38.

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Il nemico


Il giorno dopo giocammo tutto il tempo con Mary, lei dimenticò l'accaduto del giorno precedente e si divertì, anche Stivie e Luke vennero a farci compagnia. Un po' mi sentivo in colpa. Volevo che quello fosse l'ultimo ricordo che aveva dei suoi genitori, delle persone che la amavano e che giocavano con lei, ma quando sarebbe cresciuta, ci avrebbe semplicemente odiati per tutta la vita, perché eravamo stati noi a consegnarla a Daniel. Ero stata io a firmare quel contratto. Ogni volta che ci pensavo mi sentivo male, Justin cercava di rasserenarmi e la cosa più strana era che lui era sereno veramente. L'unico comportamento anomalo era quando, alcune volte, si fermava minuti e minuti a fissare me o Mary in silenzio, spesso quando mi svegliavo lui aveva gli occhi puntati su di me e sorrideva, come se finalmente avesse trovato la pace. Purtroppo quella sua serenità non era contagiosa, io al contrario suo sentivo di vivere nell'inferno.
-Perché hai mandato Mary Margaret da Stivie? E' l'ultima volta che...
Le parole mi morirono in bocca e al loro posto uscì dalla gola un urlo soffocato. Era l'ultima notte che potevamo trascorrere con lei, perché il giorno dopo avrebbe compiuto cinque anni e Daniel sarebbe venuta a prenderla. Justin corse sul letto accanto a me e mi cinse le spalle con il braccio, mentre io mi ero chinata in avanti con il corpo e avevo appoggiato la testa sulle gambe. Justin appoggiò il suo mento sulle mia schiena e mi abbracciò forte.
-Non piangere Quinn. L'ho fatto per lei. Mi ha chiesto di poter continuare a giocare con Stivie e non potevo dirle di no, vista la situazione in cui ci troviamo.
Come avevo potuto ancora una volta essere così egoista? La volevo con me per stare con lei un'ultima notte,così come Justin, ma lei sicuramente preferiva giocare con Stivie. L'unico a esaudire il suo desiderio in questo momento era stato Justin, io sapevo solo disperarmi e ripensare al tempo perso, che avrei potuto trascorrere con lei, i rimorsi mi stavano piano piano distruggendo.
-Sono una cattiva persona.
Sussurrai cominciando a dondolare su me stessa.
-No, non lo sei.
Justin mi accarezzò la guancia e mi scansò i capelli dalla faccia, mettendoli dietro le orecchie. A quel tocco così amorevole e delicato mi tirai su e mi accasciai contro il suo petto.
-Ho firmato quel contratto solo per salvarmi la vita e adesso ho perso mia figlia, sarei dovuta morire allora.
Justin continuò ad accarezzarmi la guancia. Io tremavo e la voce era debole, come se avessi perso tutte le mie forze.
-Se fossi morta allora la nostra piccola sarebbe morta con te, è meglio così, credimi.
Justin si sporse su di me e mi diede un leggero bacio sulla guancia, per poi riprendere subito ad accarezzarla.
-Come fai a stare con me? Sono un mostro.
Sapevo che quella scena patetica e non mi avrebbe aiutata, ma non volevo sentirmi dire che non ero un mostro, sapevo che era la verità e basta, ma prima di allora non avevo mai avuto il coraggio di affrontarla.
-Se tu sei un mostro, lo sono anche io.Io ti ho spinto ad accettare le condizioni di Daniel.
Spiegò Justin, ma lui non era un mostro, lui era buono e io lo amavo più di ogni altra cosa.
-Ti ricordi quando mi hai baciata per la prima volta? Non sapevi come si faceva, ma io mi sono innamorata di te lo stesso o quando eri preoccupato perché non avevi fatto mai sesso con qualcuno? Tu non mi sei mai smesso di piacere. Tu sei una brava persona e sei ciò che nmi impedisce di prendere una qualsiasi pistola e uccidermi. Vivrò solo per te da domani in poi.
