26.

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Il costo più grande


-Buongiorno.
Stampai un bacio sulle labbra di Justin, sorridendo e mi sedetti sulla sedia nella stanza in cui avevamo dormito. La camera era luminosa, ma allo stesso tempo molto piccola, non c'era paragone con quella che avevamo a New York. Qui non potevamo permetterci la televisione al plasma o il divano in pelle. C'era solo un letto matrimoniale adiacente alla parete, un tavolo sulla sinistra, avvicinato al muro, e a destra un armadio. Da una porta, inoltre , si poteva accedere al bagno.
-Buongiorno.
Rispose Justin, la sua voce non aveva nulla di vitale. Sembrava triste, la notte non lo avevo sentito piangere, ma era stato tutto il tempo con il volto diretto verso il muro, non ero riuscita neanche a guardarlo in faccia, quindi non potevo essere sicura al cento per cento che fosse stato bene e che avesse dormito.
-Ti senti bene?
Chiesi, forse un po' stupidamente. Era chiaro che non stava bene, non riusciva neanche a rispondere al mio sorriso, mentre io cercavo solo di rincuorarlo. Justin si sedette sul letto e si infilò la maglietta, senza neanche rispondermi.
-Qual è il problema? Fino a ieri dicevi che ce l'avremmo fatta, nonostante tutto.
Lo raggiunsi sul letto, Justin si mordeva le labbra e, nello stesso momento in cui mi sedetti sul letto, lui si alzò e si diresse verso la porta. Mi sentii i nervi a fior di pelle, anche io mi trovavo nelle sue stesse condizioni, anche io sarei voluta rimanere il capo della società, eppure cercavo di farmene una ragione.
-Non puoi ignorarmi per sempre. Non ho fatto niente.
Corsi verso di lui e lo tirai verso di me per una spalla, odiavo quando mi ignorava, come se avesse altre cose per la mente, come se io non esistessi più. Non lo faceva spesso, ma le poche volte in cui mostrava di preferire la società a me, mi facevano imbestialire. Ero quasi tentata a tirargli uno schiaffo, quando si voltò verso di me, ancora con gli occhi vitrei.
-Ho un nuovo incarico da parte di Daniel, ti basta come risposta?
Rispose a denti stretti, quasi non lo riconoscevo più. Il giorno prima spaventato, ma comunque con la testa apposto, e adesso infuriato. Non sapevo con chi, forse con Daniel, forse con me che lo stressavo troppo. In ogni caso non poteva permettersi di rispondermi così. Lo sapeva che prima o poi avrebbe ricevuto degli ordini da Daniel, quindi perché ricevere il primo era così tanto grave?
-Che cosa vuole che tu faccia?
Justin scansò la mia mano che lo teneva ancora fermo per la spalla e aprì la porta per uscire dalla camera. Lo seguii fuori.
-Quinn, vattene.
Mi ordinò puntandomi un dito contro. Lo ignorai.
-No, dimmi dove stai andando.
Gli urlai contro, non sapevo se qualcuno ci potesse sentire, ma non mi interessava.
-Tanto non puoi venire con me.
Detto ciò continuò a camminare per distanziarmi. Lo seguii in silenzio, credevo che non avrebbe mai parlato, perché si comportava così quando la sua personalità da criminale vinceva su quella di Justin, il mio ragazzo. Dopo circa due minuti, si voltò di nuovo verso di me.
-Come fai a essere così testarda? Ti ho detto di non venire.
Mi raggiunse e mi guardò dall'alto in basso, improvvisamente mi sentii piccolissima in confronto a lui. Un brivido mi percorse la schiena, avevo paura. Ma decisi di non mostrarlo.
-Io non ti lascio, qual è il problema? Io ti posso aiutare e se non posso ti starò comunque e sempre accanto, per farti forza.
Verso la fine della frase la mia voce si incrinò e abbassai lo sguardo, imbarazzata.
Avevo paura che Justin mi ritenesse debole, visto che mi ero mostrata codarda, ma fu proprio questo che lo spinse a parlare, finalmente.
-Daniel mi ha ordinato di dire a tutti che non sono più il capo.
Disse tutto d'un fiato. Annuii confusa e socchiusi la bocca.
