18.

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Colubride


Tre giorni passarono velocemente, a parte gli incubi terribili che animarono le mie notti, chiudevo gli occhi e vedevo persone scheletriche a causa della fame, Fhara che veniva uccisa più volte nello sesso sogno, Annie che non piangeva, ma mi guardava con gli occhi persi, Daniel che mi torturava a causa della morte di Akash e Justin che non faceva nulla per salvarmi.

Speravo che Chirag, il cuoco misterioso o Justin mi mettessero al corrente del famoso piano di Daniel, ma in realtà, nessuno che fosse dalla mia parte, lo faceva. Alla fine della giornata toccava a me formulare delle ipotesi sulle possibili intenzioni del capo. Speravo che Daniel decidesse solo di ritardare il suo piano di un giorno, così io sarei potuta scappare con Justin.

Dopo la morte di Fhara le altre ragazze mi guardavano con aria di disprezzo. Dopo avermi vista per tanto tempo come la loro via di fuga, e, successivamente, come una vittima, adesso per loro potevo presentare un pericolo. Credevano che fossi stata io a mettere in pericolo Fhara e che avrei potuto farlo anche con loro. E io mi sentivo sempre più in colpa, nonostante le belle parole di Nawal. Le ragazze non speravano più che potessi salvarle e, da una parte, mi avevano quasi convinto. Avrei preferito mille volte fuggire e non tornare mai più, ma mi ero ripromessa di farle uscire da lì lo stesso, ma lo avrei fatto dall'esterno, perché dopo aver considerato i vari piani di fuga, avevo constatato che era impossibile far muovere insieme una moltitudine di persone così consistente, senza che qualcuno ci andasse di mezzo.

Quel giorno ero consapevole che Daniel avrebbe attuato il suo piano e ciò non mi rendeva particolarmente entusiasta. Justin mi aveva detto espressamente in un bigliettino di prendere tempo, ma sapevo che avrei dovuto pensare sul momento a come fare. Annie, ignara di tutto, giocava con le altre due gemelle davanti a me e sorrideva in continuazione. Avrei voluto anche io essere felice come lei. Infondo non sapeva cosa fosse l'esterno e, per lei, vivere in quel modo e giocare senza bambole o senza nulla era normale. Mi incuriosiva solo il fatto che, nonostante la morte di Fhara, lei fosse così serena.

Mentre la guardavo da lontano la porta si aprì e qualcuno entrò nella stanza. Da quando Akash era morto, nessuno si preoccupava più quando la porta veniva aperta, anzi eravamo tutte molto più rilassate. Chiusi gli occhi, decidendo che forse sarebbe stato meglio per me riposare, visto che la notte non avevo chiuso occhio per colpa degli incubi. Improvvisamente sentii qualcuno liberarmi dalle manette e aprii gli occhi in agitazione. Essere libera mi avrebbe dovuto rassicurare, ma sapevo che chiunque fosse, lo aveva fatto perché Daniel era pronto per attuare il suo piano. Davanti a me vidi Chirag, aveva la fronte corrucciata e lo sguardo serio.
-Il capo ti aspetta.
Disse semplicemente. Tremante cercai di alzarmi, dovevo prendere tempo, rilassarmi e prendere tempo, questi erano gli ordini del vero capo, quello da cui mi sarei fatta comandare in ogni occasione senza ribattere, Justin. Sospirai e massaggiandomi il polso, che fino ad allora era stato sempre legato, se non quando era stato il mio turno per andare in bagno. Guardai Annie con un sorriso, sembrava preoccupata, sperai che con la mia espressione si rasserenasse nuovamente. Non aveva più nessuno. Fhara non c'era a consolarla questa volta.
Nel mio intento di guardare Annie per calmarla sbattei contro qualcuno davanti a me. Mi voltai massaggiandomi la fronte. Non appena lo vidi feci un passo indietro, diffidente, e pestai il piede a Chirag, che andò a sbattere contro la porta per allontanarsi.
-Sai creare solo grandi casini, vero?
Chiese il ragazzo sorridendo, come solo lui sapeva fare. Gli occhi verdi e profondi guizzavano da una parte all'altra, posandosi prima su di me, poi su Chirag.
-Forza, andiamo.
Si voltò di spalle e si passò una mano tra i capelli rossi. Mi bloccai immediatamente. Io non avrei seguito quel traditore, io non avrei passato neanche un momento con Paul.
Non mi interessava se era andato con Justin in Russia, lui ci aveva mentito. Si era mostrato per anni amico di Justin e, non appena lui se ne era andato, aveva introdotto nella società una cavia che gli assomigliasse, affinché io, dopo averla vista, la liberassi. E così era riuscito, grazie al mio aiuto, quasi a distruggere la società. Ritrovarlo in india, dopo poco, mi era sembrato un voltafaccia a Justin e, finalmente, avevo capito il suo piano. Lui aveva sempre lavorato per Daniel, nonostante ciò, la sua figura restava enigmatica, infatti mi aveva spiegato che teneva alla società statunitense, ma non gli andava giù il modo in cui era governata da Justin.

