32.

1.2K 55 1
                                    

Carpe diem


Una volta tornati in stanza non me la sentivo di dire nulla, invce di essere felice perché io e Justin eravamo ancora vivi, continuavo a pensare a quello che mi aveva detto Daniel. E se il bambino fosse davvero stato suo? Mi sedetti in silenzio sul letto e aspettai che fosse Justin a dire per primo qualcosa. Invece, rimase in silenzio, ma trascinò la sedia della scrivania fino davanti a me e sii sedette lì. Mi sentivo con i suoi occhi puntati addosso e alla fine fui costretta a guararlo in faccia.

-Beh, sorpresa.
Dissi sorridendo. Justin scosse la testa.
-Perché non me lo hai detto prima? Daniel l'ha scoperto prima di me.
Non sembrava particolarmente arrabbiato, solo dispiaciuto.
-Non volevo che ti preoccupassi.
Spiegai.
-Ma io ti avrei aiutato. Ero preoccupato per la tua salute e tu non mi hai detto che in realtà non eri malata, Quinn, come hai potuto?
Abbassai il volto e arrossii.
-Ma volevo dirtelo. Solo che non ho avuto tempo, ogni volta che provavo a farlo accadeva qualcosa che me lo impediva.
Cercai di scusarmi.
-Per quanto tempo pensavi di mantenere il segreto?
Continuava ad accusarmi senza capire che l'avevo fatto per lui. Alzai le spalle.
-Perdonami, ho solo pensato che meno sapevi, meglio era.
Del resto lui aveva fatto la stessa cosa quando era andato in prigione, sapeva che non sarebbe morto, eppure non mi aveva detto nulla per proteggermi. Probabilmente ci pensò anche lui, perché smise di parlare di quell'argomento.
-Va bene, non importa. Ho capito. Ma da adesso in poi sempre sinceri, ok?
Rimasi immobile a fissarlo. Non avrei potuto promettere. Quello significava che gli avrei dovuto dire di Daniel e che forse c'era la possibilità che il bambino non fosse suo.
-C'è un'altra cosa che devi sapere...
Sospirai, gli avrei di sicuro spezzato il cuore, ma non volevo più mentirgli.
-Cosa?
In quel momento la porta si spalancò e solo per un secondo immaginai che entrasse Daniel, dopo, però, fui sollevata nel vedere Stivie.
-Oddio, ho saputo la grande notizia.
Stivie corse verso di me, ignorando Justin, e mi abbracciò.
-Di già?
Justin sembrava infastidito.
-Sì, ho chiamato Luke per sapere cosa era successo con il capo...
In quel momento sembrò ricordarsi che quel vocabolo avrebbe potuto turbare Justin, così si corresse.
-... cioè con Daniel e lui mi ha detto che sei incinta.
Sorrideva, era felice. Magari sperava di poter stare di nuovo vicino a un bambino come lo era stato con Annie.
-Verrò ogni giorno per farlo giocare e mi prenderò cura di lui, lo prometto.
Io fino ad allora non mi ero minimamente sentita una "mamma" e non mi ero neanche preoccupata tanto del bambino, lo avevo sempre e solo visto come un problema, mentre Stiviei già pensava a quando sarebbe nato. Mi sentii estremamente in colpa nei confronti di quella creaturina dentro di me.
-Sarà divertente.
Justin lo guardò male e socchiuse gli occhi.
-Lo sai che il padre sono io e non tu, vero?
Quelle parole mi distrussero completamente. Credeva di essere il padre. Adesso o mai più.
-Devo dirti una cosa.
Sussurrai. Justin mi ignorò mentre Stivie rispondeva.
-Certo che lo so, ma sai che amo i bambini.
Afferrai il braccio di Justin.
-Asccolta, devo parlarti.
Justin mi scansò e mi fece segno di stare in silenzio.
-Io non amo i bambini, ma di certo amo questo bambino, il mio e non permetterò che tu passi così tanto tempo di lui.
Justin stava diventando nervoso. Iniziava a comportarsi con il bambino come in passato si era comportato con me, era geloso. E per giunta odiava Stivie perché era risaputo che avesse una cotta per me e una volta in passato aveva quasi rischiato la morte baciandomi.
