Vulnerabilità
Gli anni passarono e oni giorno ci avvicinavamo al fatidico momento. Era quasi impossibile ignorare cosa sarebbe successo quando Mary Margaret avrebbe compiuto 5 anni. Ogni giorno tornavo dal lavoro ed ero grata di vederla sul pavimento a giocare spensierata. Daniel era il tipo di persona che rispettava i patti stipulati, eppure avevo paura che, stanco di aspettare, sarebbe venuto a prenderla prima. Justin sembrava sicuramente più tranquillo di me. Il pomeriggio lavorava e quando non poteva dare retta a Mary o, come la chiamava lui M&M, a farle compagnia veniva Stivie. Ovviamentre la nostra piccola preferiva giocare con lui piuttosto che con il padre. Stivie si sapeva adattare, mentre Justin continuava a cercare di insegnargli come lottare, più o meno quello che aveva fatto suo padre con lui. Nonostante ciò Mary Margaret era felice quando poteva trascorrere del tempo con lui o con me, visto che quei momenti erano rari. La cosa che mi lasciava più sbalordita era tuttavia il fatto che Justin accettava la presenza di Stivie nella nostra camera e non gli dava fastidio quando Mary mostrava di essere più divertita con lui piuttosto che con Justin stesso.
Quel giorno quando entrai Justin e Mary Margaret stavano seduti l'uno di fronte all'altro e giocavano con dei peluches. Erano dolcissimi, con il tempo Mary aveva iniziato ad assomigliare un po' anche a me, almeno così diceva Justin, soprattutto per il comportamento. Era molto determinata e permalosa, non sempre andavamo d'accordo io e lei. Mary vedeva Justin come una persona dolce e permissiva, io lo ero un po' di meno e a lei non sempre piaceva questa situazione, ma mi voleva bene ugualmente.
Justin alzò gli occhi su di me e mi indicò.
- Guarda chi c'è, M&M. C'è mamma.
Mary mi guardò, abbandonò i giocattoli con chi stava giocando e mi corse in contro abbracciandomi. Io mi inginocchiai per ricevere il suo abbraccio e, senza lasciarla, mi alzai in piedi, tenendola in braccio.
-Allora? Che facevate di bello?
Anche Justin si alzò e ci raggiunse.
-Giocavamo. Ti presento Seamus.
Mi mostrò un peluche a forma di cavallo.
-L'hai comprato tu?
Justin annuì.
-Non credo sia legale comprare tutti questi giocattoli con i soldi della società, lo sai?
Quei soldi dovevano servire per le emergenze, ma Justin li usava sempre per comprare giocattoli alla bambina. Del resto anche quando era il capo mi aveva fatto moltissimi regali costosi, non preoccupandosi dei soldi che sottraeva alla società.
-Ma per lei farei di tutto.
Ecco un altro motivo per cui Mary preferiva lui a me. Justin gli comprava i giocattoli, mentre io no, perché avevo paura che Daniel potesse accorgersi di tutti i soldi che avevamo speso e potesse punirci. E per questo non assecondavo i desideri di mia figlia? Da quando ero diventata così codarda? Semplice, da quando lei era venuta al mondo. Tutta la mia paura derivava dal fatto che credevo che sarebbe bastato un passo falso per incitare Daniel a ucciderla. Un po' come era successo con Justin dopo aver conosciuto me. Prima era sempre stato senza cuore, un lupo solitario, mentre dopo era diventato più debole perché teneva alla mia incolumità.
Justin mi stampò un lieve bacio sulle labbra e accarezzò la testa di Mary.
-Perché non sei al lavoro?
Chiese.
-Torno subito, volevo solo salutarvi e vedere come stavate.
Justin sapeva che quella visita era dovuta al fatto che avevo paura che Daniel avesse potuo fare del male a Mary, ma si limitò solo a darmi un consiglio.
-Quinn, non preoccuparti più di quanto tu debba già fare. Ci sono io qui.
