5.

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Il biglietto


Mi rigiravo tra le mani il coltello della tavola calda ormai da circa dieci minuti. Vedevo il mio riflesso nella lama e mi sembrava il volto di una bugiarda. Continuavo a chiedermi se avrei dovuto aprirmi completamente con i miei genitori e non lasciargli solo una lettera. A quell'ora la avevano già letta e, probabilmente, avevano chiamato la polizia. Riuscivo a vedere mia madre disperata mentre piangeva e mio padre che cercava di consolarla, nonostante anche lui avesse perso la sua principessa. Forse ero stata cattiva ad abbandonarli, ero la loro unica figlia, ma mi sembrava la cosa giusta da fare in quel momento. Io li amavo, ma loro non credo che avessero accettato che ormai il mio posto non era più in quella casa. Continuavo a pensare e a ripensare alle parole che avevo usato, chiedendo mi se avessi fatto una scelta appropriata di lessico.

"Cari mamma e papà,

vorrei cominciare questa lettera con il dirvi che vi amo più di ogni altra cosa. Mi sono chiesta più volte se voi mi amaste quanto io amo voi e sono arrivata alla conclusione che la risposta è si.

So che fareste di tutto per il mio bene, ma so anche che non sempre capite cosa è bene per me.

In questi anni sono cambiata e non voi non volevate accettarlo. Io non tornerò mai più la bambina di prima, nonostante gli sforzi. Non sono in collera con voi. Non pretendo che voi mi accettiate, vi faccio solo un'ultima richiesta: rispettate la mia decisione.

Partirò.
Non so dove andrò, non so chi incontrerò sul mio cammino, ma devo lasciarvi. Non mandate nessuno a cercarmi, fatelo per me. Ho ucciso più di un uomo, anche recentemente, e se mai la polizia mi trovasse vi assicuro che non mi porterebbe a casa da voi, ma in una cella.

Ho imparato a cavarmela e prometto che starò bene, non dico che questa è l'ultima volta che ci sentiremo, ma spero di potere inviarvi presto mie notizie.

La vostra Quinn."

Ricordavo a memoria ogni parola, questo perché avevo cercato di scegliere le migliori e ci avevo impiegato un bel po'.

Sapevo che mi sarebbe mancato anche Criss, in un certo senso. Ma per lui era stato più semplice scrivere la lettera, perché infondo serviva solo per non farlo preoccupare, non perché ci tenessi quanto tenevo ai miei genitori.

Una mano mi posò un piatto davanti e mi riportò alla realtà. Alzai gli occhi e Justin, che era appena tornato con dei waffles fumanti, di sedette di fronte a me.

-Ti vedo pensierosa. Rimpianti?

Disse di punto in bianco.

-No, tutto apposto.

Impugnai coltello e forchetta e cominciai a mangiare la mia cena.

-Comunque sappi che hai fatto la cosa giusta.

Justin mise una sua mano sulla mia, per trasmettermi il suo amore, ma la sua voce era piatta.

-Lo so.

Non riuscivo a guardarlo in faccia, perché sapevo che sarei scoppiata a piangere. Non volevo che i miei cari soffrissero a causa mia. Dopo qualche secondo Justin riprese a parlare.

-Tu non appartenevi più al loro mondo. Il modo di vivere delle persone normali è completamente differente dal nostro. Sono due mondi diversi e una volta in un mondo è quasi impossibile abituarsi ad un altro.

-Eppure io l'ho fatto. Io vivevo nel mondo ordinario, adesso però sono qui con te.

Alzai gli occhi dal piatto e incontrai i suoi. Credeva che fossi ancora legata al mondo sbagliato?

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