-Mi devi ascoltare.
Cercai di richiamare di nuovo l'attenzione di Justin.
-Deciderà Quinn se potrò veder il bambino o no.
Se fosse stato solo, Stivie si sarebbe messo a piangere. Justin era nel torto.
-Smettetela di litigare.
Urlai per farmi sentire e finalmente ottenni la loro attenzione. I due si voltarono verso di me e in quel momento di accorsero di quando fossero sembrati infantili ai miei occhi con quel litigio. Justin si voltò verso Stivie e aprì la bocca per dire qualcosa, poi però rimase in silenzio.
-Scusa, non dovevo precipitarmi così qui, è solo che ho sempre desiderato una mia famiglia, fin da piccolo. E adesso vedo Quinn che la può avere mentre io no. Quinn che era solo una cavia per esperimenti ha potuto avere un figlio, mentre io in tutta la mia vita ho solo fatto divertire una bambina, Annie.
Stivie si scusò e mi salutò muovendo una mano, alla fine si diresse verso la porta. Forse si era aspetttato un qualche saluto o delle scuse da Justin, ma non ci furono. Così, mentre era girato, diedi un leggero calcio alla gamba di Justin per spingerlo a dire qualcosa. Ma Justin non si era mai scusato con qualcuno che non fossi io. Rimase a guardarmi per un po', alla fine si alzò.
-Stivie, scusami.
Stivie si girò esterrefatto e io ero elle setsse condizioni, non credevo che alla fine Justin lo avrebbe fatto veramente.
-Cosa?
Chiese Stivie incredulo.
-Hai capito, non farmelo ripetere.
Justin sembrava volere aggiungere qualcos'altro, prese un grande respiro e sembrò liberarsi di un grande peso quando cominciò a parlare.
-E non solo per questa litigata, ma per averti privato di una famiglia. Forse non mi sono mai fatto perdonare per quello che ho fatto in passato.
Sapevo esattamente di cosa stata parlando.
-Non ti detesto solo perché hai baciato Quinn o perché è palese che ti piaccia ancora, ma perché ogni volta che ti vedo mi sento in colpa.
Stivie abbassò la testa, come per nascondere le lacrime. Stava pensando a un momento difficile della sua vita.
-In fondo è colpa mia se non hai avuto una famiglia, io ho...
Justin continuò, ma Stivie gli fece segno di smettere di parlare. Justin aveva fatto uccidere la ragazza di Stivie in passato perché rischiava di distrarlo dal lavoro, nella società ci poteva essere solo una donna e quella era Alice, la sorella del mio ragazzo.
-Non c'è bisogno che continui, ho capito. Grazie per le scuse.
Justin annuì e Stivie mi salutò di nuovo.
-Ci vediamo.
Uscì dalla porta a testa bassa.
-Sai? Credo che abbia trascorso anni a cercare di dimenticarsi di quella ragazza.
Justin si sedette sul letto accanto a me.
-Lo posso immaginare, adesso che so cosa si prova per qualcuno che ami e se potessi tornare indietro non torcerei neanche un capello a quella ragazza.
Justin mi abbraccò delicatamente e mi fece appoggiare la guancia sul suo petto. Era sempre una bellissima sensazione stare tra le sue braccia. E anche se parlava di assassini in realtà non mi sentivo preoccupata, del resto la sua parte peggiore l'avevo già vista.
Justin mi diede un leggero bacio sulla fronte, alzai lo sguardo verso di lui e chiusi gli occhi. Justin poggiò le sue labbra sulle mie per darmi tanti delicati e brevi baci. Mi strinsi ancora di più a lui e provai a immaginare la mia vita da quel momento in poi per cinque anni e otto mesi. Sarebbe stato tutto perfetto e niente l'avrebbe rovinato, niente. Mi ripromisi che avrei vissuto alla giornata e avrei colto l'attimo sempre. Senza preoccuparmi del dopo.
-C'era qualcosa che mi volevi dire prima?
Justin sussurrò sulle mie labbra. "daniel potrebbe essere il vero padre". Adesso o mai più.
Scossi la testa.
-Assolutamente niente.
Avevo deciso: mai più.

