23.

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Sconfitti


Dopo più di due minuti di silenzio Justin si voltò verso di me. Io speravo che prendesse la giusta decisione e mi chiedevo quale fosse. Lo amavo, non l'avrei mai voluto perdere di nuovo, ma non volevo che si sacrificasse per me, senza la sua società non era nulla, era il suo compito portarla avanti e io lo avevo incontrato solo per allontanarlo sempre di più dal suo obiettivo, mi sentivo in colpa. Justin aveva bisogno di tempo e silenzio e Daniel stava solo aspettando che "Stati Uniti" scegliesse me e abbandonasse la società. Era ancora convinto che mi amasse sopra ogni cosa, ma non era così, questa volta avrebbe scelto la società, altrimenti avrebbe perso troppo.
-Quinn.
Sussurrò Justin. Non alzai lo guardo, perché se questo fosse stato il nostro addio, non avrei voluto mostrarmi debole, né di fronte Justin, né di fronte a Daniel e se lo avessi guardato avrei pianto sicuramente. Annuii debolmente, sapevo quello che mi stava per dire.
Justin mi accarezzò la testa e mi strinse a sé. Rimasi immobile con la guancia schiacciata contro il suo petto, ma non ricambiai l'abbraccio. Ricacciai indietro le lacrime. Justin mi schioccò un bacio sulla fronte e a quel punto non potei più nascondere i miei sentimenti. Le lacrime iniziarono a scendere, ma le ignorai cercando di calmarmi. Senza Justin chi mi avrebbe più trattata in quel modo e chi mi avrebbe dato quei baci in testa?
Justin si scostò da me e mi guardò in faccia, abbassai il volto, non mi doveva vedere in quelle condizioni o gli avrei reso il compito più difficile. Gli avevo fatto perdere la società già una volta, quando avevo liberato il ragazzo che aveva raccontato tutto alla polizia, non volevo che succedesse ancora.
-Cosa ti fa credere che sceglierò Quinn?
Disse di punto in bianco a Daniel.
-Tu la sceglieresti sempre perché la ami. Mi chiedo perché siamo ancora qui a discutere.
Daniel sembrava sicuro di sé, ma lo era sempre e questa volta si sbagliava.
-Hai ragione, amo Quinn, ma la società fa parte di me.
Esattamente come la pensavo, evitai di alzare il volto e continuai a fissare il pavimento. O Justin aveva un piano o mi stava abbandonando veramente, che era l'opzione che preferivo, giusto? Doveva essere così, io non dovevo essere un suo peso. Daniel disse qualcosa in Indiano e il ragazzo che prima aveva tenuto Annie per la mano mi si avvicinò, inaspettatamente mi colpì alle spalle e io caddi a terra, cercai di tirarmi su, ma il ragazzo mi posizionò un piede sulle spale per costringermi a restare abbassata.
-Smettila.
Ringhiò Justin.
-Lo vedi che preferisci Quinn?
Lo schernì Daniel.
-Preferisco entrambe, la società e lei. Ma non è detto che sceglierò lei.
Urlò Justin, cercava di convincere Daniel che non mi amava più così non mi avrebbe fatto del male o diceva sul serio? Daniel alzò un baccio, non riuscii a vedere un movimento completo, perché cercavo di avitare di guardare la scena, ma quello doveva essere un comando perché il ragazzo mi sferrò un calcio alle gambe, non usava tutta forza che aveva a disposizione, non mi voleva uccidere.
-Dai Stati Uniti, so che mi darai la società a fine giornata.
-Ti sbagli.

-Allora cosa pensi di fare? Di convincermi che non la ami? Non ce la farai mai.
Justin strinse i pugni, dalla mia visuale riuscivo solo a vedere quelli.
Daniel alzò nuovamente il braccio e io mi preparai all'impatto.
-Mira alla faccia questa volta.
Ordinò. Chiusi gli occhi e strinsi le labbra, mi avrebbe rotto il naso sicuramente. Il cuore batteva forte, prima o poi sarei morta continuando così.
Sentii qualcuno scavalcarmi e posizionarsi tra me e l'aggressore, il calcio non mi raggiunse, perché colpì le sue gambe. Justin fece un passo indietro, quasi pestandomi e riacquistò l'equilibrio.
-No, no. Negoziamo. Negoziamo.
Urlò. La sua voce era alta e carica di paura,odio e determinazione. Paura per ciò che avrebbe perso, odio rivolto a Daniel e determinazione perché mi voleva salvare. Sferrò un pugno al mio aggressore tanto forte che lui si allontanò da me, barcollò e sbatté al muro retrostante, tramortito.
Senza il suo piede contro le mie spalle mi sentivo più libera. Mi alzai lentamente, ma mi cercai di tenere ben distante da Justin ugualmente , non gli avrei fatto fare la scelta sbagliata. Mi sarei sentita in colpa per tutta la vita, anche se sapevo che sarebbe stato per tanto perché Daniel mi avrebbe uccisa.
-Stati Uniti, non c'è nulla da negoziare. Io libero Quinn se tu mi dai la società. Non puoi negoziare, se non lo fai io uccido Quinn e tu non vuoi che accada.
Justin lo ignorò, ma si avvicinò a lui.
-Io ti do la società e tu liberi Quinn, ma voglio avere la possibilità di fare vivere Quinn con me anche se non sono il capo e non ti sarà permesso modificare le regole in vigore lì. Non voglio donne nella mia società.
-La tua società, sta per diventare mia e in più cosa ti fa pensare che potrei accettare tutte queste condizioni?
-Ti dirò il mio nome.
-E cosa mi garantisce che non lo inventerai?