Aspettavo che Justin dicesse qualcosa, ma non lo fece. Improvvisamente sentii una goccia che mi colpì la fronte, Justin aveva smessso di accarezzarmi la guancia. Mi tirai su, stava piangendo, ma sorrideva.
-Sono un mostro, faccio piangere anche te.
Justin si asciugò le lacrime.
-Sono solo commosso, ti ricordi tutto. Mi mancano quei momenti in cui Daniel non faceva parte della tua vita.
Allungò una mano verso il mio fianco e la infilò sotto la mia maglietta, per accarezzarmi la schiena. Aveva detto la "tua vita", non la "nostra" perché in realtà Justin aveva sempre dovuto ricevere insulti e minacce dal cugino, ma io non lo sapevo. Ero felice che potesse confidarsi con me adesso, perché condivideva con me il suo dolore.
-Ti amo.
Si sporse verso di me, sfilandomi la maglietta, non appena se ne liberò trovai le sue labbra contro le mie. Assaporai quel bacio fino alla fine e lo stesso sembrò fare lui. Quando, però, mi fece distendere sul letto e si posizionò su di me, non ero più tanto acconsenziente. Justin cominciò a baciarmi il collo, fino a scendere lungo il mio petto, ma lo fermai, nonostante l'istinto mi dicesse di non farlo.
-Non sono in vena, scusa.
Lo scansai e, lui, obbediente, si tirò su e si sedette accanto a me sul letto.
-Preferiscistare qui a deprimerti?
Chiese. Come faceva a essere così calmo, nonostante il futuro di nostra figlia?
-Sì.
Annuii come se fosse la cosa più normale del mondo. Justin rimase in silenzio e io mi girai dall'altra parte, dopo poco però lo vidi con la coda dell'occhio avvicinarsi a me.
-Coltellina, non sei sola, ci sono io con te.
A quelle parole il mio cuore si distrusse immediatamente. Mi aveva chiamata Coltellina, come faceva diversi anni prima. Non fu solo quell'appellativo a farmi stare male, ma anche ciò che disse. Dovevo ricordarmi che lui era sempre con me, non dovevo voltargli le spalle e chiudermi nel mio guscio di tristezza e malinconia, anzi, lui mi avrebbe aiutata a superarla. Mi voltai verso di lui con le lacrime agli occhi, non gli lasciai neanche il tempo di farlo parlare che gli stampai le mie labbra sulle sue. Mi sembrò che sorridesse e, anche se per un piccolo momento, mi sembrò di essere tornata a quando ancora eravamo due ragazzini.
Justin in fretta si levò la maglia e i pantaloni, mi strinse così tra le sue calde braccia. Anche io cercai di liberarmi dei vestiti e, con il suo aiuto, non fu difficile. Sentivo il fiato di Justin contro di me, era completamente travolto dalla passione, come se cercasse di concentrarsi solo ed esclusivamente su me. Anche io iniziavo a credere che ci volesse qualcosa del genere per distrarmi, anche se non era come le altre volte, in quel momento una parte del mio cervello era sempre rivolta a Mary Margaret e,nonostante Justin cercasse di scacciare quel pensiero, immaginavo che lo stesso valesse per lui.

**

Nonostante i momenti di passione che trascorremmo quella notte non mi sentivo affatto meglio. Justin mi abbracciava, tenendomi stretta contro il suo petto, steso lateralmente e io comprimevo la mia guangia contro la sua pelle sudata e calda. Nonostante non avessi freddo non volevo allontanarmi, per paura di poter perdere anche lui. Sentivo che il mio posto era tra le sue braccia, mentre i nostri corpi, completamente nudi, stavano a contatto l'uno con l'altro. Stavo immobile e in silenzio e per paura di svegliare Justin, cercavo di regolare il respiro con la speranza che anche il battito cardiaco sarebbe rallentato. Nonostante tutta questa mia accortezza Justin si accorse che non stavo dormendo e , con grande stupore, scoprii che neanche lui lo stava facendo.