**

I giorni e le settimane trascorrevano. Iniziavo ad annoiarmi a non fare nulla, ogni giorno uscivo dalla mia stanza con Justin solo per andare alla mensa. Da quando lui non era il capo non potevamo permetterci la cena in camera, ma la cosa più brutta non era stare con gli altri, era sentirsi osseravata sempre. E adesso che ero incinta e tutti lo sapevano mi sentivo ancora di più un pesce fuor d'acqua. Solo con il tempo iniziai a vedere quello come il mio unico svago, il giorno non avevo nulla da fare così aiutavo Justin nel suo lavoro. Il mio ragazzo sembrava ogni giorno sempre più sommerso dai numeri e dai calcoli per gli affari della società.
Ancora comunque non avevo sfruttato tutti i privilegi che Daniel mi aveva offerto, perché credevo che uscire sarebbe stato pericoloso, ma in fondo non eravamo a New York, lì i passanti magari non ci avrebbero riconosciuto. E se l'avessero fatto? Nonostante né Daniel né Hari mi dessero fastidio nella mia mente frullavano altre mille preoccupazioni, anche inutili. Così sentivo la necessità di occupare il tempo in qualsiasi modo, anche svolgendo il lavoro di Justin.
-Quinn, credo che tu abbia sbagliato la divisione, non può uscire un numero così grande.
Justin teneva una matita in bocca e ricontrollava i calcoli.
-No, è giusto, credimi.
Andiamo, tutti lo sapevano che non era un granché con i calcoli, intendo dire che era bravo nel lavoro, purtroppo non riusciva a fare i calcoli senza calcolatrice, non con grandi numeri. Mi chiesi fino a che età si prendevano lezioni nella società. Nostro figlio sarebbe andato a scuola?
Justin sospirò e afferrò la calcolatrice, cominciando a digitare i numeri. Rimasi ad aspettare, alla fine posò la macchinetta e mi guardò.
-Come fai?
Disse dopo un po'.
-E' giusto.
Scossi le spalle e sorrisi imbarazzata.
-Ho passato una vita a scuola.
Spiegai.
-Anche io, qui impariamo bene la matematica proprio per questi lavori, alla fine però mi sono specializzato nella lotta, non nella matematica. E' questo che mi frega.
Spiegò. Mi chiesi se nello scegliere il lavoro da assegnargli Daniel lo sapesse.
-Comunque non sei tanto male. Prima di lavorare per questa società io odiavo la matematica.
Risi e afferrai un altro foglio sulla scrivania.
-Forza, continuiamo.
Lo incitai, Justin però continuava a non capacitarsi del perché l'operazione non riuscisse manualmente. E a causa della sua determinazione avevo l'impressione che avrebbe fissato il foglio fino a che non avrebbe trovato l'errore. Cominciai a osservare i fogli da compilare sul tavolo, erano troppi e il giorno dopo ne sarebbero arrivati degli altri. Sospirai e diedi un leggero calcio alla scrivania.
In quel momento vidi un foglietto in un angolo della scrivania. Senza farmi notare lo afferrai. Era mezzo nascosto sotto un porta penne, ma con il calcio lo avevo spostato di qualche millimetro, in modo da mostrare la carta . O Justin non avrebbe voluto che lo vedessi o non l'avrebbe nascosto in quel punto.
Senza farmi notare lo afferrai.
"Domani alle 5"
Questo c'era scritto. Perché un biglietto così semplice non si trovava tra gli altri promemoria? Cercai di pensare che fosse solo un caso, il problema era che la grafia usata non era di Justin, non l'avevo mai vista prima di allora. Anche la carta aveva un colorito giallino, diversa da qella che usava il mio ragazzo. Capii troppo tardi che avrei dovuto velocemente rimetterlo apposto, perché quando mi sporsi per poggiarlo dove l'avevo trovato, Justin abbassò il foglio e alzò gli occhi.
-Ho capito l'error... che fai?
