Sempre
Aprii gli occhi con il cuore in gola, davanti a me Daniel non c'era più, chinai la testa, era steso a terra. Il sangue fuoriusciva da una ferita alla testa, lì dove lo avevo colpito. Non sembrava più tanto minaccioso in quel modo. Era tutto finito, tutto. Avevo ucciso Daniel e noi tre avremmo vissuto per sempre felici e contenti. Mi voltai verso Justin che sorrideva. Feci un passo avanti per abbracciarlo e non abbandonarlo mai più. Per la prima volta dopo tanto tempo ero davvero felice, non dovevo mai più preoccuparmi di nulla. Eravamo salvi.
-Ottimo colpo, Quinn.
Disse Justin alzando il pollice nella mia direzione, quel gesto mi fece sentire molto più fiera di me quanto già fossi. Subito dopo notai però che Justin, invece di corrermi incontro, come mi sarei aspettata che facese, si accasciò contro la parete alle sue spalle.
Un'idea terribile mi balenò in mente. Il cuore cominciò a battere forte, avevo paura, ma mi feci coraggio e mi voltai verso il corpo di Daniel, aveva in mano una pistola. Così le mi supposizioni erano esatte, subito prima che io sparassi, Daniel aveva colpito Justin.
Potevo salvarlo, magari non era grave. Corsi verso Justin, che ormai era completamente disteso a terra e si toccava il fianco dal quale uscivano fiotti di sangue. Lo sapevo che non c'era nulla da fare, nonostante ciò gli scansai le mani e cercai di tamponare il sangue con le mie.
Non poteva finire così, ci doveva essere un lieto fine anche per noi. Avevo bisogno di lui, non mi poteva abbandonare.
-Chiamate un medico.
Urlai, il mio grido di appello era rivolto principalmente a Paul, ma sapevo che in quella stanza c'era anche Mary Margaret.
-E' inutile.
Disse Paul, come se tutto quello fosse programmato, era calmo impassibile, lui era il cattivo, lo era sempre tato, aveva permesso che Daniel uccidesse il mio Justin.
-Chiamalo subito o prometto che ti ucciderò non appena ho un attimo di tempo.
Urlai in preda alla disperazione, mentre le mie mani diventavano sempre di più rosso sangue. Paul non sembrava convinto, ma prese per mano Mary Margaret e uscì dalla stanza, non sapevo dove la stesse portando, ma sicuramente era meglio che non vedesse una scena del genere, la sua espressione sembrava già tanto traumatizzata.
Mi voltai verso Justin, era pallido, ma ancora cosciente.
-Sei... bellissima.
Sussurrò e tra una parola e l'altra passarono alcuni secondi. Cominciai a piangere ancora più forte, ero sola, non sapevo cosa fare e non ero neanche sicura che Paul fosse andato dal medico. Ero arrabbiata per quello che era successo, ma soprattutto disperata.
-Non so come salvarti.
Dissi a Justin. Sapevo che questo non l'avrebbe aiutato, ma avevo bisogno di dare sfogo a tutti i miei pensieri. Sarebbe morto, sarebbe morto, non potevo fare nulla per fermare quella situazione. Il tempo scorreva troppo in fretta e ogni secondo che passava mi allontanava da Justin.
-Avevi detto che sarebbe andato tutto bene, che il piano sarbbe riuscito.
Non lo vedevo più, la mia vista era completamente appannata e singhiozzavo, quasi da non riuscire a parlare. Justin però era calmo, come se avesse sempre saputo che quella era la sua sorte.
-Ma è andato tutto secondo il piano.
Disse lui, le labbra gli tremavano e ogni secondo sembrava sempre più pallido del momento precedente. Per permettermi di sparare a Daniel,Justin aveva cercato di distrarlo, sapendo che una volta avvertito il pericolo Daniel avrebbe comunque cercato di uccidere lui. In più se Justin non fosse morto, avrebbe dovuto scegliere tra me e Mary Margaret, perché una delle due sarebbe dovuta morire, non potevano coesistere due donne nella società, e anche cercare di cambiare il codice avrebbe richiesto troppo tempo, fino a quel momento una delle due si sarebbe dovuta sacrificare.Justin aveva scelto al posto nostro, dando la sua vita per salvare la nostra.