-Quinn, dovresti dormire.
Sussurrò.
-Sto dormendo.
Dissi senza muovere neanche un minimo muscolo. Stavo con le braccia compresse tra me e il suo corpo e nonostante la voglia di allungarle le tenevo lì perché avevo paura che un minimo movimento ci avrebbe diviso per sempre.
-Non stai dormendo se mi rispondi.
Puntualizzò Justin. Ero decisa a non rispodere e chiudere gli occhi, per obbedire ai suoi desideri, ma non potevo farlo.
-Perché tu non hai paura?
Chiesi. Alzai il volto delicatamente per guardarlo, lui aveva gli occhi puntati su di me già da un pezzo, ma me ne accorsi solo in quel momento.
-Certo che ho paura.
Spiegò. Come pensavo, cercava di mostrarsi forte solo per farmi sentire meglio, peccato che non funzionava. Tornai a schiacciare la guancia cotro il suo petto, come prima.
-D'accordo.
Sussurrai. Rimanemmo in silenzio per quello che mi parve almeno un minuto, alla fine fu Justin a romprere il silenzio.
-Se quello che vuoi sapere è se ho un piano, sì, ce l'ho.
Quella notizia mi avrebbe dovuto far saltellare dalla gioia, eppure la sua voce era così calma e piatta che non mi trasmise nulla, se non ansia.
-Perché me lo dici solo adesso? Come posso aiutarti se non so neanche quali sono le tue intenzioni?
Lo guardai nuovamente, i suoi occhi brillavano, anche se la luce nella stanza era poca e proveniva dalla serratura della porta.
-Non puoi conoscere tutto per ora, ma avrò bisogno del tuo aiuto domani, quindi per ora riposa, va bene?
La voce di Justin era così pacata che mi portò a ubbidire seriamente. Mi riposizionai come prima.
-Mi devo preoccupare?
Chiesi dopo un po'. Justin rise sommessamente.
-No, devi solo fare per una volta nella vita ciò che ti chiederò.
Finalmente iniziavo ad vedere un barlume di speranza, forse non era tutto finito, ancora potevamo salvarci.
-Sembra difficile come richiesta.
Ironizzai, io non seguivo mai quello che la gente mi imponeva, ma per quella volta mi ripromisi di accettare e ubbidire a qualunque cosa, qualunque.
Justin comunque rise e mi diede un bacio sulla fronte.
-Ora non preoccuparti più e riposa. E ricorda che non sei mai sola e mai lo sarai. Ti ricordo che hai degli amici fantastici, come Stivie e Luke, e loronon sono gli unici di cui poterti fidare.
In quel momento non capivo perché quella riflessione sulla solitidine e sull'amicizia, ma non mi ci soffermai più di tanto. La cosa che invece mi stupì fu il fatto che finalmente dopo tanto tempo era riuscito a dire qualcosa di carino su Stivie. Sorrisi e immaginai ce se Jusin avesse potuto vedermi sarebbe stato felice.
-Buonanotte.

Gli dissi, così lui cominciò a canticchiare una canzone con un melodia lenta e dolce, doveva essere una ninna nanna. Mi voltai dalla'altra parte, rivolgendo le spalle a Justin e lui si strinse verso di me. Era la prima volta che mi cantava qualcosa e la sua voce era bellissima. Tra una strofa e l'altra posava le sua labbra sul mio corpo e mi dava dei piccoli baci per cullarmi. Chiusi gli occhi senza paura perché finalmente sentivo fino in fondo che, qualunque cosa fosse successa, lui non mi avrebbe mai abbandonata.