Chirag mi spinse con fatica, fuori dalla porta e io fui costretta a seguire Paul per i corridoi. Anche io ero stata vittima dei suoi sorrisi perfetti e incantevoli, in quel momento, però, avrei voluto colpirlo in testa. Quasi come se potesse sentire i miei pensieri, tornò al mio fianco e decise di camminare al mio passo.
Feci finta di non dargli peso e camminai a testa alta fino all'ufficio di Daniel. Chirag, alle nostre spalle, probabilmente, aspettò che Paul bussasse, ma notando che non lo faceva, ci superò per colpire la porta.
Daniel disse qualcosa in indiano e lui aprì la porta per farci passare. Entrammo.
-Chirag, adesso puoi andare.
Avrei preferito che Paul fosse congedato, per avere qualcuno dalla mia parte nella stanza, ma la fortuna non doveva essere dalla mia parte, a quanto pareva. Comunque Chirag obbedì chiudendo la porta. Fui costretta da Paul ad avanzare nella stanza per poi fermarmi a circa due metri da Daniel.
E così finalmente avrei scoperto il fatidico piano. Prendere del tempo. Dovevo prendere tempo.
-Ti vedo preoccupata.
Disse Daniel di punto in bianco. Alzai la testa e lo guardai con lo sguardo più deciso che potessi avere. Non mi dovevo mostrare così vulnerabile.
-Sensi di colpa per aver ucciso un uomo innocente?
-Innocente?
Risi. Akash non era innocente, era l'unica persona che meritasse di morire.
-Comunque se pensavi di mandare in crisi l'intero sistema di questo posto con questo insignificante omicidio, ti sbagliavi.
Daniel scrollò le spalle.
-Infatti ci hai messo poco a rimpiazzarlo.
Mi voltai verso Paul. Mentre Chirag era incaricato di scortare le persone da una stanza all'altra dell'edificio e doveva chiamarle dalla stanza, Akash aveva dovuto per tutto quel tempo compiere il lavoro sporco. Punire, frustare, uccidere, picchiare. Adesso per fare ciò avevano Paul, che nella società Americana aveva avuto lo stesso incarico che rivestiva Chirag adesso.
-Già un buon dipendente, davvero.
Disse Daniel. Più guardavo Daniel più il mio odio per quel posto aumentava. Se Daniel avrebbe spezzarmi con la morte di Fhara, aveva ottenuto l'effetto contrario. Mentre l'incontro con Justin e le frustate di Akash mi avevano indebolito, la scomparsa della mia migliore amica mi aveva rafforzato. Mi sentivo carica, potente e determinata quanto la prima volta che avevo parlato con Daniel, quando lo avevo attaccato e lui aveva aizzato un boa contro di me. L'odio mi ribolliva nelle vene e non riuscivo a tenere a freno la lingua. Anche se ero disarmata, sapevo che almeno avrei potuto provare a ferirlo verbalmente.
-Sai, è strano che ti serva qualcuno come Akash o Paul che faccia il lavoro sporco. Nella nostra società – ed enfatizzai "nostra"- è Stati Uniti a uccidere e massacrare chi lo merita. Tu non lo sai fare o hai paura di sporcarti le mani?