-Avresti dovuto dirmi prima le tue intenzioni.
Dissi tra un singhiozzo e l'altro. Justin fece uno sfoorzo per soridermi.
-Vi amo.
Disse, in quel momento capii che non aveva più intenzione di lottare per restare in vita. Cominciai ad andare ancora di più nel panico, non credevo che il mio cuore potesse battere più forte di quanto già facesse, ma poteva.
-Non mi abbandonare, non puoi farlo! Non puoi!
Urlai, mi sentivo impotente, non stavo facendo nulla di costruttivo, perché il sangue continuava a uscire, nonostante le mie mani fossero premute contro la sua pelle.
-Devi essere forte per Mary Margaret.
Disse, faceva fatica anche a parlare ormai, lo stavo perdendo definitivamente. Era la fine. Avevo paura che non connettesse più, che non capisse, che non mi potesse ascoltare. Avevo paura che fosse già morto, ma io lo dissi lo stesso.
-Ti amo Justin, ti amo tantissimo.
Justin sorrise un'ultima volta.
-E' bellissimo quando dici il mio nome.
Ripensai al tempo trascorso insieme, apparte una volta in tribunale io non lo avevo mai chiamato per nome, perché credevo che gli desse fastidio, avrei dovuto farlo più spesso, ma adesso era troppo tardi.
-Justin, Justin, non può essere finita così, Justin, ti prego.
Non riuscivo ad abbandonarlo davvero. Justin utilizzò gli ultimi sforzi per alzare una mano verso di me, tremava e mi sfiorò il viso con il mignolo.
-Prometti ce non ti dimenticherai di me, Coltellina.
Mi sembrò di capire, in realtà le parole erano molto confuse, liberai una mano dal suo fianco e gli strinsi il mignolo, come ai vecchi tempi. La sua manoo era ghiacciata e ricadde accanto a lui a peso morto non appena la toccai. Lo scossi, ma sapevo che era inutile, era morto.
Avevamo avuto tante occasioni, ma quella era davvero la fine. Così come era iniziato, tutto era finito. Per sempre. Con la mano sinistra continuavo a tamponargli il sangue, che ormai aveva finito di sgorgare, mentre con l'altra mano mi coprivo il volto. Probabilmente mi stavo macchiando completamente di sangue, ma quello era l'ultimo dei miei problemi. Posai la testa sul suo torace, mentre continuavo e tamponargli il sangue con le mani. Mi aveva abbandonato, ci aveva abbandonato.
-Ti amo.
Ripetei, come se quello potesse cambiare qualcosa.
-Non volevo che ti sacrificassi per me, saresti dovuto rimanere tu con Mary Margaret. Non io.
Rimasi in silenzio, ma Justin non rispose. Ero con la testa sul suo corpo, come quando dormivamo insieme, ma la differenza con le notti passate era che lui non respirava e non sentivo neanche il cuore battere.
La cosa che mi faceva stare peggio era che per tutto quel tempo lui aveva sempre saputo che quella sarebbe stata la sua fine, ma non aveva mai voluto dirmelo. Non avrei mai trovato qualcuno che mi amasse come lui, in quegli anni ero stata la ragazza più fortunata del mondo.
Non sapevo quanto tempo rimasi lì a piangere e a tremare, ma quando Luke entrò nella stanza, il corpo ssu cui ero coricata era diventato un pezzo di ghiaccio. Mi sentivo meno disperata, adesso ero solo rassegnata e triste.
-Quinn, andiamo dai.
Mi disse con gentilezza, io non risposi e continuai ad accarezzare il corpo di Justin con la mano che non era ancora premuta sulla sua ferita.
Con gli occhi ancora lucidi di lacrime scorsi degli uomini che trascinavano via il corpo di Daniel, sicuramente volevano anche il mio Justin, ma io non avevo intenzione di spostarmi.