-E allora? Ha fatto di peggio, non sarà tanto difficile, molti li conosci, erano della società di New York, ti ascolteranno e...
Aspettai un po' e alla fine scossi la testa.
-Davvero, non capisco dove sia il problema.
Justin si guardò il giro e alla fine si avvicinò di più a me, in modo che nessun altro potesse sentire, ma eravamo comunque soli nel corridoio.
-Credi che sia facile per me dire una cosa del genere a tutte quelle persone?
Ovviamente significava intendere che alla fine aveva vinto Daniel, che Justin era debole.
Scossi la testa. Per Justin era sempre stato difficile ammettere i suoi errori o la sua debolezza e così Daniel lo aveva costretto ad ammettere la sua sconfitta, sarebbe stato più facile se il nuovo capo lo avesse detto da solo, ma lui voleva distruggere Justin. E la cosa terribile era che aveva tutte le carte in regola per farlo.
-Ce la farai.
Sussurrai, in realtà non ne ero certa.
-Tu non capisci.
Justin scosse la testa.
-Ammettere questo non significa solo parlare della vittoria di Daniel e umiliarmi davanti a tutti, ma significa mettere in mostra te.
Mi allontanai un po' intimorita, che intendeva?
Justin aprì la bocca per parlare, ma proprio in quel momento sentii dei passi avvicinarsi. Senza neanche aspettare di vedere chi fosse mi strinsi a Justin, ancora spaventata da quello che aveva detto poco prima. Un gruppo di soci ci passarono accanto e Justin mi avvolse un braccio alla vita.
Uno degli uomini si voltò verso di noi.
-Capo, ci raggiungi nella sala conferenze? Ci hanno detto di andare lì per un annuncio importante.
Justin annuì e cominciò a camminare subito dopo di loro. Io mi mossi insieme a lui, non tanto perché volevo mostrare che non l'avrei abbandonato comunque, più che altro perché Justin mi teneva così stretta da rendermi difficile addirittura camminare.
Raggiungemmo la sala, era enorme e piena di gente. Credevo che fossero più di trecento uomini, in piedi di fronte un palco e soprattutto schiacciate come sardine. Io e Justin raggiungemmo il palco camminando sulla destra, al nostro passaggio tutti chinavano le teste e si scansavano, io però, non me la sentivo di guardarli in faccia perché temevo che, una volta detto l'annuncio, loro non ci avrebbero più rispettato. Anche Justin, probabilmente, aveva lo stesso timore perché solo una volta sopra il palco, mi lasciò e si guardò in torno, lo vidi sbiancare e gli afferrai la mano, per paura che svenisse davanti a tutti.
-Ehy, ce la farai.
Justin annuì e alzò la testa.
-D'accordo.
Disse sicuro di sé.
Si voltò per raggiungere il microfono, ma io lo seguii.
-Va via.
Sussurrò lui indicando il punto il cui eravamo fermi prima. Non sapevo se obbedire o no, alla fine decisi di fare come diceva lui, non potevo essere un ostacolo. Era già difficile quello che stava per fare, senza che mi mettessi in mezzo.
Cominciai a indietreggiare quando lui cominciò a massaggiarsi la nuca, era in ansia, non potevo abbandonarlo. A grandi passi tornai da lui e gli posai una mano sulla spalla.
-Ce la faremo.
Sussurrai al suo orecchio, lui mi fissò, ma non mi allontanò. Forse avave apprezzato il modo in cui invece di dire "ce la farai" mi ero corretta in "ce la faremo", perché noi due eravamo una squadra.
-Soci.
Disse Justin, dopo essersi schiarito la gola. La voce rimbombò per tutta la stanza, amplificata dal microfono. Tutti lo osservavano senza fiatare, spaventati, ammiranti, invidiosi.
-Vi ho convocato qui oggi per un annuncio importante.
Disse con tono fermo. Lo ammiravo perché probabilmente io non ce la avrei fatta.
-Come ben saprete in questi ultimi mesi sono stato assente parecchie volte e le voci che sono circolate erano tutte vere. Ho trovato una compagna, come ben saprete, putroppo lei ha distrutto la società negli stati Uniti, facendo la spia.