Daniel iniziò a capire che ero tornata forte e arrogante quanto prima, questo sembrò indurirlo. Con me era sempre stato menefreghista, mi usava per portare Justin da lui, ma non lo avevo mai visto così innervosito con me.
-Effettivamente uccidere una persona e incaricare qualcun altro di farlo non è la stessa cosa.
Aggiunsi ironica.
-Come sei simpatica oggi, a renderti così sono i rimorsi per la morte della tua amica? E' colpa tua se è morta infondo.
Strinsi i pungi, decisa più che mai a colpirlo in faccia, ma non feci in tempo a muovere il braccio neanche di mezzo centimetro che Paul mi afferrò per bloccarmi, quasi come se avesse previsto le mie intenzioni.
-Non l'ho uccisa io.
Mi limitai a dire.
-E neanche io.
Ribatté Daniel.
-Non sapevo se avessi detto a qualcuno la strada per fuggire e dovevo dare l'esempio per mostrare cosa sarebbe accaduto a chi avesse provato a scappare, ma, ovviamente, non potevo uccidere te. Non in quel momento e in quel modo, almeno.
-Tu sapevi che conoscevo la via per scappare anche prima che partissimo per la Russia, vero?
Gli sputai contro.
-Vero, ma non avrei potuto uccidere la tua amica prima, mi serviva per ricattarti. Senza Fhara tu non mi avresti obbedito.
Mi sentii presa in giro, avevo fatto la figura di un' ingenua.
-Infatti.
Risposi semplicemente.
-Ringrazia il cielo che hai ancora Annie. Neanche io sarei così crudele da uccidere una bambina.
Così dicendo si voltò di spalle e prese il mano qualcosa di piccolo e luccicante, una chiave.
-Se fossi fuggita con Stati uniti quel giorno dalla Russia tu non le avresti uccise, vero?
Come ero potuta essere così scema? Certo che non lo avrebbe fatto, lui voleva solo avere me in pugno, non gli interessava delle mie amiche.
-Ma come siamo svegli oggi.
Disse muovendosi verso di me.
-Peccato che per poco.
Mi mise una mano sulla spalla e fece pressione.
-Inginocchiati, per favore.
Ripensai alla penultima volta che ero stata in quella stanza. Dopo che mi aveva fatto inginocchiare, Akash aveva iniziato a percuotermi ripetutamente con la frusta. Guardai nella direzione della scrivania, dove mi avevano fatta appoggiare, per torturami. Impallidii al pensiero della frusta che schioccava in aria e mi colpiva la schiena. Improvvisamente sentii una fitta di dolore alla schiena prodotta dal ricordo. Il pavimento era pulito, il legno della scrivania presentava ancora delle chiazze rosse del mio sangue. Non lo avrei sopportato di nuovo. Non potevano frustarmi su quelle cicatrici che avevano smesso di dolermi da poco. Guardai di novo Daniel e quasi in uno stato di trans dissi solamente:
-No.
-Ascoltami, io devo portare Stati Uniti qui e se la tortura non è bastata, il nostro finto amore neanche, adesso, beh...