-Non avrebbe senso. Se lo inventassi, allora tutti mi chiamerebbero con quel nome e sarebbe come se fosse veramente il mio. Perché dovrei mentire a questo punto?
Il ragionamento di Justin non faceva una piega. Se avesse detto a tutti di chiamarsi David,ad esempio, quello sarebbe diventato il suo nome, del resto non aveva una carta di identità. Non riuscivo neanche a capire perché Daniel ci tenesse tanto, il nome non fa l'essenza della cosa. Lui non lo voleva dire nel caso riuscissero a rintracciarlo, magari negli anni sarebbe finito di nuovo in carcere e se avesse detto la prima volta di chiamarsi Justin, anche con un'aspetto diverso la seconda volta l'avrebbero riconosciuto.
-Ci sto.
Rispose Daniel dopo un po'.
-Lo voglio conoscere, per questione di principio.
Sorrise soddisfatto.
-Quindi ricapitolando. Io prendo in mano la società degli Stati Uniti, ma tu potrai viverci con Quinn e non muterò nessuna regola del codice. In cambio mi dirai il tuo nome. Mi sembra un buon affare.
Spostai il mio viso su Justin, la nuca era sudata e la vena del collo igrossata. Era preoccupato, forse anche un po' triste. Mi sentii in colpa.
-Non lo devi fare.
Dissi. Justin si voltò verso di me, il suo sguardo era semplicemente freddo e privo di espressione, era braavo a non mostrare i sentimenti, lo era sempre stato.
-La società è tutto per te, senza di me potresti anche vivere, ma impazziresti senza essere il capo. Ti ho fatto perdere la società una volta, non accadrà di nuovo.
Tirai fuori il mio coltello e me lo portai alla gola. Basta prenderci in giro, come ero finita in quella situazione? Ero diventata una merce di sambio per Daniel? Non gli avrei dato questa soddisfazione. La maschera apatica di Justin si ruppe e lui corse nella mia direzione afferrandomi il coltello.
-No.
Urlò. Se avesi avuto veramente il coraggio di farlo adesso sarei morta. Ero una codarda.
-Devo farlo.
Sussurrai con le lacrime agli occhi.
-Sono sempre un problema per te, non ci saremmo mai dovuti incontrare.
-No.

Ripeté fermo Justin. No, non sono un problema o no, è meglio che ci siamo incontrati?
-Daniel, prendi carta e penna. Scriviamo il contratto.
Dichiarò Justin più sicuro che mai.

I due si spostarono davanti alla scrivania e Justin se ne andò con il mio coltello in mano. Anche Daniel era preoccupato per il mio possibile suicidio, perché così avrebbe perso tutto e mi permise di potere abbracciare Stivie. Uno dei due dipendenti di Daniel gli tolse le manette e io potei rintanarmi nelle sue braccia, mentre Annie era seduta a terra con l'indice e il medio in bocca, forse stava piangendo. La prima volta che l'avevo vista aveva gli occhi gonfi, ma non perché avesse pianto, solo perché tratteneva le lacrime, aveva la stessa espressione di adesso.

Alla fine Justin aveva cercato di convincere Daniel di non amarmi per salvarmi, a aveva fallito, come sempre. Il punto debole di Daniel era proprio la convinzione. In questo caso aveva ragione, ma non sarebbe stato sempre così.
Justin e Daniel scrissero per una buona mezz'ora alla fine arrivò il momento di firmare. Mi allontanai da Stivie e mi posizionai accanto a Justin.
-Prima tu.
Intimai a Daniel.
-Va bene.
Daniel scrollò le spalle e scrisse il suo nome, specificando che era il capo della società indiana.
-Sei sicuro?
Chiesi a Justin.
-Si.
Disse lui.
-Avevo promesso che non ti avrei abbandonato, qualunque cosa sarebbe successa, ricordi?
Alzò il mignolo per ricordarmi della promessa e impugnò la penna.
-Non devi sentirti in dovere di farlo.
-Lo farò comunque.

