35.

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I canadesi


La notte fu infernale, continuavo a sentire fitte alla schiena, alla fine pregai Justin di chiamare il medico, che era tranquillo e spiegava che non c'era nulla da preoccuparsi, nonostante le urla di Justin che non riusciva a sopportare di vedermi in quelle condizioni.

Il parto, però, non ebbe complicazioni per me. Forse di più per Justin, che continuava a stare seduto per circa cinque secondi, alzarsi, camminare per la stanza, tornare seduto e rialzarsi. Era più preoccupato di me e più volte avevo pensato che sarebbe svenuto. Continuava a imprecare contro il medico e a ordinarmi di stare tranquilla. Sudava e la sua pelle passava velocemente dall'essere color rosso acceso al pallido. Questo suo comportamento aveva fatto innervosire anche me, tanto che il medico gli aveva detto che per essere utile avrebbe dovuto provare con una spugna bagnata, intendendo che avrebbe dovuto passarmela sulla fronte, ma lui credeva che volesse dire che avrebbe calmato lui e non me, così aveva preso la spugna bagnata e l'aveva messa sulla sua fronte. Il medico fece finta di nulla per non contraddirlo, ma io non potei non sorridere per la sua ingenuità. E così, anche in un momento del genere era riuscito a farmi ridere. Era unico. Solo dopo essersi accorto della figuraccia colossale divenne ancora più rosso e si tolse velocemente il panno dalla fronte , posandola sulla mia. Dicendo che voleva solo provare se era della temperatura giusta. Feci finta di credergli e annuii, distrattamente.
Solo quando guardai per la prima volta il mio bambino mi sentii una vera madre, fino ad allora credevo di aver sottovalutato quella situazione. Comunque quello fu il momento più felice della mia vita. Il momento in cui, per una volta in tutta la mia vita, la mia mente non aveva pensato a altro, solo a mio figlio. E non ero felice solo per lui, ma anche per Justin, finalmente potevamo essere una madre e un padre insieme. Chi l'avrebbe mai pensato che il capo della società, un assassino, alla fine sarebbe diventato il padre dei miei figli?
Il primo sguardo di Justin dopo aver visto il bambino era stato...terrore. Ancora non gli avevo chiesto il perché, ma era facile da immaginare. Aveva sognato e sperato tanto di essere un padre, ma adesso che si trovava di fronte alla realtà non riusciva ad affrontarla. Era cresciuto troppo in fretta. Troppo in fretta aveva imparato ad amare e troppo in fretta aveva avuto un bambino.
Nonostante il primo terrore apparente, adesso Justin mostrava già la sua parte ansiosa e gelosa. Era in bagno con il medico e, a quanto ne avevo capito stava facendo il bagnetto al bambino.
-Non credi che l'acqua sia troppo fredda?
Chiese Justin con tono accusatorio.
-No, va bene.
Per un momento sentii solo l'acqua scorrere e un silenzio assoluto.
-Allora è troppo calda.
Disse Justin, il medico sospirò.
-Non è troppo calda.
Ci fu di nuovo il silenzio, poi Justin cominciò a parlare.
-Forse è...
Il medico lo interruppe.
-E' troppo tiepida?
Justin rimase in silenzio, forse offeso. Avrei voluto guardare la sua espressione, non solo perché doveva essere buffo, più che altro perché volevo vedere come guardava il nostro piccolo, lo amava di già quanto facevo io?
-Puoi prendermi quell'asciugamano?
Chiese il medico. Sentii i passi di Justin.
-Sei sicuro che vada bene?
Il medico sbuffò.
-Sì, va bene.
Rispose un po' seccato.
Così il medico tornò nella mia camera, con un batuffolo di asciugamano in mano. Justin era dietro di lui e guardava ancora con una strana espressione il bambino. Erano mescolati sul suo volto paura, preoccupazione, ma soprattutto amore.
Lo guardava come se avesse paura che si potesse rompere, come se ancora non potesse credere che quello fosse davvero suo figlio, lo guardava come si guarda una creatura strana che non si è mai vista prima, ma non con disprezzo, con curiosità. E fu in quel momento che mi chiesi se Justin avesse mai visto un neonato.