Mi guardò dritta negli occhi come se fosse la cosa più chiara del mondo, come se l'avessero capita tutti. Tranne me. Quali erano le sue intenzioni, se non mi voleva più torturare quale ara il suo famoso piano?
-Non ci vorrà tanto, subito dopo non soffrirai più, starai bene.
Un'idea si stava formando nella mia mente, ma non era ancora nulla di definito finché lui non aggiunse:
-Per sempre.
Il suo piano era quello di uccidermi.
-No.
Ripetei più convinta di prima, anzi, indietreggiai. Dovevo prendere tempo. Un giorno, solo uno e sarebbe arrivato Justin. Di certo non avrei potuto dirglielo. Se lo avessi fatto Daniel avrebbe posizionato guardie ovunque e lo avrebbe catturato. Per salvare la mia vita lo avrei condannato alla morte.
-Quinn, non essere testarda.
Si limitò a dire Daniel, la sua espressione era tornata la stessa apatica di sempre quando parlava con me.
-Probabilmente Stati uniti verrà dopo averti vista morta, almeno per vendicarsi. Non capisco perché non si è sbrigato prima, ma alla fine ha condannato la sua amata a una morte certa.
Elaborai velocemente una risposta per dissuaderlo dal suo piano.
-Se lui non è venuto per tutto questo tempo ci sarà un motivo. Non mi ama più, mi ha venduta, mi ha vista torturata e non ha fatto nulla per salvarmi.
Daniel sorrise.
-Sai, stavo arrivando anch'io a questa conclusine, finché non ti ho vista nel salone in Russia, eri con lui prima che arrivassi.
Mi immobilizzai. Pensavo che non lo avesse sentito. Ma lui non lo aveva sentito, stava solo ipotizzando che fossimo insieme.
-Ti sbagli, io sono andati lì sperando di trovarlo, ma non c'era. Per questo ho preso un bicchiere di vino. Volevo affogare la mia tristezza nell'alcol.
Daniel non sembrava convinto.
-Era la mia unica e ultima occasione per provare un po' di sollievo. Una volta tornata in India non avrei più avuto dell'alcol o dei tranquillizzanti che mi facessero dimenticare.
Daniel sembrò pensarci su, alla fine si portò alle mie spalle e io mi voltai per non perderlo di vista.
-Comunque tutto ciò non fa differenza.
Disse di punto in bianco, guardandomi negli occhi.
-Se ti ama, come dico io, la tua morte lo porterà da me. Se non ti ama, come dici tu, il filmato non gli farà né caldo né freddo. In più Stai Uniti o no, sei diventata una minaccia. Non posso permettere che le altre ragazze ti vedano come un faro di speranza, o peggio, non posso permetterti di uccidere i miei dipendenti, come hai fatto con Akash. Credevo che non ti saresti mai spinta così oltre, ma mi sbagliavo, sei davvero forte, hai fegato da vendere e, se devo essere sincero, presenti un pericolo. Come hai distrutto la società degli Stati Uniti, potresti farlo con questa.
Daniel non smetteva di rigirarsi la chiave tra le mani. Quasi distrutta. Quasi. Precisai nella mia mente. Per Daniel Justin ormai era finito e con lui la sua società, gli serviva solo un pretesto per portarlo da lui, forse per ucciderlo. Rabbrividii. Daniel sottovalutava Justin, lo aveva sempre fatto, ma se ne sarebbe pentito, perché se davvero mi avrebbe ucciso alla fine Justin lo avrebbe torturato, perché mi amava. Me lo aveva detto espressamente. Senza di me, sarebbe tornato a essere il capo spietato e senza sentimenti di sempre, avrebbe ricominciato a torturare la gente per solitudine, per cercare di trovare una via di fuga per il dolore del suo cuore.
-Quindi mi temi, sono diventato un pericolo. Per questo hai dovuto farmi scortare da due persone per venire qui?
Credevo che Daniel smentisse, che si fosse pentito di essersi mostrato così vulnerabile, invece annuì e si voltò verso di Paul.
-Sistemala tu e prendi la telecamera.
Ordinò. Mi voltai verso la scrivania perché Paul mi mise una mano sulla guancia per farmi girare su me stessa. Non mi piaceva il fatto che non potevo più controllare Daniel perché dovevo mostrargli le spalle. Avevo provato di tutto per rimandare la mia morte inutilmente. Quella volta, però, non ero spaventata, solo dispiaciuta. Sapevo che Justin mi amava e mi avrebbe vendicata, magari senza di me non si sarebbe messo in pericolo. Mi sentivo dispiaciuta per il fatto che finalmente avevo la possibilità di scappare con Justin, ma non potevo coglierla.
-Puoi metterti lì?
Paul mi indicò un punto della stanza alla mia destra. Era proprio accanto al camino, lì dove Chiarag mi aveva spogliata e Daniel mi aveva impresso il simbolo della società sulla pelle. Non mi mossi immediatamente, anzi mi guardai in torno. Non c'era nessuna via d'uscita da quella stanza.
Paul mi spinse verso destra e io, lentamente, raggiunsi l'angolo tra il muro e il camino. Se dovevo morire mentre mi riprendevano per Justin, gli avrei dedicato delle ultime parole, perché ero consapevole che in Russia era lui ad aver aperto il suo cuore a me, ma io avrei potuto fare di meglio.
-Inginocchiati.
Ordinò Paul, feci come diceva. Con mia grande sorpresa lanciò uno sguardo a Daniel che ci rivolgeva le spalle, e si abbassò alla mia altezza.
-Prendi tempo.
Mi sussurrò all'orecchio e, come se nulla fosse, si mise in piedi e mi mostrò le spalle. Prendi tempo? Allora faceva il triplo gioco? Prima credevo fosse dalla parte degli Stati Uniti, poi dell'India, adesso di nuovo degli Stati Uniti. Quel ragazzo era impossibile da decifrare. La cosa fondamentale, però, era il fatto che in quel momento aveva deciso di schierarsi dalla mia parte e, improvvisamente, non mi sentii più tanto sola. Paul raggiunse la scrivania, da lì prese la telecamera e me la puntò contro.