**

La mattina, quando Stivie ci riportò Mary Margaret, la bambina corse nella nostra diezione. Justin e io ci inchinammo per abbracciarla, lei però scelse di andare tra le braccia di Justin, lui la strinse a sé e la prese in braccio.
-Ti sei divertita cucciola?
Chiese Justin sorridendole.
Lei annuì, sorrideva a più non posso e abbracciava il padre.
-Buon compleanno, Mary.
Le dissi prendendole una mano, per poco non scoppiavo in un pianto disperato, lei però sembrava più interessata a Justin che a me.
-Papà, lo sai che abbiamo giocato con i miei giochi tutta la notte?
Disse lei, fiera di quell'azione.
Justin si finse colpito e annuì.
-Dai? Tutta la notte? Addirittura? E a che ora sei andata a dormire?
-Buu.
Rispose lei, alzando le spalle. Justin rise e Stivie intervenne.
-Veramente è andata a dormire alle nove, tardissimo.
Stivie rise e Justin accennò un sorriso nella sua direzione. Ero felice di vedere che collaboravano.
-Mary, vuoi stare un po' con mamma?
Chiesi allungando le braccia verso di lei.
-Voglio stare con papà.
Disse stringendolo ancora di più.
Non potevo dirle di no, non volevo che piangesse, non quella mattina. E poi era risaputo, lei si divertiva di più con lui che con me, e come potevo darle torto? Non ci vedevamo mai, io ero sempre al lavoro.
-Va bene.
Sussurrai. Justin si voltò nella mia direzione, dovevo sembrare un po' delusa, perché mi sorrise, quasi per incoraggiarmi.
Guardò di nuovo Mary Margaret e la afferrò dà un piede, portandola a testa in giù. Mary urlava, ma si vedeva che era divertita.
-Guardate questa cattiva bambina che il giorno del suo compleanno non vuole andare dalla sua mamma. Ora per punizione resterà appesa per i piedi per sempre.
Mary si divincolava e Stivie e io ridevamo, e pensare che Justin aveva paura di tenerla in braccio quando era più piccola. Adesso invece la lanciava in aria e la riprendeva al volo, senza problemi, mentre io avevo sempre paura che cadesse. Alla fine Justin la rimise dritta e la posò a terra. Per un momento Mary sembrò spaesata, si guardò intorno e poi si voltò di nuovo verso Justin.
-Fallo ancora papà, ancora!
Iniziò a saltellare con le mani giunte a mò di preghiera. Justin fece un cenno a Stivie, che prese per mano Mary Margaret.
-Andiamo un po' fuori, ti va? Lo faccio io al posto di papà.
Mary lo seguì senza protestare, felice della promessa di Stivie.
Quando uscirono quella atmosfera di pace finì. Mi voltai verso Justin, anche lui era serio.
-Che devo fare allora?
Chiesi. Dovevo conoscere il suo piano per aiutarlo, perché Mary Margaret era mia e non potevano portarcela via. La Quinn guerriera e sicura di sé era tornata, anche se in ritardo.
-Non è difficile.
Cominciò Justin.
-Quando entreremo nella stanza di Daniel io cercherò di farlo avvicinare alla porta, tu dovrai andare verso l'armadietto delle armi.
E poi? E poi dovevo sparare? Rimasi un po' a pensare. Davvero un piano così semplice? Non ne saremmo mai usciti vivi, ne ero certa. E anche se l'avessimo fatto poi saremmo stati puniti per aver ucciso il capo.
-Spiegati meglio.
Lo invitai. Justin si avvicinò verso di me.
-Per ora è tutto ciò che ti serve sapere. Apri l'armadietto, prendi la pistola spari quando ti faccio il segnale.
Iniziai a entrare nel panico.
-E dopo cinque anni tu hai trovato un piano tanto stupido?
Dissi con le lacrime quasi agli occhi, il mio ultimo intento era quello di offenderlo, ma non potevo nascondere la mia delusione per quella trovata.