-Quinn, devono portare via il cadavere.
Spiegò Luke chinandosi per terra.
-Andate via.
Dissi semplicemente, avevo bisogno di più tempo con Justin, perché sapevo che non sarei mai più stata con lui, non avrei mai più toccato la sua pelle, o dormito con qualcuno accanto a me. Ero sola.
-Sei qui da quasi quattro ore.
Ribadì Luke. In quel momento alla tristezza si era sostituita solo la rabbia, tanta rabbia.
-Tu non hai mai perso nessuno, Luke. Come fai a capire come mi sento? Vai via.
Lo spinsi lontano da me. E mi appoggiai di nuovo su Justin, chiudendo gli occhi. Le lacrime continuavano a scendere lungo le mie guance e bagnavo il corpo disteso sotto di me.
-Va bene, me ne vado, ma Mary Margaret sta pianendo da quasi unì'ora. Devi consolarla. Non capisce cosa succede.
Aveva ragione. Mary Margaret, mi ero quasi dimenticata di lei. La nostra piccola figlioletta si sentiva sola in quel momento, tanto quanto mi sentivo io. Non potevo abbandonarla, ero sua madre, giusto?
Dovevo lasciare andare Justin, non potevo tenerlo ancorato alla vita. Lui era morto. Scostai delicatamente la mano dal fianco di Justin e la guardai. Era completamente sporca di sangue, mi sentivo patetica, avevo cercato di salvarlo senza usare neanche una benda, ma non avevo una benda, non sarebbe cambiato nulla, sarebbe morto lo stesso. Guardai un'ultima volta Justin, era bianco, con gli occhi spalancati e le labbra semi aperte, non era così che lo avrei ricordato, per me Justin era quella persona che quando avevo conosciuto mi aveva spaventata a morte, quella che mi aveva però fatta innamorare, che mi aveva perdonato per aver distrutto la società, e che aveva trascorso gli ultimi anni della sua vita al mio fianco, facendomi sentire felice, anche se lui sapeva che sarebbe morto.
Mi chinai sul suo corpo, gli chiusi le palpebre e gli diedi un bacio sulle labbra gelide.
-Prometto che non ti dimenticherò mai.
Sussurrai, mi alzai in piedi e mi appoggiai a Luke, che mi abbracciò.
**
Passarono diversi giorni, la mia vita nella società non era cambiata, continuavo a svegliarmi presto e ad andare a lavorare, nonostante non dovessi farlo perché Daniel non c'era più. Ogni giorno lasciavo Stivie con Mary Margaret, avrei voluto trascorrere tutto il mio tempo con lei, ma avevo paura che mi chiedesse del padre e non volevo scoppiare in un pianto disperato e farla soffrire. Ogni giorno che mi svegliavo senza Justin al mio fianco mi sentivo sempre peggio, nei miei sogni vivevamo una vita felice, senza Daniel, ma quando mi accorgevo che quella non era la realtà mi sentivo ferita.La maggior parte delle notti però rivedevo il suo volto cadaverico mentre mi rivoleva le sue ultime parole e mi svegliavo di soprassalto con il cuore in gola, come se scoprire che non stava morendo, ma che era già morto mi facesse sentire meglio. Una notte avevo cominciato a pianere così tanto che anche Mary Margaret si era svegliata e mi aveva chiesto cosa fosse successo, ma io le avevo chiesto di non fare domande e di addormentarsi accanto a me, in quiel modo mi ero riuscita un po' a calmare. La verità era che dovevo cercare qualsiasi modo per tenere la mente occupata, ma spesso, anche mentre combattevo con i miei allievi mi ritrovavo a pensare a Justin e mi mettevani sempre K.O. Credevo che nulla sarebbe cambiato nella mia vita, che sarebbe stato sempre tutto misero, finché quel giorno Luke non mi chiamò nello studio del capo. Dopo essersi assicurato che stessi bene mi disse il vero motivo per cui aveva richiesto la mia presenza.