Il medico si chinò per farmelo tenere in braccio.
-Attenzione a non farlo cadere.
Disse Justin sporgendosi e inchinandosi vicino a me, senza perdere mai il contatto visivo con il bambino. Quando lo strinsi tra le mie braccia continuavo a sentire lo sguardo di Justin addosso a me e a lui.
-Farla cadere.
Corresse il medico. Mi voltai verso di lui che alzò le spalle.
-E' una bambina.
Spiegò. Mi voltai verso Justin che continuava a fissarla, ricordavo che aveva detto che sarebbe dovuta essere un maschio e non una femmina, ma fino ad allora non avevo capito cosa intendesse, adesso sì. Se Justin fosse diventato il capo della società di nuovo, avremmo potuto tenere la bambina, invece di dargliela a Daniel, ma come potevamo stare io e lei nella stessa società? Visto che c'era posto solo per una donna? Quando sarebbe cresciuta ci saremmo comunque dovute dividere. O magari sarei dovuta morire io, per salvare lei.
Guardai Justin in preda al panico, ma lui non sembrava più prestare attenzione a quel piccolo particolare che invece affligeva me. Guardava la bambina con occhi amorevoli e aveva solo attenzione per lei.
-E' femmina.
Dissi ad alta voce per esplicitare il concetto, magari non aveva capito bene. Justin, però, scosse la testa e finalmente sorrise. Non l'aveva fatto fin da quando era nata.
-Ed è bellissima lo stesso.
Disse solo. Era un modo per dirmi che non mi dovevo preoccupare, ma solo godermi quello spettacolo. Portai di nuovo lo sguardo sulla mia bambina, non assomigliava né a me né a Justin, non riuscivo a capire bene a chi somigliasse, ma una cosa era certa, era piccolissima e tenerissima, stava con gli occhietti chiusi ed aveva le guance rosse. Le sfiorai il naso con la punta del dito. Justin, prendendo spunto da quel gesto, mi imitò, con un gesto delicato e fugace, come se avesse paura di toccarla.
-E' morbidissima.
Disse, risi, ma lui mi ignorò, continuando a fissare quel capolavoro. In quel momento mi accorsi che Justin aveva gli occhi lucidi e piangeva.
-Ehy, che fai? Sei commosso?
F
inalmente distolse gli occhi dalla bambina e guardò me.
-Sì, sono felice.
Non si curava delle lacrime che gli scendevano giù per le guance, continuava a sorridere.
-Adesso sono sicuro che se mai dovesse accadermi qualcosa sono felice che tu e lei possiate stare bene, insieme. Non pensavo di potervi amarvi fino a questo punto.
Gli tremò il labbro.
-Di che parli?
Iniziai a preoccuparmi, ma mi sentivo anche onorata di quelle parole. Ci amava davvero tanto.
-Io comunque vado.
Disse il medico indietreggiando, era evidente che si sentiva un incomodo. Justin lo ignorò, come del resto faceva con tutti quelli che, secondo lui, non erano degni della sua attenzione, un comportamento da vero capo della società. Alcune volte mi sembrava di rivedere in lui il primo Justin che avevo conosciuto, quello crudele ed egoista, che col tempo si era nascosto nel profondo della sua personalità, lasciando fuoriuscire l'amore.
-Grazie di tutto.
Dissi, io comunque ero educata e mi sembrava scortese non calcolare una persona che mi aveva aiutata tanto. Il medico prese la sua roba in fretta e corse via, forse pauroso della reazione di Justin quando si sarebbe accorto che aveva pianto di fronte a lui. Magari credeva di poterlo punire solo perché aveva assistito alla scena, ma io sapevo che non era così.
-Dobbiamo trovarle un nome.
Disse Justin. Stava sorridendo.
-Ok, che ne dici di...
Rimasi a pensare e mi accorsi che in quel momento non c'era nessun nome che si potesse addire a quel piccolo splendore. Poi mi venne un'idea geniale.
-Margaret.
Justin mi guardò un po' sconcertato.