Mi allontanai da Justin, come poteva avere il coraggio di umiliarmi così davanti a tutti? Sentii il desiderio di fargliela pagare.
-Sono finito in prigione – continuò lui- ma sono riuscito a fuggire e ho deciso di aiutare la società economicamente. Per farlo, ho dovuto metterla in percolo, ma non credevo che sarebbe finita nelle mani della società – Justin esitò- ...della società indiana.
Vidi tutti in sala iniziare a bisbigliare e posare gli occhi su di me, e così la nomea di Daniel era davvero la peggiore di tutte.
-Comunque – Justin richiamò l'ordine- sono riuscito a salvarla. L'unico problema è che...
Justin si voltò verso di me e mi fissò dritta negli occhi, come se stesse decidendo se dichiarare a tutti il mio amore per me o finrla lì, dopo qualche secondo afferrò la mia mano e mi tirò verso di sé.
-L'unico problema è che tutte le cose meravigliose della vita devono hanno il costo più grande.
I soci erano straniti.
-Per salvarla ho perso la società.
Tutti in sala cominciarono a guardarsi in torno e a parlare tra di loro.
-Ho perso, Daniel ha vinto. Siete dipendenti suoi adesso.
Justin sembrava aver finito, ma subito dopo aggiunse:
-In realtà non posso neanche dire di avere perso, perché la mia non è una sconfitta, io ho vinto la cosa più bella. Quinn.
Si voltò verso di me e mi sorrise. Mi sentii arrossire, aveva detto di amarmi davanti a tutti.
-Domande?
Chiese Justin, porgendo di nuovo la sua attenzione al pubblico. Quel piccolo attimo in cui si era dimenticato di tutto il resto per concentrarsi su di me era stato magico, anche se insignificante per gli altri. Mi aveva reso partecipe della società, aveva ammesso di amarmi. Un uomo alzò la mano e Justin lo indicò.
-Parla.
In sala calò il silenzio, c'era rispetto per gli altri nella società. Questa non era una regola vera e propria, ma tutti la rispettavao.
-Vuoi dire che adesso tu sei un dipendente come tutti noi?
Chiese l'uomo. Justin annuì, forse un po' infastidito, l'aveva già detto in modo chiaro, sembrava solo che gli altri volessero sentire ripeterselo.
-Ci hai abbandonati nelle mani di un pazzo per lei.
Un altro uomo mi indicò e parlò con tono infuriato, anche prima di ricevere il permesso di aprire bocca da parte di Justin. Ma tanto che permesso avrebbe dovuto ricevere? Justin non era più il suo capo.
Comunque il tono dispregiativo che aveva usato il socio mi fece innervosire e mi sentii chiamata in causa. Io non ero nessuno e Justin aveva fatto bene a salvarmi.
-Non vi ha abbandonati, non l'avrebbe mai fatto.
Urlai a pieni polmoni e tutti si girarono verso di me. Compreso Justin, che portò le labbra al microfono e si sentì in dovere di intervenire, mentre io mi ero pentita di essere sembrata così irascibile agli occhi degli altri.
-Quinn ha ragione, non vi ho abbandonati. Qui le regole non sono cambiate. Nessuno di voi verrà torturato o lasciato morire di fame, il codice è sempre lo stesso e lo dovete seguire così come facevate prima.
Un uomo lo corresse.
-Lo dobbiamo seguire.
Justin rimase immobile e in silenzio. Anche lui aveva il compito di seguire le regole, adesso. Così come me.
-Allora perché tu puoi stare con lei? Solo il capo può avere una compagna.
Urlò qualcun altro, non riuscii nemmeno a individuare di chi fosse la voce, perché delle urla di disapprovazione si alzarono da parte di tutto il pubblico. I soci rivendicavano il loro diritto ad avere una donna. Se Justin stava con me, anche loro teoricamente sarebbero potuti stare con un'altra.
-Perché abbiamo pattuito così con Daniel.
La voce di Justin sovrastò le altre.
-Ma non è giusto.
Continuavo a sentire le voci dei più rivoluzionari, che non accettavano la situazione, Justin stava perdendo la pazienza e, se gli fosse stato concesso di possedere una pistola, l'avrebbe usata senza il minimo rimorso.