-Era tutto calcolato. Lui sapeva di dover morire fin da prima che nascesse Mary Margaret. Veniva a fare delle sedute con me e mi ha confessato di avere paura di morire.
Per quei giorni avevo cercato di trattenere le lacrime, ma quel discorso non stava facendo bene al mio cuore.
-Non voglio sentire nulla adesso.
Mi alzai dalla sedia della scrivania per andarmene, ma Luke mi afferrò per un polso.
-Siediti.
Mi ordinò. Lui non era mai autoritario con me, ma se aveva usato quel tono significava che ciò di cui mi doveva parlare era davvero importante, così ubbidii e mi sedetti esattamente di fronte a lui, a dividerci c'era solo la scrivania.
-Dicevo che il tuo ragazzo aveva paura, ma dopo aver visto Mary Margaret era sicuro che quella era la mossa giusta per salvare entrambe.
Strinsi i pugni e abbassai lo sgaurdo, sapevo già che ci aveva salvato la vita, ma quale era il punto?
-Questo lo so, e allora?
Chiesi un po' infastidita, mi sentivo accusata, come se lui mi stesse incolpando di aver provocato la morte di Justin.
-Il punto è che lui si fidava di te e ti amava, ma tu sai che la società era anche tutto per lui, questa era l'unica mossa per salvare la sua fidanzata, sua figlia e questo posto. Lui voleva che tu diventassi il capo.
Alzai lo sguardo pensando che Luke stesse scherzando, ma non era così.
-Non posso farlo, io non so essere il capo, lui era bravo, non io.
Mi sentii di nuovo disperata, in tutto quel tempo avevo dimenticato come si doveva comportare un capo della società, il tempo trascorso a new York era troppo lontano per poter dire di sapere come agire.
-Lui sapeva che sei intelligente, determinata e forte. Lo sapeva anche Daniel, per questo cercava di distruggerti. Sei tu che devi essere il capo, Quinn.
Luke cercava di spronarmi guardandomi dritta negli occhi, ma io sapevo che non avrebbe mai funzionato.
-Se lo avesse creduto davvero me lo avrebbe detto.
Sospirai e mi appoggiai allo schienale della sedia, allo stesso tempo Daniel si avvicinò alla scrivania.
-Non te lo ha detto perché credeva che tu non avresti accettato, non voleva che scoprissi della sua futura morte, avresti cercato di ostacolarla in tutti i modi, alla fine Mary Margaret sarebbe andata in India e vi sareste sentiti ancora peggio. Ha cercato di farti vivere i cinque anni più belli della tua vita, perché non voleva farti preoccupare, Quinn.
Ripensai ai bei momenti passati insieme.
-Con lui avevo l'impressione di vivere in una favola, peccato che la favola sia...
.... Finita. Non terminai la frase, perché sentivo che altrimenti avrei ricominciato a piangere senza smettere più. Cominciai a fare dei respiri profondi per calmarmi, ma le mani mi tremavano e sentivo un vuoto allo stomaco.
-Quinn, ascolta non puoi rendere i suoi sforzi vani. Lui ha predisposto tutto, ti ha fatto avere tutto ciò di cui avresti avuto bisgono nel fututro.
Spiegò Luke, la sua argomentazione era convincente, ma Justin aveva omesso qualcosa di fondamentale: la sua presenza.
-Perché credi che Justin odiasse tanto Stivie?
Chiese. Scossi la testa, non lo sapevo.
-Perché sapeva che lui sarebbe morto, mentre Stivie avrebbe potuto trascorrere tutta la sua vita con te e con Mary Margaret, per questo voleva che la bambina trascorresse del tempo con lui. Sperava che Stivie diventasse il tuo nuovo compagno.
Come aveva potuto pensare Justin che sarei riuscita a stare con qualcun altro dopo la sua morte? In un impeto di rabbia scaraventai il portapenne davanti a me con una manata, a terra le penne si sparpagliarono al suolo.
-Non succederà mai.
Urlai, Luke non sembrava scosso.