-Perché?
-Perché è il nome di tua madre e penso che tu abbia passato poco tempo con lei prima della sua morte, così adesso hai la possibilità di stare con nostra figlia.
Non appena lo dissi un brivido mi percorse la schiena. "Nostra figlia" era un'espressione bellissima da usare.
-No, non mi piace.
Disse Justin.
-E allora quale ti piace?
Justin fece un mezzo sorriso.
-Mary Margaret.
Mary, il nome di mia madre. Chissà cosa avrebbe pensato lei vedendo la sua nipotina, sarebbe stata una nonna eccezionale. Anche mio padre sarebbe stato contento, ne ero sicura. Mi mancavano tantissimo, soprattutto in quel momento, in cui avrei voluto condividere la mia gioia con loro.
-Mi sembra perfetto.
Annuii.

**

Il giorno dopo mi svegliai. Senza aprire gli occhi allungai un braccio per cercare il corpo di Justin accanto a me. La notte non avevo dormito quasi per niente, Mary Margaret aveva continuato a urlare per quasi tutto il tempo, alla fine si era calmata e io ero riuscita a prendere pace. Mossi la mano sulle coperte, ma presto mi accorsi che Justin non era accanto a me. Con il cuore in gola spalancai gli occhi e mi guardai attorno. Justin era chinato sulla culla e guardava la bambina. Mi chiesi quando si fosse svegliato, anzi, se si fosse mai addormentato. Di notte mi era sembrato particolarmente preoccupato e a ogni movimento era corso a controllare se la bambina stava bene.
-Buongiorno.
Dissi a bassa voce, per evitare di svegliarla. Justin, che fino ad allora era stato immerso nella contemplazione di quel dolce visino, al suono della mia voce, per poco non cadde all'indietro. Sobbalzò e si raddrizzò.
-Che fai'?
Chiesi.
-Controllo se sta bene.
Disse indicando la culla, più che parlare mosse solo le labbra. Forse anche lui era terrorizzato al pensiero che si potesse risvegliare. Io speravo solo che stessimo facendo davvero il massimo per lei, perché non essendo in un ospedale non avevamo l'attrezzatura giusta per accertarcene. Mi consolava il fatto che in antichità partorivano senza problema e i bambini, nonostante tutto, restavano vivi, anche crescendo in condizioni peggiori rispetto alle nostre.
Feci segno a Justin di venire da me, ma lui sembrò titubante all'idea di allontanarsi dalla culla. Per uno che non aveva mai visto un neonato era normale che avesse così tanta ansia e paura.
Alla fine, però, si decise e mi raggiunse.
-Che c'è?
Sussurrò.
-Niente, è inutile che stai lì a guardarla, dorme.
Justin si sedette sul bordo del letto.
-Sei sicura che stia bene?
Mi chiese.
-Non piange e dorme in silenzio. Perché dovrebbe stare male?
Justin cominciò a mordersi il labbro.
-Ma non parla, se ha bisogno di qualcosa come faccio a capirlo?
Sorrisi e questo era il suo più grande turbamento?
-Prima o poi ti abituerai a capire subito i suoi bisogni. Non ti devi preoccupare, sarai un padre fantastico.
Spiegai. Justin sembrò improvvisamente più speranzoso, ma soprattutto determinato. Strinse un pugno e lasciò che colpisse la sua coscia.
-Bene, perché non la voglio perdere.
Gli tirai una leggera pacca sulla spalla.
-Questo è lo spirito giusto.
Imitai la sua voce e cercai di ricreare la sua espressione, sbattendo il pugno sulla mia gamba.
-Non mi prendere in giro.
Protestò.
-Sono serio.
E lo era veramente. Non c'era accenno sul suo volto neanche a un filo d'ironia o divertimento, solo determinazione. Era convinto di ciò che diceva.
-Non la voglio perdere perché adesso so di essere suo padre.
Ero felice che fosse certo di una cosa del genere, ma in realtà non avrebbe potuto esserlo, non aveva fatto nessun test del DNA, anche se sapevo che adesso, facendolo, anche se avesse scoperto che era Daniel il padre, non le avrebbe mai fatto del male comunque.