Daniel a quel punto si voltò verso di noi, ma io non gli diedi importanza, guardai per tutto il tempo, fino a che Daniel non ci raggiunse, nell'obbiettivo della telecamera perché Justin doveva sapere che per me lui era l'unico che avesse avuto importanza nella mia vita. E anche in quel momento lo era.
-Tanto per cominciare vorrei solo dire che mi dispiace un po' di doverti fare fuori, eri davvero una ragazza unica nel tuo genere. Non ho mai incontrato qualcuno con delle doti da leader come te. Sarà un peccato, ma va fatto.
Mi voltai verso Daniel che aveva appena parlato, mi chiesi se quelli fossero complimenti per richiamare l'attenzione di Justin o lo pensasse davvero. Ringraziai il cielo che , nel momento in cui guardai Daniel, Paul avesse già mosso la telecamera per in quadrare il capo, altrimenti Justin mi avrebbe vista impallidire. Credevo che mi avrebbe ucciso con una pistola, come aveva fatto con Fhara, ma probabilmente lui riteneva che un serpente fosse più teatrale.

Mi strinsi al muro con il cuore in gola. Da quando il boa mi aveva quasi soffocata, avevo avuto incubi sui serpenti e sembrava che Daniel lo avesse intuito. La cosa che mi faceva più paura era che quello non era il boa dell'altra volta, era un serpente più piccolo, di un altro colore e più che per strangolare sembrava potere avvelenare la preda.
Non volevo mostrarmi spaventata, ma le parole di Daniel non mi aiutarono.
-Beh Stati Uniti, tu non sei venuto a salvare la tua Quinn prima e suppongo che vederla morire non sia doloroso per te, dico bene? Io credo che ti dovresti sentire in colpa sai? Hai condannato una ragazza innocente al massacro. Questo è un Colubride, la sua morte non sarà piacevole.
Colubride? Quel genere di serpenti non mi diceva nulla e mi chiedevo se fosse rilevante per sapere se avrei sofferto veramente o meno. A quel punto Daniel si voltò verso di me.
-Mi dispiace Quinn, sei stata di compagnia per tutto questo tempo.
Si chinò e lasciò strisciare il serpente a terra. Avrei voluto guardare la telecamera senza mostrarmi impaurita, ma gli occhi di quel serpente era ipnotizzanti. Le pupille erano a forma ellittica e lui sembrava non vedere l'ora di attaccare la sua preda. Ritrassi ancora di più i piedi quando strisciò verso di me. Mi chiesi se il veleno di serpente mi avrebbe fatto aspettare molto o sarei morta immediatamente. Una volta individuata la preda, aprì la bocca nella mia direzione. Avrei voluto guardare Justin, ma credevo che una volta perso il contatto visivo con il serpente, avrebbe attaccato. Non riuscivo a pensare a nulla, solo al pericolo davanti a me e alla mia morte imminente. Non pensavo a Justin, non pensavo a Annie o alla mia famiglia. Pregavo solo che non mi procurasse molto dolore.
-Ultime parole per Stati Uniti?
Chiese Daniel risvegliandomi dal trans. Fino ad allora eravamo stati solo la preda e il predatore. Mi feci forza per voltarmi verso la telecamera. Una volta morsa non sapevo se sarei riuscita a dire un addio. Guardai dritta nell'obbiettivo, volevo sembrare forte e sicura, ma mi resi presto conto che sul mio volto regnava la paura. Stavo per dire un "ti amo" quando qualcosa di freddo e duro mi si conficcò nel braccio e dalla mia bocca uscì solo un grido di paura. Abbassai gli occhi, il serpente mi aveva morso il braccio. Solo in quel momento ebbi la forza per reagire, mi misi una mano sulla ferita sanguinante e vidi il serpente ritrarsi, per prepararsi ad attaccare di nuovo.
-Ho un piano. Un momento, ho un piano.
Dissi con le lacrime agli occhi, mi chiedevo se il veleno si sarebbe diffuso velocemente. Comunque non faceva tanto male quanto avevo immaginato. Guardare l'obbiettivo mi aveva aiutato a pensare, spinta dal desiderio di rivedere Justin. Mi voltai verso Daniel che sembrava interessato, proprio in quel momento un nuovo bruciore mi colpì più in alto nel braccio, ci mancava poco e mi avrebbe colpito il collo. Portai la mano insanguinata fino alla spalla e tenni forte.
-So come condurlo qui.
Dissi più agitata di prima. Daniel si chinò e afferrò il serpente per la coda.
-Parla.
Disse.
-Io so perché lui non è ancora venuto.
Improvvisai.
-Cioè?
-Lui non ci ha creduto quando in Russia gli abbiamo detto che ti amavo. Lui sa quando mento e probabilmente l'aveva capito anche allora.
-E perché lo dici adesso?