-Sperava anche che Paul diventasse il tuo vicecapo.
Dopo quella rivelazione la mia rabbia crebbe ancora di più.
-Lo stesso che ci ha traditi? Non accadrà mai.
Luke scossela testa, forse un po' sorpreso che io non riuscissi a capire.
-Paul ha sempre voluto che tu diventassi il capo, lui era sempre un passo avanti a Justin. Ha fatto in modo che tu mettessi in pericolo la società di New York, ha aiutato Justin a fuggire di prigione, lo ha convinto a venderti in India e lo ha aiutato ad andare lì per salvarti, è diventato vicecapo della società di Daniel per potere permetterti di ucciderlo. Ha volto le spalle sia a Justin che a Daniel, ma è sempre stato dalla tua parte. Secondo lui tu devi essere il capo.
Luke aveva ragione, avevo sottovalutato Paul, ma lui era l'uomo più intelligente in quel posto, lo era sempre stato, tutto era accaduto per mano sua, a partire dall'arresto di Justin, fino alla sua morte. Aveva sempre organizzato e mosso tutto a suo piacimento, eravamo semplicemente stati dei burattini nelle mani di un burattinaio e nessuno l'aveva capito, se non Justin, alla fine della sua vita.
-Paul voleva distruggere Justin e Daniel, non la società.
Dissi ad alta voce, Luke annuì.
-Tutti credevano nelle tue potenzialità,anche io. Non puoi abbandonare la società nell'anarchia più totale.
Avevo semplicemente bisogno di pensare, Justin aveva fatto tanto per me e mi aveva chiesto un unico favore, portare avanti la società. Mi alzai e mi diressi verso l'armadietto delle armi che il giorno della morte di Justin era vuoto. Mi specchiai sul vetro e per la prima volta scostai la maglietta per vedere il riflesso del marchio della società indiana. Un serpente, proprio come aveva detto Justin una volta. Senza distogliere lo sguardo mi rivolsi a Luke.
-Sai cosa odio di più? Il fatto che io e Justin abbiamo sempre cercato di combattere contro Daniel e vincere, invece alla fine vinceva sempre lui.Anche adesso che è morto non posso parlare di una vittoria vera e propria perché Daniel morendo si è portato via con sé Justin. Daniel era bravo, ogni patita che giocava la vinceva.
Feci una breve pausa, ma Luke non disse nulla perché sapeva che avevo ragione.
-Una volta ho giurato di non vedere mai il marchio della società indiana sulla mia pelle, perché non volevo ammettere di essere stata sconfitta da Daniel, ma adesso lo guardo, perché Justin è morto ed è come se lo fossi anche io dentro.
Mi voltai verso Luke con le lacrime agli occhi, lui si alzò e mi raggiunse.
-Non devi piangere, quando Justin è morto, era felice. Sapeva di fare la cosa più nobile della sua vita. Anche tu devi esserlo, lui non ti ha abbandonata, lui si è sacrificati per darvi un fuuro, fa che il suo gesto non sia vano.
Luke aveva ragione, non potevo restare a piangere per sempre, Justin mi sarebbe sempre mancato, ma lui aveva desiderato che io divenissi il capo di quel posto ed era quello che avevo intenzione di fare, in questo modo, Mary Margaret non sarebbe morta. Infatti, anche se eravamo due donne nel codice si parlava solo del fatto che oltre al capo ci dovevava essere un'unica donna, e non si specificava il sesso che doveva avere il capo.
-Saresti la prima donna a fare il capo, lo sai? Una vera e propria rivoluzione.
Scherzò Luke. Guardai un'ultima volta il mio riflesso nel vetro e subito dopo mi voltai verso Luke.
-Lo farò.
Dichiarai.
-Sarò il nuovo capo della società americana e di quella indiana.
**
12 anni dopo.
**
Gli anni trascorsero e io ero fiera di veder crescere la mia piccola Mary Margaret. Ogni giorno che ripensavo al momento in cui Justin aveva deciso di dare la sua vita per salvarla ero sempre più convinta che non sarei riuscita a vivere senza di lei, anche se dovevo ammettere che sopravvivere senza Justin era quasi un'impresa.