-State zitti.
Urlò. Riuscì a ottenere l'effetto desiderato, ma un uomo in prima fila fece un passo avanti e alzò il pugno.
-E chi sei tu per dirci di fare silenzio?
Vidi Justin digrignare i denti. Questo non avrebbe dovuto dirlo, quell'uomo era spacciato e se Justin si fosse infuriato, Daniel l'avrebbe dovuto frustare, secondo il codice americano. Sperai con tutta me stessa che Justin si rilassasse e non lo attaccasse. Non potevo pensare che avrebbe dovuto sopportare tutto ciò che avevo sopportato io per colpa della frustate di Akash.
-Questo è tutto.
Disse Justin avvicinandosi al microfono. Fece un cenno di saluto e,inaspettatamente, si allontanò dal palco, senza fare il minimo accenno a ciò che aveva detto il socio. Lo seguii in silenzio. Ci incamminammo per la stessa strada di prima, io ero sempre a testa bassa, l'unica differenza era che Justin non mi teneva per mano. La vena del suo collo era ingrosata e sapevo che stava facendo molta fatica a controllare la rabbia. Un minimo movimento o una minima provocazione lo avrebbe fatto scoppiare.
Eravamo quasi arrivati alla fine della sala e io stavo per tirare un sospiro di sollievo quando sentii qualcuno afferrarmi per un braccio. Mi voltai. Un ragazzo con i capelli scuri e la pelle chiara mi aveva fermata. Era molto muscoloso, come se avesse trascorso una vita ad allenarsi in palestra. La cosa impressionante era che mi ricordava particolarmente Akash. Per un momento ripensai alle sue frustate, alle sue minacce, al modo in cui aveva ucciso Fhara, senza neanche una punta di rimorso e il cuore cominciò a battere più forte, stimolato dalla paura. Sperai che non mi si leggesse sul volto, ma ero quasi certa di essere divenata pallida.
-Lasciami.
Cercai di allontanarmi, ma la sua stretta era potente. Anzi, dopo i primi tentativi mi avvicinò ancora di più a lui, a quel punto Justin si accorse che non ero più al suo seguito e si voltò, camminando nella mia direzione, fino a raggiungermi.
-Lasciala.
Ordinò.
-Veramente...-Spiegò l'uomo.-In questo caso sei tu che devi sottostare a me, non mi puoi dare ordini.
Justin lo ignorò e mi prese per mano, mentre io, comunque, non potevo ancora muovermi. Il cuore cominciò a battere sempre più forte, Justin era con me, ma come era possibile che un uomo identico ad Akash mi stava rtrattenendo per l'altro braccio? Io avevo ucciso Akash. Era morto davanti ai miei occhi. Cominciai a tremare, involontariamente.
-Tu sei un socio e non puoi trattarla così perché anche lei lo è.
Urlò Justin.
-Ma io non sono un socio.
Dichiarò il ragazzo. Mi guardai in torno. Tutti ci guardavano senza fiatare, erano dei codardi, o più semplicemente volevano divertirsi guardando la scena.
-Io sono una guardia di Daniel, sono qui per mantenere l'ordine.
Girai subito il volto verso di lui. Questo significava che non saremmo mai stati più soli. Io e Justin saremmo stati sempre controllati. Cioè, tutti erano controllati, ma specialmente noi due. Quello era il piano di Daniel per distruggerci. Io credevo che ci saremmo dovuti rassegnare, che rubarci la società fosse la cosa peggiore che potesse fare, invece quello era solo l'inizio. Improvvisamente sentii una fitta allo stomaco e subito dopo alla testa, ma cercai di ignorarle. Abbssai lo sguardo e cercai di trattenermi dal cadere a terra. Ero terrorizzata, ansiosa e aveva cominciato a girarmi la testa.
Le mani mi cominciarono a sudare e non riuscii a farmi forza per alzare gli occhi e guardare Justin.
Riuscii solo a sentire la sua risposta.
-Ho capito, ma non puoi trattarla lo stesso così. Non so come sono le guardie in India, ma qui a Los Angeles, non funziona così. Non la puoi toccare chiaro?