Chiese Daniel diffidente.
-Perché ciò che potremmo fare sarebbe qualcosa a cui non sarei voluta ricorrere mai.
Sperai con tutta me stessa che Daniel ci credesse. Se dovevo fare questo per prendere tempo, l'avrei fatto. Non potevo abbandonare Justin, che alla fine si sarebbe ucciso, e tantomeno la piccola Annie, che ormai non aveva più nessuno, neanche Fhara.
-D'accordo, continua.
Daniel si voltò verso il divano e camminò fino a tornare al punto in cui era stato prima che Paul avesse preso la video camera.
-Ottimo lavoro.
Sussurrò Paul nella mia direzione.
Lo ignorai e mi guardai il braccio sanguinante. Poco più sopra del polso c'era la forma del primo morso e leggermente più giù della spalla quella del secondo. Probabilmente sembravo preoccupata perché Daniel si mise a ridere.
-Tu non sai cos'è un serpente della famiglia dei Colubridi.
Lo guardai con odio. Lui mi prendeva in giro mentre il veleno mi si diffondeva silenziosamente nel corpo.
-Loro non uccidono con il veleno, mordono e basta. Saresti morta dissanguata, come con delle coltellate.
Allontanai la mano dal braccio ferito e mi alzai in piedi, ero molto più sollevata dopo quella rivelazione. Così non sarei morta nonostante i due morsi, finalmente una bella notizia. Mi girava la testa a causa della paura che avevo avuto, ma fisicamente stavo abbastanza bene.
Mi diressi verso Daniel.
-Allora? Cosa intendi fare?
Chiese lui.
-Ti vedo messa male.
Aggiunse dopo un po'.
-In realtà credo di stare abbastanza bene per attuare il nostro piano.
La voce mi tremò.   



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