Dopo tutti quegli anni ero riuscita a riportare la società degli Stati Uniti al suo antico splendrore e, dovunque fosse Justin in quel momento, ero sicura che era felice. Dopo le prime paure e le prime incertezze, con l'aiuto di Luke, ero riuscita a diventare il capo più potente tra tutte le società, prendendo il posto di Daniel. Tutti si meravigliavano nella società del mondo della storia mia e di Justin, venivamo considerati quasi una leggenda, tutti ci conoscevano. In un modo o nell'altro ero felice che Justin potesse continuare a vivere nei loro pensieri.
La prima cosa che avevo fatto salendo al potere era stato liberare le donne indiane, ovviamente spifferarono tutto alla polizia e fummo costretti ad abbandonare la città, fortunatamente sparse per l'India c'erano altre società ricche e al sicuro, visto che quelle donne non ne erano a conoscenza.
Non allontanai Paul dalla società, perché Justin si fidava di lui, ma il mio vicecapo divenne Luke, l'unico di cui sentivo di potermi veramente fidare. Feci in modo che Chirag incontrasse Paul e presto si misero insieme, contro ogni aspettativa Chirag, che una volta mi aveva baciata per salvarmi la vita, era gay.
Ovviamente cercai anche di aiutare Nawal, il fidanzato di Fhara, quella che era stata la mia unica migliore amica, anche se ero potuta stare con lei per poco tempo.
Alla fine anche Hari dovette accettarmi come capo, ma lo rispedii in India, dove sembrava essere più a suo agio.
Tutto sembrava apposto, l'unico problema era che non scorreva sempre buon sangue tra me e mia figlia, credevo che fosse normale per la sua età respingermi, ma non avevo ancora capito che le sue motivazioni per farlo erano molto più profonde e radicate.
-Mary Margaret mi ha chiesto se la puoi raggiungere, è infuriata.
Disse Stivie entrando nel mio ufficio. Senza neanche alzare lo sguardo continuai a leggere i fogli davanti a me. Lui però mi raggiunse e si inchinò accanto a me.
-Mi ascolti?
Chiese. Un po' svogliata posai la penna sul tavolo e mi voltai verso di lui.
-Che hai detto?
-Mary Margaret è innervosita con te, cosa le hai fatto?
Ancora prima di rispondere alzai le mani.
-E' stata colpa sua, lei mi ha costretto a metterla in puinizione.
Stivie sorrise, quei sorrisi che prima mi rendevano serena, dopo la morte di Justin non mi procuravano più nulla.
-Sai che non devi essere così dura con lei.
Spiegò Stivie, sì, ne avevamo parlato tante volte. Non risposi, a quel punto Stivie posò le sue labbra sulle mie e mi diede un bacio delicato.
-Forza, vieni da lei e fate pace.
Mi prese per mano e mi trascinò con sé praticamente usando la forza. Sì, dimenticavo, Stivie e io adesso eravamo fidanzati. Strano a dirsi, io non lo amavo, ma Justin avrebbe voluto così. Quando Stivie mi baciava io non provavo assolutamente niente, ma era piacevole avere qualcuno al mio fianco, soprattutto qualcuno che mi aiutasse ogni volta a riappacificarmi con mia figlia.
Quando entrammo nella nostra camera Mary Margaret era piegata a terra con uno straccio in mano. Aveva 17 anni, la stessa età che avevo io quando avevo messo per la prima volta piede nella società. Era ccambiato tutto da allora.
Quando ci vide lo lasciò a terra e si alzò.
-La prossima volta assegnami una punizione meno faticosa, non voglio pulire la stanza mai più.
Dichiarò, aveva un caratterino simile al mio.
-Mary, non fare così dai.
Quando la vedevo arrabbiata con me mi si stringeva il cuore. Mia figlia si voltò verso Stivie.
-Ciao.