-In che senso?
Justin sorrise e i suoi occhi si riempirono d'amore.
-Da quando l'ho vista la prima volta ho capito che non potevo non essere io. La amo troppo, è un qualcosa di naturale. Se non fossi suo padre penserei solo che sia una bella bambina come tante altre, ma lei è diversa. Lo so che è mia figlia, non ho dubbi.
E se davvero provava tutti quei sentimenti non avevo dubbi neanche io. E così tutti i problemi si risolvevano, era figlia di Justin e basta. Doveva essere così. Era così.
-Sì, anche secondo me è tua figlia.
Justin sorrise e ricminciò a guardare la culla.
-Non posso fare a meno di guardarla, non credevo che avere un figlio fosse davvero così, mio padre non sembrava volermi così bene.
-Te ne voleva, ma magari non lo dimostrava. E poi è normale che tu senta il bisogno di esteriorare tutto questo amore, hai odiato per troppo tempo in passato.
Justin annuì.
-Credo che tu abbia ragione.
Guardai la culla e sentii un forte bisogno di stare accanto a lei.
-Hey, me la porti?
Justin mi guardò dubbioso.
Indicai la culla, Justin seguì con lo sguardo il mio dito e, alla fine, poco convinto, annuì. Si alzò e barcollò fino alla culla. Si sporse a guardare la piccola e allungò le braccia. Credevo che la volesse prendere in braccio, invece la accarezzò solamente. Poi cominciò a tirare la culla verso di me, finché non la posizionò davanti al mio viso.
-Ecco.
Disse mostrandomela.
-Io, veramente, intendevo di portare Mary Margaret, non tutta la culla, ma va bene lo stesso.
Sorrisi e Justin arrossì violentemente. Aprì la bocca per dire qualcosa e subito dopo la richiuse e abbassò la testa grattandosi la nuca. Era sicuramente l'atteggiamento di qualcuno che stava nascondendo qualcosa, ma in quel momento non volevo chiederglielo, sentivo solo il bisogno di abbracciare mia figlia. Mi sporsi verso la culla e la presi in braccio. Dormiva con la bocca semiaperta ed era poco più grande delle mie mani. Faceva tenerezza. Più la guardavo, più mi accorgevo che assomigliava a qualcuno che conoscevo.
-A chi credi che assomigli?
Chiesi. Justin la guardava e sorrideva.
-Credo che sia troppo piccola per accorgersene, ma ha la forma degli occhi come quelli di mio nonno.
Scossi la testa.
-Non penso che assomigli a tuo nonno. Io non l'ho mai conosciuto, eppure mi sembra di rivedere qualcuno in lei.
Justin si mise le mani in tasca e cominciò a dondolare su se stesso.
-Questo perché ti ricorda Daniel.
Non era possibile, e poi Daniel non era il padre della bambina, anche Justin l'aveva escluso. Eppure, più la guardavo più iniziavo a credere che quella somiglianza ci fosse veramente. Così mi iniziavo a deprimere. Infondo era troppo piccola per trarre conclusioni affrettate, nel tempo magari avrebbe cominciato ad assomigliare a Justin, o a me.
-Vuoi dire che devo iniziare a prendere in considerazione la possibilità che Daniel...
Le parole mi morirono in bocca, non volevo ferire Justin dicendo che non era il padre. Ma lui non sembrava turbato, infatti scosse la testa.
-Assolutamente no, lei assomiglia a mio nonno, non a Daniel.
Non era possibile che per me assomigliasse a Daniel e per lui a suo nonno, erano persone diverse, che probabilmente non si erano mai incontrate.
-Cosa c'entra Daniel con tuo nonno, scusa?
Justin sospirò e si sedette accanto a me. Prese un po' di tempo e io ebbi l'impressione che mi stava per rivelare qualcosa di grosso.
-Cosa è stata la prima cosa che hai pensato davanti a Daniel?
Ripensai alla prima volta che l'avevo visto, era stato moltissimo tempo fa, eppure ricordavo tutta la paura e il dolore che avevo provato.
