mie spalle, mi voltai, aveva parlato in indiano.
-Tu ci dai speranza.
Mi voltai a destra. Fhara aveva appena tradotto.
-Io?
-Tu hai quasi distrutto la società degli Stati Uniti, hai avuto la forza per combattere.
Spiegò la ragazza dall'accento marcato. I suoi occhi verdi erano seri, mentre io mi sentivo così a disagio con gli sguardi di tutti puntati contro che credevo mi prendessero in giro.
Una ragazza alle mia sinistra disse qualcosa in indiano, mi stavo per voltare, ma prontamente Fhara tradusse.
-Molte di loro pensano che potrai salvarle, come hai fatto con te stessa.
-Insieme siamo forti, possiamo combattere questo sistema sbagliato.
Si approntò a rispondere la prima ragazza, di fronte a me.
-Sei un mito per noi e per i prigionieri delle altre società.
Non avevo mai pensato che la mia notizia potesse fare il giro del mondo.
-Non conoscevamo la tua faccia, ma conoscevamo la tua storia e il tuo nome per sentito dire. Alcune pensavano fosse una leggenda che gli altri delle altre società si erano creati per avere una speranza. Io sapevo che esistevi.
Una ragazza alla mia destra aveva parlato in indiano e Fhara aveva tradotto tutto velocemente.
-E' davvero molto dolce, ma io non posso fare nulla per voi, scusate.
Mi sentivo in imbarazzo, credevano che io avessi rovinato la mia società, ma in realtà era stata la debolezza, non avrei voluto farlo davvero, avevo solo liberato un ragazzo per i miei sensi di colpa.
Non ero davvero brava come pensavano e a giocare quel ruolo mi sentivo solo una bugiarda.
-Si, invece puoi. Quando troverai un modo per sfuggire ci porterai con te.
-Se fosse così facile, se sapessi come fare non credete che io sarei già fuggita? Ascoltate, non so quello che voi pensate di me, ma non sono coraggiosa e brava.
Stavo per alzarmi e lasciare cadere lì la conversazione. Loro volevano che le aiutassi a fuggire, mentre io puntavo di morire là dentro, visto che non c'era via d'uscita. Neanche una finestra in tutto l'edificio, niente. Mi chiesi se fossimo sottoterra.
-Ma unite ce la faremo.
Disse una voce alle mie spalle, era di una bambina. Mi voltai, stava accanto a me e in piedi era alta quanto me seduta. Mi guardava con gli occhi gonfi dal pianto. Erano scuri scuri e profondi, sembravano raccontare molto. I capelli le arrivavano a metà spalla e indossava un vestitino bianco, proprio come il nostro, solo più piccolo e molto più sporco del mio. Le gambine nude erano fine come non mai. Poteva avere circa quattro o cinque anni e adesso stava davanti a me con l'indice e il medio della mano destra in bocca. Era una bella bambina, se non fosse stato per un tremendo graffio che le partiva dal sopracciglio e le arrivava fino al mento. Sembrava preoccupata. Non pensavo che una bambina di quell'età dovesse mai avere quell'espressione.
Non sapevo cosa dirle, era del tutto scontato avere una speranza di salvare tutte quelle persone.
-Ehy, tesoro. Da quanto tempo non ti vedo. Vieni qui.
Fhara allungò un braccio e prese la bimba per una spalla. Lei goffamente andò tra le sue braccia e si fece cullare. Quella bambina non meritava tutto quello a vederla mi si spezzava il cuore. Dove era la mamma? In quel momento mi sentii toccare la spalla sinistra. Mi voltai, distraendomi dallo spettacolo pietoso di Fhara, e vidi altre due bambine. Assomigliavano molto alla prima, ma queste sembravano più grandi, sette o otto anni circa,erano meno preoccupate, quasi rassegnate. Avevano dei graffi sulle braccia. E solo in quel momento notai quanto si assomigliassero, erano gemelle.
Dissero qualcosa in un'altra lingua e la ragazza di fronte a e tradusse.
-Ci aiuterai, vero?
Diedi un'ultima occhiata a Fhara e la prima bambina che si erano lasciate dall'abbracccio e si tenevano per mano. Non potevo non fare qualcosa.
-Non prometto niente, ma ci proverò.
Quello bastò per far sorridere la bambina, che mi venne ad abbracciare, le sue mani non erano abbastanza lunghe neanche per cingermi l'intera vita. Le diedi un bacio sulla testa. Guardai Fhara, pensavo di vederla più felice del solito, invece sembrava malinconica. La bambina si allontanò e, nel moemnto in cui stavo per alzarmi per raggiungere il mio posto ed ero in bilico sulle ginocchia, sentii qualcuno alle mie spalle spingermi e caddi a terra perdendo l'equilibrio.
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Madhouse
Fanfiction-Benvenuta. Un uomo con giacca e cravatta che conoscevo ormai molto bene mi fece accomodare nel suo studio. -Stenditi e rilassati. Attraversai l'ampia stanza, adornata con mobili di legno e tappeti dai colori caldi, e mi stesi sul divanetto di pe...