Mentre lo salutava io notai qualcosa sul comodino accanto al letto, lo raggiunsi. Non riuscivo a capire all'inizio cosa fosse, ma ero sicura di averla già vista. La presi in mano e la rigirai tra le dita.
-Justin.
Sussurrai.
-Non ci posso credere, dove l'hai trovata?
Chiesi indicando il pezzo di carta nelle mie mani. Mary Margaret alzò le spalle.
-Era incastrata tra il comodino e il muro, era carina così non l'ho buttata.
La strinsi al cuore, quella non era solo un pezzo di carta, ma la barchetta che mi aveva costruito Justin moltissimi anni prima. Avevo sempre evitato di parlare di Justin ad alta voce da dopo la sua morte. Nonostante cercassi di accettare quella nuova vita senza di lui, non ci ero riuscita completamente e ancora di fronte alle difficoltà piangevo pensando che lui avrebbe tentato di aiutarmi come sempre. Come aveva fatto con quella barchetta di carta, che mi aveva costruito perché io non ci riuscivo.
-Mamma,perché piangi? E' solo una barchetta di carta.
Ceraci di nascondere il viso e guardai la carta nelle mie mani, Justin aveva toccato quella stessa carta, era opera sua. La osservai tanto, finché notai che in una parte ripiegata del foglio, quasi nascosto, c'era scritto qualcosa. Ero certa che il foglio che aveva usato per costruirla era completamente bianco, eppure si intravedeva qualcosa. La smontai e cadde un bigliettino da lì, Justin probabilmente lo aveva messo messo mentre la stava costruendo e io non ci avevo fatto caso. Lo raccolsi e lessi. C'era semplicemente scritto "Sempre con te"
Mentre io ridevo e scherzavo con lui quel giorno, già Justin sapeva che sarebbe morto. Mi amava così tanto e io non ero mai riuscita a dimostrarglielo veramente, se non dopo la morte. Scommetto che avrebbe voluto che la nostra Mary Margaret conoscesse più cose di suo padre, ma io mi ero sempre rifiutata di parlarne. In quel momento capii perché mia figlia era sempre scontrosa con me, avevo cercato di allontanarmi dal passato continuandomi a ripetere che Justin ormai era morto, che era meglio per lei non ricordarselo, ma non era così.
Alzai lo sguado su di lei, che sembrava sorpresa.
-Mamma, perché piangi?
Quando era piccola piangevo spesso e lei mi consolava, ma forse non lo ricordava. In quegli ultimi anni mi aveva sempre visto come una leader, di successo, ma sempre concentrata sul lavoro, dura, forte. Justin non avrebbe voluto questo, Justin avrebbe preferito che passassi più tempo con lei, voleva che portassi avanti la società, certo, ma non nel modo in cui stavo facendo.
Mi asciugai le lacrime, anche Stivie sembrava sorpreso.
-Questa barchetta l'ha costruita tuo padre, è caduta dietro il comodino quello stesso giorno e nessuno si è mai preoccupato di raccoglierla.
Mary Margaret si avvicinò a me e mi sfilò il biglietto dale mani.
-Sempre con te.
Lesse ad alta voce, rimase un po' in silenzio, dopo me lo diede nuovamente, ma non sembrava particolarmente turbata, solo impassibile, come suo padre quando non voleva che gli altri leggessero le sue emozioni, o come avevo imparato a fare io nel tempo.
-Non chiedi nulla?
Dissi. Lei alzò le spalle.
-Ti ho chiesto di mio padre per anni, e tu mi hai ignorata sempre. Non voglio più sapere nulla né di lui né di te.
Mi si spezzò il cuore, davvero mi odiava così tanto perché le avevo nascosto il passato?
**
Quando entrammo nello studio del capo di New York i ricordi cominciarono a riaffiorare. Dopo che l'FBI aveva scoperto l'organizzazione, l'edificio della società non era stato modificato, solo i mobili erano stati tolti. Non era stato né demolito né riutilizzato per altre attività, stava semplicemente lì, come se fosse in attesa, forse di me. Quelle quattro mura sembravano accusarmi di aver distrutto la vita di quel posto, a causa mia nessuno era più entrato in quel luogo.