Allontanò il mio coltello che era sulla scrivania, ormai il coraggio era passato, non mi sarei più uccisa. Non volevo ammetterlo, cercavo di sopprimere quel pensiero, ma ero felice che Justin mi amasse al punto di abbandonare la società per me. Justin iniziò a muovere la penna sul foglio.
"Stati Uniti"
Scrisse sul foglio. Ormai era fatta. Aveva perso tutto. Daniel sorrise.
-Dimmi il tuo nome.
Aveva un tono un po' troppo autoritario, del resto non parlava più da capo a capo, ma da capo a dipendente.
Justin ,però, non perse le staffe, anzi era sicuro di sé.
-Mi chiamo Justin.
Non sembrava più preoccupato, stava a testa alta e il respiro e i suoi movimenti erano controllati.
-Justin.
Ripeté Daniel, annuì compiaciuto e ci accompagnò alla porta dell'ufficio.
-Voi due, scortateli fino alla porta e fateli passare da lì.
Ordinò Daniel ai due che avevano tenuto Stivie ed Annie.
-Lì dove?
Chiese Justin.
-Non ti è permesso fare domande.
Daniel sorrise e chiuse la porta del suo ufficio, sbattendoci fuori.
Justin, che aveva la mano intrecciata alla mia, me la strinse, forse un po' troppo forte perché mi uscì un gemito involontario, lui rilassò subito i muscoli, ma non si scusò. Probabilmente era imbarazzato per il suo comportamento. Cominciammo a camminare lungo i corridoi. Sapevo esattamente dove eravamo e quando ci fermammo davanti all'unica porta grigia del luogo, mi salì un groppo in gola.
-Che ci facciamo qui?
Stivie sembrava nervoso e si mordeva il labbro. Justin non sembrava capire, del resto c'era stato solo una volta lì. I dipendenti di Daniel spalancarono la porta e mi spinsero dentro. Mi voltai verso Justin, che si precipitò dentro con me. Mi volevano rinchiudere lì di nuovo? Afferrai il polso di Justin e mi strinsi a lui, mentre gli occhi di tutte le ragazze con cui avevo trascorso quei mesi erano puntati verso di me. Carichi di odio e accusatori. Sapevo a cosa stavano pensando, tutte alla stessa cosa. Avevo promesso loro che le avrei tirate fuori da lì. Loro si erano fidate di me e credevano che fossi l'unica a poterle salvare. La prima che riuscì a dire qualcosa fu la ragazza con l'accento marcato con la quale avevo parlato solo una volta, quando mi aveva chiesto di aiutarle, la prima volta che avevo incontrato anche Annie.
-E quindi è vero. Sei fuggita senza di noi.
Abbassai lo sguardo. Era doloroso. Daniel non mi voleva rinchiudere lì. Mi voleva far provare quel senso di oppressione, senso di colpa e impotenza che aveva sentito anche Justin quando mi aveva venduto. Quello era peggio di dieci coltelli nel cuore.
-Noi ci fidavamo di te.
La ragazza si alzò e si diresse verso di noi. Rimasi immobile, meritavo qualunque cosa aveva intenzione di farmi. Lasciai Justin, allontanandomi. La ragazza mi si fiondò addosso, con le mani avvolte al mio collo, nel tentativo di strangolarmi. Cercai di allontanarla, ma non ne ebbi neanche il tempo perché Justin la spinse via con uno strattone. Dopo l'azione di Justin lei si fece piccola piccola e si rannicchiò a terra.
-Vi aiuterò.
Dissi con voce strozzata.
-Non volevo ucciderti, volevo solo farti provare quello che provo io quasi ogni giorno, ma mai lui mi lascia morire. Mi tortura. E basta.
La ragazza mi puntò un dito contro. Quel "lui" doveva essere il ragazzo che la richiedeva ogni sera. Mi sentii terribilmente in colpa.
-Anche la bambina è più fortunata di noi.
Un'altra ragazza indicò Annie, la quale si nascose dietro la gamba di Stivie.
-Vi aiuterò.
Ripetei più ad alta voce.
-Non lo farà.
Era la voce di Ela, la fidanzata del capo. Mi aveva aggredita più di una volta. Mi guardai intorno. Nell'angolo dove una volta stavamo io e Fhara, adesso c'erano sedute altre due nuove ragazze. Accanto al mobile, dove stavo io, una di loro teneva in mano lo stelo secco dell'Iberis che mi aveva donato Justin prima di vendermi.
-Lo farò. Vi salverò. Lottate per adesso, siate forti.
Quel fiore riusciva a darmi la carica sempre. Non mi preoccupai che la ragazza avesse scoperto lo scheletro del fiore e i bigliettini inviati da Justin, tanto Daniel sapeva che ci amavamo e ormai conosceva anche il suo nome. I biglietti erano di importanza secondaria. La ragazza mi sorrise, aveva capito che essi erano indirizzati a me. Le avrei aiutate. Avrei aiutato Justin. Daniel meritava di morire. Avanzai.
-Tu con nuovi vestiti e noi con ancora indosso questi stracci.
Qualcuno mi accusò, mi sentii improvvisamente così imbarazzata che credetti di essere nuda, doveva essere terribile per loro vedermi in quelle condizioni. Continuai ad avanzare finché non mi trovai a sovrastare Ela.
-Puoi dire al tuo ragazzo che noi ci riprenderemo ciò che è nostro. Deve solo stare attento.