Anche lui, però, sapeva che era inutile dirmelo, non riuscivo a non preoccuparmi per Mary Margaret, ormai eravamo troppo vicini a quel giorno e presto avrei dovuto abbandonarla. Ogni momento che trascorrevo lontano da lei mi spingeva a tornare in camera per stare con mia figlia e con il mio fidanzato. I miei pensieri erano sempre rivolti a loro.
Mary mi fece segno di metterla giù, così feci, subito dopo mi afferrò la mano e cercò di trascinarmi verso il letto, lì dove era seduta prima che io entrassi.
-Mamma, vieni a giocare con noi.
Disse con sguardo implorante. Mi chinai su di lei.
-Tesoro, devo andare a lavorare, hai sentito papà, no?
Mary saltellò su se stessa.
-Almeno un minutino.
Insistette. Come potevo dirle di no?
-Dieci minuti, va bene?
Sul volto di Mary si dipinse un sorriso e mi trascinò fino al letto. Justin si sedette a terra, dove era prima, Mary si posizionò accanto a lui e mi inginocchiai a terra davanti a loro. Mentre Mary sceglieva i peluches da utilizzare i capelli biondi e lisci le ricadevano sul viso, nascondendo le sue guance rosse.
-Mary.
La chiamai e lei mi guardò.
-Devi mangiare di più, sei troppo magra.
Lei mi ignorò e continuò ad armeggiare con i giocattoli. Poteva sembrare una richiesta innocua, ma Justin mi guardò di storto, sapeva che non lo era affatto. Una volta in India sapevo cosa avrebbe mangiato: nulla, o il massimo a cui poteva aspirare erano le zuppine giornaliere che sapevano solo di acqua sporca. A quel punto i chili in più le sarebbero serviti per sopravvivere. Mi venne una stretta al cuore, ma cercai di non mostrarlo.
-Quinn, Quinn, calma.
Ordinò Justin, cominciai a tremare. Lui allungò una mano, non sapevo se per accarezzarmi, per afferrarmi o per scuotermi e dirmi di mantenere la calma di fronte a lei. Comunque Mary mi si piazzò davanti con un peluche rosa, impedendo a Justin di raggiungermi. Solo il quel momento si rese conto che non stavo bene.
-Cosa hai? Mamma, stai bene, dobbiamo giocare insieme.
Afferrai il peluche e in quel momento mi accorsi che era un unicorno.
-Un unicorno?
Effettivamente mi sembrava strano che Justin le avesse comprato qualcosa di rosa.
-Sì, me l'ho ha chiesto lei, non potevo non comprarlo.
Spiegò. Sorrisi, Justin avrebbe voluto crescerla come un vero e proprio guerriero, la faceva vestire di nero come noi, le regalava armi giocattolo e poi Mary lo smontava chiededendo giocattoli di peluche rosa. Quanto ci avrebbe messo Justin a capire che era solo una bambina? E non una soldatessa?
-Perché ridi?
Chiese.
-Niente.
Justin non ebbe il tempo di chiedere ulteriori informazioni perché Mary gli si piazzò davanti con un orso nero.
-Visto che a papà piace il nero lui farà questo.
Poi si voltò verso di me.
-Mamma? A te piace il rosa vero?
Annuii e lei sembrò felice. Aveva la sua famiglia riunita con cui giocare, peccato che sia io che Justin presto avremmo dovuto lavorare.
-E Seamus?
Chiese Justin, mostrandosi triste.
-Il cavallo?
Justin annuì e mi fece l'occhiolino. Mary si guardò intorno.
-Non so dove è.
Disse dopo un po'.
-Ma tanto adesso non ci serve.
Alzò le spalle e si sedette nel mezzo tra me e Justin.
-Ma io ero affezionato a Seamus.
Protestò Justin.
-Zitto.
Mary gli fece segno di tacere e Justin sussurrò.
-Siete uguali.
Risi, effettivamente un comportamento del genere era proprio da me, sicuramente il gesto di zittire le persone Mary Margaret lo aveva imparato proprio da me.
Giocammo per qualche minuto, alla fine, tra le proteste di mia figlia dovetti alzarmi per tornare a lavorare. Mary mi si aggrappò alla gamba per non farmi muovere.