Camminai fino a dove una volta c'era la scrivania, la stessa scrivania su cui avevo lavorato con Justin, la stessa a cui era seduto lui quando lo avevo visto per la prima volta, quando il suo sguardo color miele mi aveva terrorizzato e paralizzato. In silenzio aprii la porta del bagno, mi diedi una veloce occhiata attorno, in quella camera Justin una volta mi aveva picchiata, ma era anche la camera in cui ci eravamo fatti il bagno in insieme. Velocemente aprii la porta della nostra stanza da letto.
-Non vengo qui da moltissimi anni, eppure ricordo perfettamente la disposizione dei mobili.
Dissi. Mary Margaret entrò nella stanza e si guardò attorno.
-Non ho ancora capito cos'è questo posto e perché siamo qui.
Disse semplicemente. Camminai verso di lei e l'abbracciai.
-So che mi odi perché non ti ho mai raccontato di tuo padre, quindi ho pensato farti vedere, visto che con le parole non sono brava.
Sapevo che tornare in quel posto era pericoloso, e che mi avrebbe reso triste e malinconica, ma dovevo mostrare a mia figlia la mia storia e le sue origini.
-Mamma, io non ti odio, solo non capisco perché non vuoi parlare di papà. Credi che sia solo tu a soffrire per la sua mancanza? Non è così.
Mary cominciò a piangere e io le accarezzai la guancia per consolarla.
-Ho una storia da raccontarti.
Sapevo che sarebbe stato terribile, ma era giunto il momento di farlo. Mi sedetti a terra e Mary fece lo stesso.
-Mi svegliai stesa su un materasso duro, in una stanza buia; faceva freddo, ma non sentivo neanche la forza per tremare. Sentivo un grande mal di testa. Il cuscino era umido e percepivo un cattivo odore di metallo.
Mi guardai intorno disorientata. Non capivo dove fossi e chi fossi. Chiusi gli occhi e iniziai a ripensare alle cose più semplici. Mi chiamavo Quinn, 17 anni, abitavo a New York, stavo tornando dalla palestra quando avevo visto un uomo correre con una valigetta e dopo...
Da lì in poi non ricordavo assolutamente nulla. Buio totale.
Cominciai a raccontare. Presto iniziai a piangere, ma questa volta, come molti anni prima, Mary Margaret era qui per consolarmi. Credevo di essere sola, ma non era così. Dovevo imparare ad aprirmi agli altri, come io lo avevo insegnato a Justin.
Dovevo imparare a sentirmi felice e onorata quando parlavo di Justin, non malinconica, perché lui non se ne era mai andato, come diceva il bigliettino era sempre con me.
Nonostante avesse cambiato la mia vita per sempre, io lo avrei sempre amato perché era quello che lui aveva fatto fino alla fine. Non importava che non fosse più sulla terra, lui continuava a vivere nel mio cuore e in quello di Mary Margaret.
Sarei stata per sempre riconoscente nei suoi confronti perché aveva sempre dato tutto per farmi stare bene.
La nostra storia non terminava con una fine spiacevole, come avevo pensato, ma il solo fatto che il suo sacrificio ci aveva salvate era da considerarsi un atto di coraggio che mi avrebbe per sempre reso fiera di lui.Questa non era una fine, ma un nuovo inizio.
L'unica cosa che mi avrebbe fatta rivolgere al passato era il suo ricordo.
Prima di morire, infatti, mi aveva fatto promettere un'ultima cosa, che non lo avrei mai dimenticato e così sarebbe stato.
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Madhouse
Fanfiction-Benvenuta. Un uomo con giacca e cravatta che conoscevo ormai molto bene mi fece accomodare nel suo studio. -Stenditi e rilassati. Attraversai l'ampia stanza, adornata con mobili di legno e tappeti dai colori caldi, e mi stesi sul divanetto di pe...