Justin mi abbracciò immediatamente e mi strinse contro di sé, come la notte precedente.
-No no, ascolta, solo la tua parte è stupida, ma non ti preoccupare è molto più articolato di così.
Sentivo la sua voce far vibrare il suo corpo. Mi asciugai le lacrime e e inspirai a lungo. Sentivo il suo cuore battere attraverso la maglia rigorosamente nera. Chiusi gli occhi e mi concentrai sul suo profumo, era il solito, lo stesso profumo che io ricollegavo alla felicità. Alla fine mi allontanai da lui.
-Se dici che ce la possiamo fare, senza essere puniti, ti credo. Mi fido di te.
Dichiarai.
-Ce la faremo, andrà tutto secondo il piano, vedrai.
Mi afferrò per la mano, la sua presa era forte e mi fece rassicurare. Così uscimmo dalla camera. I corridoi erano colmi di persone che ci squadravano con curiosità, anche se nessuno ci aveva mai rivolto la parola tutti conoscevano la nostra storia e bramavano per sapere come sarebbe andata a finire. Chi avrebbe vinto? Il buono o il cattivo?
Mi voltai verso Mary Margaret, sembrava stupita di vedere tutti quegli occhi puntati su di sé, mi corse incontro spaventata e io la afferrai per la mano. Anche lei riusciva a sentire quell'aria di guerra e di tensione che era impossibile da ignorare. Credevo che lì nessuno avesse mai visto me, Mary e Justin insieme, la nostra famiglia riunita.
Cominciammo a camminare verso l'ufficio di Daniel, Justin non si curava degli sguardi altrui, lui era abituato, ma sicuramente non mi sarei mai aspettata che si muovesse con il braccio sulle mie spalle, senza preoccuparsi di mostrare il suo amore per me.
Raggiungemmo la porta dell'ufficio di Daniel in non molto tempo. Come potevo sperare di salvare Mary Margaret se la prima a non credere in me stessa ero proprio io? Strinsi ancora di più la mano a Justin e mi voltai verso di lui.
-Ce la faremo.
Dissi semplicemente, lui annuì sicuro di sé e mi stampò un bacio sulle labbra. Così si voltò verso Stivie e gli fece un cenno con il capo quasi impercettibile, a Stivie scappò un mezzo sorriso, forse erano d'accordo su qualcosa che io non riuscivo a comprendere, ma non mi interessava più di tanto in quel momento, ne avremmo parlato quando tutto sarebbe stato finito.
Qualcuno si fece strada tra la folla e ci raggiunse. Riconobbi Luke.
Ci guardò semplicemente e alla fine disse semplicemente:
-Buona fortuna.
-Grazie.

Dicemmo in coro io e Justin, ovviamente Mary non capiva cosa stava accadendo, ma non le sarebbe mai douto interessare, perché noi l'avremmo salvata.
Dopo aver guardato Luke e Stivie un'ultima volta mi sporsi per aprire la porta, ma Justin fermò la mia mano, mi strinse a sé un'ultima volta prima di entrare e mi baciò a lungo, davanti a tutti. Le sue labbra sulle mie e la sua lingua riuscivano a farmi sentire sempre meglio. Quel bacio non durò tanto, ma mi portò a sperare che realmente ce l'avremmo fatta.
Mentre io ero già pronta ad abbassare la maniglia e a affrontare il pericolo, Justin bussò alla porta e io mi sentii tremendamente imbarazzata, perché anche quando vivevamo a New York io non bussavo mai alla sua porta e da quello lui riusciva sempre a capire che ero io ad entrare.
Daniel, comunque, dall'altra parte non rispose, noi entrammo. Ripassai velocemente il mio compito, raggiungere l'armadio delle armi, mentre Daniel era distratto, prendere una pistola e attaccare. Semplice.
Entrammo.
Daniel, come sempre, sorrideva, appoggiato alla scrivania. L'armadietto era proprio dietro di lui.