Mi afferrò il braccio e prese velocemente il biglietto.
Ero stata beccata. Non potevo far finta di nulla, tanto valeva improvvisare.
-Che cos'è?
Restai sul vago per vedere se mentiva.
-Un promemoria. Perché l'hai preso?
Chiese.
-Volevo solo metterlo tra gli altri promemoria.
Mentii.Justin sembrò rilssarsi.
-D'accordo, mettilo pure.
Me lo porse nuovamente e io lo posai sulla colonna di bigliettini al centro della scrivania, facendo attenzione a mostrarmi intenta a leggerlo per la prima volta.
-Con chi ti devi vedere?
Justin scrollò le spalle.
-Con uno di quegli affaristi che incontro di tanto in tanto.
Annuii.
-Capisco.
Magari diceva la verità, magari era un caso che si trovasse lì, magari ci era finito mentre muovevamo tutti quei fogli. Avevo imparato a essere sospettosa, un po' troppo forse. Sapevo che non tramava qualcosa contro di me, avevo solo paura che si mettesse nei guai, tenedomi sempre all'oscuro.
-Quindi domani non ci sarai?
Chiesi.
-Purtroppo no, ma non ti preoccupare torno la sera.
Annuii.
-Ma non farmi andare a cena da sola.
Justin fece un mezzo sorriso divertito e mi accarezzò i capelli.
-Prometto che tornerò presto.
E sapevo che non stava mentendo. Non dovevo più preoccuparmi per lui perché sapevo che nessuno ci avrebbe mai potuto fare del male.
-Potrei iniziare ad abituarmi.
Mi lasciai sfuggire, Justin posò la stessa mano che prima mi accarezzava la testa sulle mie gambe e la intrecciò alla mia.
-A cosa? Se ti riferisci alle mie carezze ti potrei accarezzare tutto il giorno.
Scossi la testa.
-No, parlo del fatto che non ho più paura. Sto bene, non mi devo preoccupare per niente, devo solo vivere.
Cominciai ad accarezzare l'altra mano di Justin attorno alla mia e lui sembrò gradirlo.
-Ma tu ti devi abituare. Voglio solo che tu sia felice finché stiamo insieme.
Che bizzarra scelta di termini, lo diceva quasi come se un giorno non saremmo più stati insieme. Risi e appoggiai la testa sulla sua spalla.
-Perché ridi?
Mi chiese, in realtà soffocando una risata anche lui.
-Oltre ai calcoli, non sai neanche parlare bene. Alcune volte mi dà l'impressione che tu voglia dire qualcosa di nascosto e invece non è così.
Justin mosse la spalla scansandomi.
-Che intendi?
Mi tirai su e cominciai a spiegare.
-Ad esempio adesso. Da come hai detto "finché stiamo insieme" sembra quasi che tu abbia pianificato il giorno in cui ci lasceremo.
Sorrisi, per un istante Justin rimase immobile e mi sembrò che le labbra si incurvassero verso il basso, ma il momento dopo sorrideva di nuovo e cercava di afferrarmi la mano.
-Sei pazza? Non succederà mai, io starò sempre con te, in un modo o nell'altro.
Justin rise e si avvicinò a me per darmi un fugace bacio sulle labbra.
-E comunque pensi troppo Quinn, è questo il tuo problema. Rilassati e vedi che riuscirai a stare meglio. Non preoccuparti di nulla, penso a tutto io.
Ipotizzai che non si riferisse a un evento in particolare, ma più in generale mi stava invitando a vivere come una persona normale accanto a lui.
-Va bene, da domani mattina ci divertiamo.
Justin arrossì e mi guardò dritta negli occhi.
-In realtà c'è ancora una promessa che ti ho fatto a New York, ma che non ho mantenuto.
Ripesai alle promesse che mi aveva fatto a New York, ma non mi veniva nulla in mente di particolare in quel momento.
-Di cosa parli?
Chiesi.
-Domani vedrai.
Il sorriso di Justin era divertito, mi diede un altro bacio sulla guancia e mi lasciò le mani, per ritornare al suo lavoro. Sospirai. Infondo avrei dovuto aspettare ventiquattro ore, non erano tante. 



MadhouseDove le storie prendono vita. Scoprilo ora