36.

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Tick tack


Lo stesso pomeriggio lo trascorsi con Justin al mio fianco, aveva deciso di non dedicarsi al lavoro, almeno per un giorno, voleva godersi me e la sua piccola Mary Margaret. Eravamo seduti sul letto già da un bel pezzo e io tenevo in braccio la bambina. Chiacchieravamo del più e del meno, Justin mi raccontava le cose divertenti accadute con gli affaristi delle altre società nel suo lavoro, io purtroppo non potevo fare altrettanto visto che non uscivo da quella camera da un bel po'.
Comunque era piacevole trascorrere il tempo con lui, l'unico mio desiderio era di vedere qualcun altro per movimentare le giornate. Quasi come se mi avesse letto nel pensiero qualcuno bussò alla porta. Justin scattò sull'attenti e anche il suo sorriso svanì. La sua espressione felice e divertita era tramutata in serietà e preoccupazione.
Si posizionò davanti a noi per fare da scudo a un possibile nemico.
-Avanti.
Dissi quando mi accorsi che Justin non era intenzionato a farlo. Non mi sarei preoccupata se Justin non si fosse messo sull'attenti in quel modo. Avrei pensato a una visita amichevole, ma in quelle condizioni sapevo che entrambi temevamo che dall'altra parte della porta ci potesse essere Daniel. Afferrai Justin per la maglia e lui si voltò verso di me, abbassando lo sguardo. Dovevo sembrare terrorizzata perché cercò di rassicurarmi con un sorriso falso e mi accarezzò la mano avvinghiata alla sua schiena.
E se Daniel volesse prendersi la mia piccola?
La strinsi verso il petto e in quel momento la porta si aprì. Fui grata nel vedere che davanti a me c'erano solo Stivie e Luke. Sospirai e liberai la maglia di Justin, il quale con aria truce guardò i due.
-Ciao Quinn.
Disse Luke sorridendo verso di me.
-Beh, credo che in questi casi si dica auguri.
Alzò le spalle e mi raggiunse, subito seguito da Stivie.
-Sai qual è la cosa che mi fa più paura? E che mi sorprende in te?
Chiesi invece di rispondere al saluto. Luke scosse la testa e sembrò compiaciuto di se stesso.
-Cosa?
-Sembra che tu sia nella mia testa alcune volte, e io ti odio. Ad esempio adesso avevo proprio pensato che avrei voluto ricevere delle visite e tu ti sei presentato qui. Come fai?
Luke rise e incrociò le braccia sul petto.
-Pensa un po', sono così tanto bravo a capire la gente che posso immaginare i bisogni di tutti anche se non sono davanti a me.
Scherzò, era quello che intendevo quando dicevo che avevo bisogno di un amico che mi facesse compagnia. Abbassai lo sguardo su Mary Margaret e lo stesso fecero gli altri, calò il silenzio per circa cinque secondi alla fine fu Justin a spezzarlo.
-Vuoi qualcosa Stivie?
Disse Justin con tono così brusco che tutti e tre ci voltammo all'unisono verso di lui. L'atmosfera di serenità sembrava essere stata distrutta a causa sua. Mi voltai verso Stivie, era palesemente imbarazzato e spaventato. Nonostante tra i due si fosse chiarito tutto c'era qualcosa che Justin non riusciva a sopportare di Stivie, anche se non riuscivo a capire cosa. L'umanità che a Justin mancava? L'amore per i bambini? Di certo non era ancora geloso di me. Ormai era chiaro che avevo scelto lui, perché allora continuare con quella sceneggiata?
Mi voltai verso Luke in cerca di spiegazioni. Lui però mi rivolse un'occhiata assorta, stava cercando una spiegazione così come me, alla fine si rilassò o meglio rassegnò perché la sua espressione divenne più tranquilla e continuò a osservare la scena come un attento osservatore. Nessuno in realtà si sarebbe aspettato quel tono brusco da parte di Justin.
-Volevo solo avvicinarmi alla bambina, è bellissima.
Sembrò incoraggiarsi perché mi raggiunse e si sporse per guardarla.
-Vuoi prenderla in braccio?
Chiesi gentilmente, per cercare di rassicurarlo dopo il tono con cui si era rivolto Justin.
Stivie annuì e allungò le braccia, ma Justin si parò tra me e lui.
-No.
Disse semplicemente.
-Perché?
Iniziavo a non sopportare quel modo di fare di Justin contro Stivie, che invece era sempre stato al mio fianco, anche nel periodo in cui avevo vissuto in India.
Justin mi guardò e subito dopo posò lo sguardo sulla bambina. Sembrava sul punto di dire qualcosa, eppure restava in silenzio.
-Cosa ti ha fatto di male? Pensavo aveste risolto.
Justin non sembrava volere parlarne così mi voltai verso Luke. Anche lui cercava di capire il comportamento di Justin senza nessun risultato. Mi voltai così verso Stivie, guardava la bambina con aria desiderante, pur sapendo che Justin non gli avrebbe mai permesso di toccarla, sembrava afflitto e angosciato per quella privazione, non mi sembrava giusto. Gli porsi la bambina di lui, ma appena lo feci Justin tornò sull'attenti.
-Non può prenderla in braccio.
-Perché?