-Da quanto tempo.
Esordì. Un uomo vestito in nero ci costrinse a dargli tutte le nostre armi, ma Justin, stranamente, era già disarmato e io avevo solo il mio fidato coltello, l'uomo se ne andò e qualcun altro dietro di noi chiuse la porta. Ero convinta che fosse stato Justin, finché non mi accorsi di Paul. Il voltafaccia dai capelli rossi e occhi verdi era dietro di noi e sembrava più sereno che mai. Quel vile lavorava realmente per Daniel.
-Quinn.
Daniel mi richiamò all'attenzione.
-Come stai? L'ultima volta che ti ho vista eri praticamente una ragazzina, ora sono passati cinque anni e sei diventata mamma, ma come passano in fretta gli anni.
Daniel, invece, non era cambiato affatto. La sua aria era sempre la stessa, mi faceva diventare nervosa e aggressiva. Comunque non fu difficile cercare di allontanarlo dall'armadietto perché, fortunatamente, fu lui a raggiungerci.
Si inchinò davanti ai miei piedi e sorrise a Mary.
-Ciao piccolina, io sono tuo zio, lo sai?
Daniel arruffò i capelli della bambina, che non gradì affatto. Per poco non ero tentata a tirargli un calcio in faccia, mi trattenni e Justin, notando la mia rigidezza, mi tirò verso di sé. Mentre Daniel si alzava per parlare con lui io mi incamminai lentamente verso la scrivania, per raggiungere l'armadietto. Mi accertai che neanche Paul mi guardasse, aveva gli occhi puntati sullo schermo del telefono e non sembrava avere intenzione di muoversi. Ovviamente nel camminare stavo attenta a non rivolgergli mai le spalle. Mary Margaret, comunque, guardava accigliata Daniel, non sembrava felice di quell'uomo.
-E tu, cugino, come stai?
Justin alzò le spalle e come se non gli facesse né caldo né freddo affermò:
-Non mi lamento.
Senza perdere di vista Daniel mi voltai verso l'armadietto delle armi. Dovetti con tutte le forze tenermi su per non cadere a terra. L'armadietto con le ante di vetro era vuoto, non c'era nessuna pistola all'interno. Probabilmente Justin si accorse della mia espressione perché perse la sua espressione serena e impassibile.
Fortunatamente, prima che Daniel si potesse voltare per vedere cosa aveva turbato Justin, Paul lo richiamò.
-Capo, scusate, mi è appena arrivato un messaggio, il vostro volo partirà tra un'ora. Dobbiamo andare, non c'è tempo per i saluti.
Certo,con questo Paul mi aveva tolto dai guai, ma io mi sentivo ancora peggio. Daniel non poteva portare via la mia bambina, non poteva. Per un momento fui sopraffatta dal panico, dopo mi venne un lampo di genio. Non dovevo abbattermi, dovevo solo pensare. Usare la testa.
Daniel si stava voltando verso di me, a quel punto la nostra unica salvezza sarebbe stata vana, se mi avesse scoperto.
Justin però richiamò la sua attenzione.
-E così oggi è il giorno.
Non ascoltai neanche le parole di Daniel, mi limitai a posizionarmi dietro la scrivania e ad aprire il cassetto. Mi sollevai quando vidi la pistola, sapevo che era lì. Pensai a quando in India lo avevo visto riporre proprio in un cassetto del genere una pistola. Mentre Daniel guardava mia figlia, Justin cercava di sfuggita il mio sguardo, chiedendosi che ci facessi lì. Dalla sua posizione non riusciva a capire che l'armadietto era completamente vuoto. Presi la pistola e la nascosi sotto la maglia. In quel momento Paul alzò gli occhi, mi sentii pietrificare, ma cercai di mantenere un'aria innocente. Lui che lavorava per Daniel mi avrebbe sicuramente accusato.