**

Sull'aereo privato che ci doveva riportare in America, guardavo la terra che stavo lasciando non sentendomi soddisfatta. Avevo fatto perdere a Justin la società, non avevo salvato quelle ragazze e avevo anche lasciato che Fhara morisse, lei non avrebbe mai più rivisto la luce del sole. Appoggiai la testa al finestrino e chiusi gli occhi. Justin mi toccò il piede con il suo. Era seduto nella poltrona di fronte a me. L'aereo era troppo spazioso per solo quattro persone.
-Che hai?
Mi chiese con voce debole.
-Niente.
Scossi la testa.
-Lo vedo che c'è qualcosa.
Insistette.
-E se lo vedi tu, allora è evidente.
Sussurrai, non era bravo a capire cosa provassero gli altri, eppure aveva intuito che c'era qualcosa che non andava.
-Già.
Sussurrò.
-Anche tu però non stai bene.
Constatai.
-Come fai a dirlo?
La sua espressione era apatica, fredda, passiva, ma la posizione del suo corpo la diceva lunga.
-Ti tieni la testa con la mano, ciò mi farebbe pensare che sei stanco, ma non sei stanco, perché sbatti continuamente il piede a terra, segno di nervosismo, se unisco i tasselli posso dedurre che hai paura per quello che succederà e sei deluso di te. Avresti voluto tenere entrambe, me e la società.
Justin rimase in silenzio con lo sguardo perso. Abbassò il braccio con cui si teneva la testa e fermò la gamba che stava muovendo.
-Cambi posizione. Segno che ho ragione.
Justin mi guardò in silenzio. Quel suo atteggiamento mi faceva stare male. Mi sentivo in colpa, avrei dovuto uccidermi quando ne avevo avuto l'occasione.
-Quinn, voglio che tu sappia che non mi pento di aver scelto te.
-So anche questo.

Dissi cercando di abbozzare un sorriso, non ricambiato purtroppo.
-Avrei potuto fare di più. Aveva ragione Daniel, non sono bravo come te o come mio padre.
-Ti sbagli.
Justin mi ignorò e appoggiò il mento alla mano. Lo guardai in faccia, alzò le sopracciglia e deglutì. Stava per mettersi a piangere, preferii non dirgli nulla.
-Prova tu adesso. Come mi sento?
Justin mi guardò dubbioso, non pensavo che riuscisse a scoprirlo veramente.
-La tua voce è priva di vitalità, non è la solita. Sei triste. Stai pensando a quelle ragazze. Vorresti salvarle per aiutare anche me.
Annuii e abbozzai un sorriso.
-Ottimo lavoro.
Justin mi ignorò e si mise di nuovo a guardare il cielo notturno fuori dal finestrino. Mi slacciai la cintura, mi alzai e mi sedetti sulla poltrona accanto a Justin. Lanciai un'occhiata verso Stivie e Annie, giocavano e ridevano, anche io mi sarei voluta sentire come loro. Annie era veramente felice, consapevole che era libera e Stivie era allegro ogni volta che lei era nei paraggi.
-Non succederà mai.
Sussurrò Justin, senza neanche voltarsi.
-Di che parli?
-Nulla
.
Biascicò. Appoggiai la mia testa sulla sua spalla e chiusi gli occhi, magari sarei riuscita a prendere sonno, non riuscivo a vederlo in quelle condizioni. Era troppo abbattuto.
-Non posso vederti così.
Lo strinsi forte in vita.
-Passarà.
Sospirò e io lo guardai dritta negli occhi.
-Magari non staresti così, se mi avessi abbandonata in India.
-Senti, una cosa è certa.

Justin mi afferrò i polsi e si sporse verso di me, il suo sguardo era determinato ed eravamo così vicini che i nostri nasi si sfioravano.
-Daniel ha detto tante cose sbagliate e cattive, ma una era vera. Ha detto che io ti sceglierei sempre, ed è così. Anche tra un milione di anni, dopo un milione di scelte, io sceglierei sempre te. Sempre.


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