La mano di Justin si chiuse sempre più foprte intorno alla mia e io avrei voluto dirgli di non farlo perché mi stavo sentendo male, ma non avrei mai potuto farlo davanti a tutti. Soffrii in silenzio.
L'uomo sbuffò.
-Questo è il codice. La società sarà pure di Daniel, ma mie le regole.
Disse Justin a denti stretti. Era riuscito a far sembrare quella guardia un incapace perché quello che aveva detto era giusto. Io non avevo fatto nulla di male e lui non avrebbe potuto farmi del male. Infatti anche l'uomo non poté fare altro se non assecondare Justin.
- Hai ragione, volevo solo dire alla ragazza che ci vedremo presto.
Le ultime parole dell'uomo furono un sibillo contro il mio orecchio che mi fece sussultare. Mi tornò in mente come anche Akash mi aveva detto quele parole prima che cominciasse la tortura. In quel momento capii perché quell'uomo assomigliava ad Akash, entrambi erano stati guardie di Daniel e probabilmente dopo tutto il tempo che avevano trascorso vicino a fare le stesse cose, uno aveva assunto i comportamenti dell'altro. Le espressioni e i loro modi di fare erano diventati gli stessi e la somiglianza fisica aiutava motlo.
L'uomo lasciò il mio braccio e Justin mi tirò verso di sé. Probabilmente cercava di trattenersi perché sapeva che colpirlo sarebbe stato controproducente. Mi sentivo sempre più confusa e il mio cuore batteva forte nonostante il pericolo fosse ormai scampato. Camminammo in silenzio allungo finché non raggiungemmo la nostra camera. Entrammo e io mi sedetti subito sul letto, alzai il viso verso Justin. Era infuriato, ma rimaneva in silenzio. Si avvicinò al muro e gli tirò un pugno contro, sobbalzai e lo raggiunsi, nonostante il malessere generale che non mi aveva ancora abbandonato del tutto.
-Calmati, finirai solo con il farti male.
Gli afferrai la mano e la guardai, sanguinava. Il pugno che aveva tirato era stato forte.
-Non mi interessa.
Mi allontanò la mano e tirò un altro pugno al muro.
-Smettila.
Sussurrai. Avevo paura di lui quando si comportava in quel modo, era nervoso. Aveva perso tutto e, con quell'uomo, Daniel era entrato a far parte della sua vita definitivamente. Sapevo che era terribile, ma doveva calmarsi.
-Se voglio colpire il muro posso farlo.Posso fare almeno questo.
Justin digrignò i denti e lo colpì nuovamente. Si sentiva in gabbia, potevo capire quella sensazione. Iniziai a pensare che se non lo avessi fermato si sarebbe rotto qualcosa. Gli afferrai la mano e la accarezzai, ma lui mi allntanò di nuovo, spingendomi lateralmente.
-Tu non capisci. Non puoi capire.
Mi urlò contro.
-Hai perso tutto, posso caprti. Sei arrabbiato, infuriato, ma la rabbia non è il modo giusto di...
-Ma possibile che non ti stanchi mai di essere così appiccicosa?
Le lacrime mi saliono agli occhi senza neanche volerlo e abbassai lo sguardo. Da quando ero diventata così emotiva? Ero io quella minacciata da quell'uomo, non lui. Quale era il suo problema? Non riuscivo neanche a rispondere, ferita dal suo insulto, così mi limitai ad annuire e ad allontanarmi verso la porta. Sapevo che in realtà no era innervosito con me, ma con Daniel, ma se aveva detto che ero appiccicosa un fondo di verità ci doveva essere. In quel momento iniziai a chiedermi se la mia vita non fosse tutto un errore, se il mio destino sarebbe dovuto essere quello di restare con i miei genitori e basta, Magari sarei dovuta tornare da loro perché tanto Justin non mi sopportava. Senza neanche guardarlo in faccia abbassai la maniglia.
-No, aspetta Quinn.
Disse Justin alle mie spalle. Mi raggiunse e mi posò una mano sulla spalla, io lo scansai e uscii dalla stanza chiudendomi la porta alle spalle. L'ultima cosa che sentii, subito prima del tonfo della porta fu un "ti amo" soffocato.  


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