-Devo andare, Mary, ti prego, non vorrei, ma non ho scelta.
Mossi la gamba, ma Mary non si staccava.
-Visto? E' determinata come te, siete uguali.
Justin alzò le spalle e camminò verso di noi.
-Ma perché Dio mi vuole così tanto male? Perché mi è toccata la sorte di dover sopportare due Quinn?
Sapevo che scherzava perché rideva. Gli tirai una pacca sul braccio e lui fece finta di provare dolore.
-Aiutami invece di scherzare.
Justin si inginocchiò e cominciò a parlare a Mary Margaret.
-Senti piccola, mamma deve andare a lavorare, ma torna presto, prima la lasci e prima torna. Capito?
La sua voce era dolce e ragionevole, di certo essendo lei sua figlia aveva imparato a trattarla bene, aveva piano piano capito come comportasi con i bambini e sicuramente la trattava meglio di come in passato aveva trattato Annie. Ero fiera di lui. Sicuramente in quel momento si stava comportando meglio di me, le parlava, mentre io quando gli avevo chiesto aiuto, intendevo di togliermela di dosso con la forza.
-Ma io voglio mamma adesso, non dopo.
Ribatté Mary.
-Senti, perché non facciamo un patto? Tu adesso lasci mamma e in cambio lei guarda cosa hai imparato oggi.
Mary ci pensò un po'. Alla fine lasciò la mia gamba per attaccarsi al collo di Justin. Lui la prese in braccio e la mise in piedi sulla scrivania. Corsi lì perché avevo paura che potesse cadere, ma Justin non sembrava curarsene. Prese qualcosa da sotto il letto e tornò verso di noi. Mise in mano alla bambina un oggetto scuro. Appena lo riconobbi i nervi salirono a fior di pelle.
-Non puoi dare a Mary Margaret una pistola, sei pazzo?
Gliela tolsi dalle mani immediatamente.
Justin intanto si era posizionato dall'altra parte dellla stanza con un bersagio in mano.
-Non è una pistola vera, calmati, Quinn. E' una pistola a pallini, non fa male. Deve solo colpire il bersaglio.
La guardai meglio, effettivamente non era una vera arma, era come le altre finte che gli aveva comprato, ma questa aveva una certa aria minacciosa che la faceva sembrare vera. Non era il solito gioco, questa pistola serviva veramente per allenarsi a uccidere. Justin non giocava più, adesso veramente stava allenando un soldato.
-E se mai si sparasse il bocca? Si affogherebbe con i pallini.
Justin rise, ma era palesemente e infastidito.
-Perché mai si dovrebbe sparare in bocca? E poi io ho ricevuto la mia prima arma a cinque anni, lei tra poco li compirà e non penso che nessuno gliene darà mai una lo stesso, almeno fai in modo che impari così come si uccide e come si sopravvive.
In quel momento capii che Justin le aveva regalato una pistola del genere per lo stesso motivo per cui io le avevo detto di mangiare di più. Una volta in India avrebbe dovuto difendersi da sola e noi non avremmo potuto aiutarla. Justin aveva ragione, riconsegnai la pistola a nostra figlia e lei la puntò contro il bersaglio tenuto da Justin.
-Forsa, colpisci.
La incitò Justin, lei sparò e colpì quasi il centro del bersaglio. La presi in braccio e mi avvicinai a Justin, per controllare il bersaglio.
-Ma è...
-Bravissima.
Concluse Justin, le scompigliò i capelli.
-Ottimo colpo, Mary.
Misi a terra la bambina, sembrava fiera di ciò che aveva fatto.
-Credevo che non ti piacessero le armi.
-No, mamma, a me piacciono, a te non piacciono.
Aveva ragione, avevo sempre incolpato Justin pensando che lei preferisse giocare piuttosto che lottare, ma non era così. Nostra figlia non era come le altre bambine, lei era strana, forse un po' come me o come tutti i soci della società. Lei era vissuta tra le nostre armi e quello era il suo futuro, combattere.
-Da grande voglio essere proprio come te e come papà.