Chiesi ancora una volta. Justin non sembrava più innervosito, ma solo dispiaciuto. Rimase a pensare, ma alla fine mi rispose.
-Semplicemente non può prenderla in braccio prima di me.
Ripensai al periodo passato dalla nascita della bambina fino ad allora. Era vero, Justin aveva sempre rifiutato di prenderla in braccio, anche quando gli avevo chiesto di portarmela lui aveva trascinato tutta la culla.
-Eccola.
Cercai di porgergliela, ma lui rimase immobile senza neanche sforzarsi di ricevere l'invito.
-Ha paura.
Disse Luke, come se fosse la cosa più ovvia sulla faccia della terra. E, probabilmente, per lui lo era. Justin non aveva mai visto un neonato e aveva paura probabilmente di farla cadere.
Justin rimase immobile con i denti serrati, era imbarazzato, ma allo stesso tempo infuriato con noi perché avevamo capito il suo problema. Odiava Stivie perché era a causa sua che era sorto l'argomento. Odiava me perché gli avevo porto la bambina. E odiava Daniel perché l'aveva smascherato rivelando il suo problema ad alta voce.
-Non ho paura.
Disse Justin dopo un po' stringendo i pugni. Ovviamente non avrebbe mai ammesso davanti a tutti quella sua debolezza.
Si sedette accanto a me sul letto e mi fece segno di passargli la bambina. Lo feci. Le braccia gli tremavano, ma io ero sicura che non l'avrebbe fatta mai cadere, neanche a costo della sua vita. Non appena la bambina si trovò bloccata tra le braccia del padre, anche Justin si rassicurò e cominciò e cullarla, sorridendo. Il suo amore per lei doveva essere grande se era riuscito a mostrarsi felice davanti a qualcuno che non ero io.
Dopo quel momento imbarazzante nessuno voleva parlare per non provocare Justin. Quel silenzio stava iniziando a peggiorare sempre di più finché non fu Luke a cambiare l'argomento. Probabilmente aveva capito che stavamo soffrendo sia io che Stivie per quella situazione. Mentre Justin, che non era mai vissuto tra le persone oltre a me, non trovava strano il silenzio.
-Ricordo quando ti ho visto per la prima volta nella società, Quinn.
Disse Luke cambiando così discorso.
-Eri piccola e spaventata, ho dovuto insegnarti tutto. E adesso hai una figlia con lui. Hai fatto buona strada, complimenti.
Disse annuendo. Io probabilmente arrossii. Avevo fatto così tante stupidaggini in quel periodo, avevo paura di Justin, avevo cercato di uccidermi, di fuggire.
-E io sono stato colui che ti ha tatuato il marchio della società sul braccio, ricordi quanto ti sei disperata allora?
Disse Stivie. Mi guardai il braccio e annuii.
-Sì, mi ricordo. Comunque adesso o allora mi dispero comunque. Questo marchio è orribile.
Risi e così fecero anche gli altri. Comunque la storia del marchio non era un buon argomento da trattare e a ricordare il perché fu involontariamente Stivie.
-Non puoi parlare male del marchio, averlo è un privilegio. Indica lo stato di appartenenza a una società, un gruppo di persone.
Immediatamente, senza pensarci portai la mia mano al petto, lì dove avevo il marchio della società indiana. Ero proprietà di Daniel. Non sapevo in quanti fossero a conoscenza di quel marchio, ma sicuramente Stivie sì, me lo aveva visto parecchie volte in India. Anche Justin non sembrava più gradire l'argomento, forse perché aveva pensato anche lui al mio marchio della società indiana.