-Ero terrorizzata.
Justin si avvicinò ancora di più a me.
-Intendo di aspetto.
Ripensai a Daniel, era un bell'uomo, ma non erano stati i suoi muscoli o la sua bellezza a colpirmi.
-Il fatto che non era indiano. Ero nella società indiana, ma lui parlava la mia lingua senza difficoltà, chiaro di pelle e neanche nel suo ufficio c'era un arredamento particolarmente indiano.
In quel momento inziai a elaborare una teoria.
-E' degli stati Uniti?
-Non esattamente. Giusto, Daniel non è indiano, ma non è neanche di qui, lui è nato in Canada, come me.
In quel momento non mi interessava tanto Daniel, quanto quella rivelazione su Justin.
-Sei canadese?
Justin sorrise, abbandonando quello suo sguardo serio.
-Perché ti stupisce tanto?
Alzai le spalle.
-Non so, ho sempre pensato che fossi di New York, come me. Come hai fatto a ereditare la società americana allora?
Justin tornò serio.
-Vedi, mio nonno era riuscito ad ottenere Stati Uniti, India e Canada. Così era l'umo più influente sulla faccia della terra. Credendo che fosse troppo potente, gli altri stati fecero una nuova legge.
-Non pensavo si potesse modificare il codice.
Lo interruppi.
-Si può, ma richiede circa dieci anni.
Rispose distrattamente. Poi continuò.
-Comunque alla fine dovette dividere i suoi possedimenti e cedette a mio padre gli Stati Uniti, perché lui era il figlio più piccolo e il prediletto, è così che ho ereditato questa società.
-Ma questo non spiega cosa c'entra tuo nonno con Daniel.
Puntualizzai.
-Vedi, mio nonno diede gli Stati Uniti a mio padre e ad altri due miei zii il Canada e l'India. Per questo Daniel mi odia tanto, lui avrebbe voluto che suo padre ricevesse gli Stati uniti, in quanto era il primogenito.
Rimasi in silenzio. Questo spiegava perché tutto quell'odio tra Justin e Daniel, era un qualcosa che risaliva a molto tempo prima. Ecco perché fin da sempre l'intento di Daniel era stato quello di ottenere questa società.
-Quindi tu e Daniel siete cugini.
Non potevo credere che un mostro del genere potesse essere imparentato con il mio ragazzo.
-Di primo grado.
Puntualizzò Justin. Sembrava rassegnato. Non doveva essere felice di aver dovuto subire la sorte di essere il cugino più piccolo, più potente, e di conseguenza più soggetto agli attacchi nemici.
Guardai Mary Margaret, così assomigliava al nonno di Justin, che a sua volta aveva tramandato qualcosa anche a Daniel. Quella notizia mi rasserenò, voleva dire che la bambina non era necessariamente figlia di Daniel. Dall'altro lato, però, scoprire Daniel era imparentato con Mary Margaret non mi aiutava per nienete.
-Comunque io e Daniel giocavamo e stavamo sempre insieme, quando eravamo piccoli. Anche se lui già provava invidia per me, mi8 faceva i dispetti perché io ero il più piccolo e tutte le attenzioni erano rivolte a me, e non a lui. Mentre io avevo circa cinque anni e potevo giocare, lui già a quindici anni avrebbe dovuto comportarsi da adulto, secondo mio nonno. comunque non è stato questo a distruggere tutto, ma il potere. E' la brama di superiorità sugli altri che ci ha portato in questa situazione terrificante.
Anche Daniel, quindi, aveva avuto un'infanzia complicata. Cercavo di immaginare Justin da piccolo che doveva già subire le cattiverie di Daniel e cercava di vendicarsi quando il cugino più grande gli rubava le caramelle o gli rompeva i giocattoli. Ecco perché Daniel continuava a vederlo come un essere che doveva essere schiacciato. Justin non riusciva a farsi valere con lui, perché le radici del problema risalivano a un tempo troppo lontano.

Quasi come se avesse capito tutto il dolore che trapelava dalla voce di Justin, Mary Margaret si svegliò, cominciando a urlare.  




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