Spiegò.
-Perché voi combattete sempre.
Detto ciò tornò ai suoi peluches. E io diedi un bacio a Justin.
-Vado a lavorare.
Spiegai.
Justin annuì e si avvicinò alla scrivania.
-E lo stesso faccio io, tanto tra poco verrà Stivie.
Detto ciò si sedette e cominciò a sfogliare le sue carte. Io misi una mano sul coltello che portavo sembre con me. Mentre Justin era sommerso da carte, fogli, penne e calcolatrici, quando andavo in palestra io ero sempre minacciata da coltelli, pugni, calci, armi da fuoco. L'ironia della sorte.
Uscii dalla stanza in silenzio e cominciai a camminare lentamente verso la palestra. Più camminavo più pensavo alla piccola Mary che non poteva stare con la sua mamma, ecco eprché camminavo lentamente, così avevo l'impressione di trascorrere più tempo con lei.
Una volta arrivata entrai in palestra, i ragazzi che si dovevano allenare mi aspettavano chiacchierando accanto al ring. Quando mi videro smisero di parlare e porsero la loro attenzione a me. Finalmente, dopo tanto, ero riuscita a farmi rispettare e loro alcune volte sembravo addirittura temermi, era in quei pochi momenti che mi sentivo forte. Li raggiunsi, indicando l'angolo dei pesi.
-Cinque di voi, da quella parte.
Ordinai. Invece di muoversi loro però cominciarono a fissare qualcosa dietro di me. Alcuni erano meravigliati, altri confusi, altri avevano uno sguardo mite e dolce. Mi voltai. Dietro di me c'era Mary Margaret che mi aveva seguita fin dalla stanza, probabilmente all'insaputa di Justin. Corsi verso di lei, quasi con l'intento di nasconderla a loro. Non volevo che le facessero del male, ma, onestamente, avevo anche paura che, vedendola, avrei perso il rispetto gadagnato con tanta fatica. Era lo stesso sentimento che Justin provava quando si era innamorato di me e cercava di nascondermi ai soci. Io ero il suo punto debole, come Mary Margaret lo era per me.
-Che fai qui? Ti avevo detto che sarei tornata.
Cercai di assumere un tono autoritario e adirato, ma Mary mi abbracciò, stringendo il suo volto contro le mie gambe.
-Mammina, mi mancavi.
Dopo un po' alzò la testa per guardarmi, i suoi occhi erano lucidi e grandi.
-Non ti arrabbiare.
Disse. Lanciai uno sguardo aui ragazzi dietro di me, avevano paura della mia possibile reazione, non le avrebbero mai fatto del male.
-Puoi restare, ma non fare mai più una cosa del genere? Chiaro?
Non appena lo dissi, mi sentii male. Certo che non l'avrebbe mai più fatto, sarebbe andata a vivere in India, da Daniel.
-Intendo, segui sempre le regole, qualunque cosa accada, non fare di testa tua.
Dissi, inginocchiandomi. Magari se fosse stata calma e buona l'avrebbero risparmiata, non come avevo fatto io, come aveva fatto Fhara o Annie. Tutte eravamo state punite per questo.
-Ma mamma, tu non rispetti mai le regole.
Puntualizzò Mary.
-Quando papà ti dice di fare una cosa tu non la fai mai.
Mi puntò un dito contro.
-E tu non fare come me? Va bene?
Era dolcissima, e intelligente, sicuramente avrebbe trovato un modo per fuggire dalle grinfie di Daniel, ne ero certa. Mi alzai e la afferrai per una mano, portandola accanto al gruppo di ragazzi ancora fermi davanti al ring. Richiamai i cinque a cui avevo ordinato di andare a fare pesi e loro si affrettarono a rangiurere l'angolo della stanza. Io salii sul ring.
-E' tua figlia?
Chiese un ragazzo. Non risposi. Ero l'unica donna nella società e lei mi aveva chiamato "mammina" di fronte a tutti, di chi poteva essere figlia secondo loro?
-Martin, vediamo cosa hai imparato.