Così alzò il volto verso Stivie che intuì di aver detto qualcosa di male e abbassò la testa. Il silenziò calò nuovamente. Quella situazione era insostenibile.
-Ora la posso tenere io?
Disse Stivie dopo un po'. Justin gli lanciò un'occhiata truce e subito dopo riprese a cullare Mary Margaret.
Stivie guardò me con aria disperata.
-Justin, potresti...
Indicai Stivie, ma Justin non alzò gli occhi da lei.
-No, devo recuperare il tempo perso.
Sapevo che non sarei riuscita neanche io a fargli cambiare idea. Sospirai e mi rivolsi a Stivie.
-Potresti tornare domani.
Gli rivolsi un mezzo sorriso.
Stivie annuì.
-Domani... lo dici perché sai che dovrò lavorare e quindi non ci sarò?
Chiese Justin un po' seccato.
-No, lo dico perché credo che fino a domani avrai recuperato tutto il tempo perso.
Sorrisi un po' intimidita, era da tanto che Justin non si rivolgeva in quel modo brusco anche a me. Era troppo nervoso quel giorno e non mi piaceva litigare quando si comportava in quel modo. Justin mi ignorò e continuò a cullare la bambina. Luke fu l'unico ad accorgersi che la situazione si era raffreddata irrimediabilmente. Un conto era vedere Justin che si rivolgeva male a Stivie, un altro era vederlo rivolgersi male a me.
-Allora a questo punto io proporrei di andarcene.
Dichiarò Luke. Cercai il suo sguardo per ringraziarlo, non volevo che la situazione potesse degenerare in un litigio tra me e Justin o tra lui e Stivie.
-Ah, quasi dimenticavo.
Disse Luke che ormai aveva raggiunto la porta seguito da Stivie. Justin alzò lo sguardo.
-Venendo qui lo abbiamo incontrato, vuole parlarti.
Justin riuscì a distogliere l'attenzione da Mary Margaret. Luke aveva trovato qualcosa per cui valesse la pena trascurare lei. Justin me la porse delicatamente e si alzò.
-Un momento, chi avete incontrato? Chi vuole parlare con te?
Mi allarmai. Non avrei voluto mostrarlo, ma Luke lo capì benissimo. Se Justin aveva accettato di andare doveva essere qualcuno di importante.
-Nessuno, è per lavoro.
Rispose Justin salutandomi con la mano da lontano. Sapeva tanto di bugia, ma decisi di non rubargli altro tempo, prima andava, prima tornava e meglio era. Avrebbe potuto spiegarmi tutto con calma. Del resto Daniel non poteva fargli del male per via del contratto. Non mi dovevo preoccupare. Ad aiutarmi era anche il fatto che Justin non mi aveva lasciata sola, ero in compagnia della mia piccola.
Ricambiai il saluto e Justin abbassò gli occhi su Mary.
-Ciao M&M.
Disse. Ci misi un po' a capire la battuta. Invece di chiamarla con il suo nome intero aveva unito le iniziali di Mary e Margaret.
-Come le caramelle?
Chiese Stivie. Justin lo guardò di storto.
-Sì, posso chiamarla come voglio, no? E' mia figlia se non sbaglio.
Stivie annuì e Luke aprì velocemente la porta.
-Forza, usciamo, prima che si inneschi un ordigno nucleare.
Borbottò. I tre uscirono e prima che la porta si richiudesse sentii Justin rivolgersi a Stivie.
-Quando domani non ci sarò e tornerai per coccolare la mia Mary Margaret assicurati di non farla cadere o giuro che ti taglio la gola.
Sapeva tanto di minaccia e qualcosa mi spingeva a credere che l'avrebbe fatto veramente se mai Stivie avesse fatto del male a sua figlia.