Credevo che si stesse girando verso Daniel per chiedergli il permesso di uccidermi,invece fece un cenno a Justin, che , però, lo ignorò. Probabilmente non aveva proprio fatto caso a me o forse erano d'accrodo lui e Justin? Comunque, nel dubbio, tornai esattamente dietro Daniel, dove lui credeva che io fossi sempre stata. Fortunatamente la stanza era piccola e per raggiungere la scrivania ci voleva solo un passo abbastanza lugno, per qusto ero riuscita a fare tutto velocemente e inosservata.
-Papà, cosa vuole questo signore?
Chiese Mary Margaret nascondendosi dietro di Justin, mentre Daniel cercava di scherzare con lei. Per adesso, ovviamente, poi la avrebbe torturata, solo perché era mia figlia. Sentivo la pistola fredda contro la mia pelle e semplicemente non vedevo l'ora di usarla, anche se ancora non mi era chiaro il piano e il ruolo di Paul.
Io non potevo attaccare Daniel, perché altrimenti mi avrebbero punita, Justin non era armato, serviva solo per distrarre il capo, l'unico a poter attaccare tecnicamente era Paul. Negli anni mi era, infatti, giunta la voce che Paul fosse diventato vicecapo, ma se lo avesse fatto solo per aiutare Justin? Il vicecapo aveva la facoltà di ribellarsi al capo senza essere punito, ma solo se il capo lo avesse attaccato per primo o lo avesse minacciato con un'arma, ma Daniel non sembrava il tipo che minacciava il suo vicecapo.
In quel momento capii. Paul avrebbe fatto in modo di provocare Daniel, in modo che lo attaccasse, Paul gli avrebbe puntato la pistola contro e a quel punto io avrei sparato per prima, senza timore di essere punita, perché avevo semplicemente agito dopo Paul, il vicecapo.
Ero pronta, ora restava solo vedere come si sarebbero messe le cose.
Daniel si voltò così verso di me.
-Non la pensi come me?
Chiese.
-Scusa, non ho ascoltato.
Dissi in tutta risposta, e di fatto era vero, non avevo idea di quello che dicessero. Daniel rise.
-Che c'è? Hai troppa paura per tua figlia? Abbiamo stipulato un patto Quinn, non puoi tirarti indietro. Pensavo lo sapessi, avresti dovuto pensarci allora e dare la tua vita.
Mantenni il suo sguardo, ma lui aveva ragione, se qualcosa fosse andato per il verso sbagliato ci sarebbe andata di mezzo la mia Mary Margaret.
-Vorresti tornare indietro e cambiare la tuia decisione vero? Non sei tanto speciale e forte come ceredevo.
Non mi interessava né quello che stava dicendo, né cosa pensava di me, ero solo impaziente di dargli una bella lezione. Lo guardavo mentre la rabbia faceva ribollire il mio sangue, lui non capiva che più parlava più metteva la sua vita in pericolo.
In quelo momento qualcosa catturò la mia attenzione, non appena realizzai cosa stavo vedendo feci un balzo indietro, mentre Daniel portava la mano alla pistola per armarsi.
Mary Margaret urlò qualcosa del tipo:
-Un serpente!
Daniel scattò verso la porta, mentre il serpente velenoso strisciava nella sua direzione, era stato Paul a liberarlo. Il codice americano riconosceva molte cose come arma, ma di certo non i serpenti. Paul quindi stava attaccando il capo con un'arma non riconosciuta dal codice, e non sarebbe stato punito, anzi, avrebbe portato Daniel ad armarsi e a uccidere il serpente.
E fu esattamente ciò che accadde. Daniel tirò fuori la pistola, in meno di un secondo Paul gli puntò contro la sua, facendo finta di essere minacciato dal capo e mentre Daniel sparava al serpente sfilai la pistola da sotto la maglia, la puntai contro il nemico e chiusi gli occhi.
Sentii uno sparo che mi portò a premere il grilletto. 


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