Feci segno a uno dei primi ragazzi con cui avevo cominciato a lavorare di salire sul ring. Martin era il mio migliore allievo, imparava velocemente e, anche se non riuscivo a reputarlo particolarmente intelligente, era molto forte e sicuramente sapeva combattere. Per le dimostrazioni sceglievo sempre lui.
Notai che anche Mary si avvicinò al ring, fortunatamente era troppo alto perché salisse.
-Resta indietro tu.
Le dissi, lei, stranamente obbediente, indietreggiò fino a sbattere contro i ragazzi. Uno di loro si inginocchiò e le pizzicò una guancia.
-Ma come sei bella.
Mary sembrò felice di quel commento inaspettato.
-Anche tu.
Disse. Il ragazzo scoppiò in una grossa risata, ma quando si accorse di avere il mio sguardo puntato addosso si tirò su e cominciò a guardarsi le scarpe, imbarazzato.
-Prestate attenzione a me.
Li incitai. Mi voltai così verso Martin, girava sul ring facendo stretching e saltellando, in una sorta di riscaldamento.
-Ok, attacca.
Lo incitai. Martin così si fermò e prese un lungo respiro. Per un momento fummo solo io e lui nel silenzio più assoluto, il secondo dopo lui fece un passo avanti e sferrò un pugno che riuscii a parare.
-Troppo prevedibile.
Dissi allontanandolo. Martin sembrò innervosirsi.
-Riprovo.
Disse. Annuii. Mi chiedevo cosa pensasse Mary mentre mi vedeva picchiare la gente, tanto avrebbe assistito a cose peggiori nella sua vita, era meglio abituarla da prima.
In quel momento Martin attaccò con lo stesso pugno di prima, per poco,ma riuscii a pararlo, non mi aspettavo che lo riproponesse. Il problema era che non si fermò lì. Quel pugno arrivato da destra era solo un diversivo, il vero attacco fu il pugno che mi colpì sullo zigomo sinistro e che mi storidì, tanto che quando mi tirò un calcio caddi a terra sbattendo il mento.
Non mi mostrai, però, abbattuta. Alzai il pollice per indicare che andava bene e, in quel momento, mi accorsi che qualcuno stava piangendo. Strizzai gli occhi e, quando la stanza smise di girare, focalizzai Mary Margaret che piangeva e correva verso il ring. Per un momento pensai che piangesse per me, poi mi accorsi che non era così. Senza neanche curarmi del mio avversario, scesi in fretta e mi inginocchiai davanti a lei, che continuava a piangere a singhiozzi.
-Che succede?
Chiesi scuotendola, Mary non rispose e continuò a tremare spaventata.Un ragazzo ci raggiunse, aveva lo sguardo mortificato, per poco non piangeva anche lui. Mi tirai su.
-Io le ho tirato uno schiaffo, ma credevo fosse una carezza, non pensavo che i bambini fossero così delicati, mi dispiace, la volevo solo accarezzare, perdonami. Era una pacca di amore la mia, non volevo. Non volevo!
Il ragazzo continuava a piangere e chiedermi perdono, mi faceva pietà, ma non riuscivo ad accettare che avesse fatto piangere la mia bambina. Anche Justin non aveva mai visto un neonato prima di lei, ma di certo non l'aveva picchiata pensando che fosse una carezzza. Mentre il ragazzo ancora si scusava, strinsi un pugno e lo colpii in piena faccia.
-Nessuno può fare del male a mia figlia.
Per poco non cominciavo a piangere io. Quando la mia piccola sarebbe andata in India chi l'avrebbe difesa? Avrebbe pianto tutto il tempo? La presi in braccio e mi incamminai verso la porta, il suo posto era da Justin, la palestra e il ring non erano posti per lei. Tanto meno l'India.
STAI LEGGENDO
Madhouse
Fanfiction-Benvenuta. Un uomo con giacca e cravatta che conoscevo ormai molto bene mi fece accomodare nel suo studio. -Stenditi e rilassati. Attraversai l'ampia stanza, adornata con mobili di legno e tappeti dai colori caldi, e mi stesi sul divanetto di pe...