**

Passarono circa due minuti quando qualcun altro bussò alla porta. Io ero ancora sul letto e giocavo toccando le manine di Mary Margaret.
-Avanti.
Ordinai distrattamente.
Sentii la porta aprirsi e con la coda nell'occhio vidi una figura entrare. L'unica che poteva essere tornato era Stivie.
-Lo hai sentito, no? Ti conviene tornare domani.
Dissi, quando mi accorsi che Stivie non aveva intenzione di rispondere alzai lo sguardo. La figura che era entrata non era Stivie. Adesso era accanto a me e mi sovrastava con tutta la sua potenza. Iniziai a tremare quando lo riconobbi. Strinsi mia figlia contro il mio petto e mi rannicchiai verso la parte al muro del letto.
-Ciao Quinn.
Sussurrò Daniel.
-Posso?
Daniel indicò il letto, io non risposi nulla, ma lui si sedette accanto a me ugualmente.
-Volevo salutarti e congratularmi con te.
Sorrise e si sporse per vedere la bambina, in risposta io cercai di nasconderla tra le mie braccia ancora di più. Quel verme, quel mostro avrebbe fatto bene ad andarsene presto. Non lo volevo nella mia stanza. ma non tanto per paura del resto non poteva farci nulla, per il contratto, dovevo ricordarlo.
-Posso tenerla in braccio?
Lui sorrideva, ma io non riuscivo a vederlo come un amico.
-Che ci fai qui?
Ignorai la sua richiesta.
-Te l'ho detto, non ci vedevamo da tanto e ho deciso di venire a salutarti.
Continuava a sorridere, e io continuavo a odiarlo sempre di più.
-Posso tenerla un po' in braccio?
Chiese nuovamente.
-Perché? Non è figlia tua, te lo ricordo.
Dichiarai. Daniel improvvisamente sembrò innervosito, ma cercò di mantenere la calma.
-Avete fatto il test del DNA?
-Sì.
Mentii. Daniel strinse i pugni. Avrebbe voluto fare stare male ancora di più Justin? Beh, non ci sarebbe riuscito. Di certo io avrei cercato di evitarlo.
Un secondo dopo tornò con la sua espressione serena e felice. Iniziavo a non sopportarlo più. Eravamo nemici dichiarati, perché mostrarsi così tanto gentili? Era evidente che era solo una maschera.
-Smettila di sorridere.
Dissi con tono fermo, Daniel non lo fece.
-Perché? Io sono felice.
Alzò le spalle. E io sentii il sangue ribollirmi nelle vene.
-Tu sorridi come una persona che ha appena vinto qualcosa, ma ti sbagli. La guerra non è ancora finita.
Daniel non sembrò turbato neanche un minimo, ma io ero seria.
-Ti sbagli. Abbiamo firmato il contratto, ricordi? Tua figlia a breve verrà a vivere con me e a te e al tuo fidanzato resteranno solo i rimorsi. Per tutta la vita continuerete a pensare che avreste potuto fare di più per lei.
Sembrava che il suo ragionamento non facesse una piega. Eppure non si era accorto di un piccolo particolare.
-Tu sei convinto di poter vincere sempre, anzi, sei convinto che tu abbia vinto tutte le battaglie contro di noi, ma ti sbagli. Abbiamo firmato un contratto la prima volta quando Justin ha ceduto la società per me, credevi di aver vinto, eppure non è stato così. Infatti noi adesso siamo felici perché abbiamo una bambina. Così abbiamo firmato un nuovo contratto con il quale tu cerchi di togliercela, ma chi ti dice che dopo che l'avrai fatto non ci sarà qualcos'altro che troveremo per essere felici? Per darti fastidio? Vuoi continuare a stipulare patti con noi a vita per rovinarci definitivamente? Faresti prima a ucciderci, no?
Daniel sembrò finalmente infastidito.
-Cos'è? Un invito a ucciderti? Sai che mi piacerebbe farlo, ma non posso torcerti neanche un capello. Il tuo ragazzo mi ha ceduto la società con la promessa che avreste vissuto sempre uno accanto all'altra. Non posso uccidere te, non posso uccidere lui, ma c'è qualcun altro qui.
Abbassò lo sguardo su Mary Margaret. Con il cuore in gola la strinsi ancora contro di me.
-Tanto ti ricordo che puoi tenerla per altri cinque anni, alla fine lei verrà a vivere con me.

Dichiarò minaccioso. Sapevo che c'era scritto questo nel contratto e già dopo averlo firmato sapevo che me ne sarei pentita, ma cercavo di non pensarci. Cinque anni erano tanti e Justin non sembrava preoccupato, sicuramente stava già organizzando qualcosa per salvarla.
-Potrebbe succedere di tutto fino ad allora.
Dichiarai. Non lo sopportavo, ero certa che se avessi avuto un'arma accanto a me in quel momento l'avrei ucciso. Anche se forse poi avrei dovuto subire la stessa sorte, ma questo e altro per la mia piccola.
-Per esempio, sei sicuro che nessuno ti farà del male prima?
Non potei trattenermi ero al limite della rabbia. Daniel si chinò verso di me e mi afferrò un polso. Per un momento pensai che volesse portarsi la bambina o ucciderla. In genere non era lui a fare direttamente male alle sue vittime, ma i suoi dipendenti. Eppure dopo un affronto del genere iniziavo a credere che l'avrebbe fatta fuori da solo se fosse stato necessario. In realtà , però, se la prese con me e non con lei. Cominciò a stringere forte il mio polso, tanto che credevo che le vene mi sarebbero scoppiate.
-Non permetterti di parlarmi così. Io sono il capo se non ti fosse ben chiaro. Non quel rammollito di mio cugino. Capito?
Lasciò andare il mio polso, che era violaceo e indolenzito nel punto in cui mi aveva stretto. Daniel si alzò.
-Anzi, gli puoi già anticipare che alla fine di questa storia la risata finale sarà la mia.
Credevo di non averlo mai visto così infuriato, ma dietro la collera si nascondeva un nervosismo dovuto alla paura delle intenzioni di Justin. Aveva paura che gli potessimo sottrarre la società, che potessimo fargli del male. Nonostante la sua sicurezza in sé, temeva l'astuzia di Justin. Avrei cercato di utilizzare questo tassello a mio vantaggio.Non era forte come mostrava di essere, anche lui era umano.
Daniel aprì la porta e prima di andarsene si voltò un'altra volta verso di me.
-Comunque è davvero una bella bambina.
Questo mi fece rabbrividire e, come se non bastasse, per ricordarmi cosa sarebbe accaduto una volta che avrebbe compiuto cinque anni aggiunse:
-Goditela finché puoi. Tick tack, il tempo scorre.



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