Dipendenza
Corsi in fretta fino alla mia stanza, con il cuore in gola, non ci pensai due volte a spalancare la porta e precipitarmi dentro. Justin era inginocchito, con le spalle scoperte. Guardava il pavimento in silenzio, Hari era in piedi, dietro di lui, e con sguardo truce teneva stretta in mano una frusta.
Sapevo cosa si provava a essere colpiti da quell'arma, conoscevo fin troppo bene il bruciore che poteva provocare, eppure quando Hari portò dietro la frusta per colpirlo di nuovo, corsi verso Justin e mi appoggiai su di lui. Forse troppo velocemente perché Hari riuscisse a comprendere cosa stesse succedendo. La frusta, difatti, colpì me sulla spalla, sfiorandomi anche il mento. Per diversi secondi non mi mossi, ancora stordita per il colpo e stanca dalla corsa. Ero appoggiata con la guancia alla schiena di Justin e mi tenevo stretta a lui, impaurita, forse.
-Quinn.
Hari si allontanò e mi guardò dall'alto, io rimasi immobile, per paura che, una volta allontanata, avrebbe potuto colpirlo di nuovo.
-Va via, stai intralciando il volere del capo.
Il suo tono era minaccioso, ma io non avevo paura. Avrei fatto tutto pur di salvare Justin.
-No.
-Quinn, va via.
Justin mi scansò, ma era troppo debole per costringermi ad allontanarmi.
-No.
Ripetei, stringendo ancora di più Justin, che emise un gemito. Probabilmente gli stavo facendo male a causa dei colpi già subiti.
-Quinn, se non ti allontani colpirò anche te.
Hari cercò di spostarmi spingendomi con un piede via dalla traiettoria, ma senza esiti positivi. Io ero ancora aggrappata alla schiena di Justin.
-E va bene, l'hai voluto tu.
Hari si allontanò e portò il braccio dietro per colpirci. Chiusi gli occhi e mi tenni stretta a Justin, lui tremava e lo sentivo sussurrarre qualcosa, forse mi stava incitando ad andare via, ma io non lo feci. Non potevo abbandonarlo dopo tutto quello che aveva fatto per me. Avevao promesso che avremmo affrontato quella nuova vita insieme ed era esattamente quello che avremmo fatto.
Strinsi i denti e rimasi immobile, pronta all'impatto.
Hari ci colpì, o meglio, mi colpì. Perché, nonostante fosse benissimo in grado di fare del male anche a Justin, mirò soltanto me, poco più in basso della spalla. Strinsi ancora più forte Justin, che riuscì a sussurrare il mio nome.
Non volevo mostrare di aver provato dolore, infatti il fatto che mi strinsi a Justin fu involontario.
-Ne vuoi ancora o finalmente te ne vuoi andare?
La voce di Hari suonava alle mie orecchie come una sfida. Non aveva capito che, usando quel tono, mi avrebbe solo incitato a non arrendermi.
-Allora non ti basta?
Hari cercò nuovamente di scansarmi, ma io non lo feci.
-Faresti di tutto per lui, vero? L'amore fa schifo.
Hari mi guardò con volto cruce. Ci odiava. Odiava il nostro amore. Magari anche lui avrebbe voluto qualcuno con cui stare.
-Vivere in dipendenza l'uno dall'altro non vi porterà da nessuna parte.
Non potevo più sopportare le sue parole, anche se in parte aveva ragione. Se io e Justin non ci fossimo innamorati, tutti i guai in cui ci trovavamo non sarebbero mai esistiti. Se fossimo riusciti a vivere l'uno senza l'altro io non sarei mai diventata socia, lui non avrebbe perso la società e io starei ancora a casa dei miei genitori.
-Ora spostati o Daniel lo verrà a sapere.
Non potevo affrontare il pensiero di rivedere Daniel, soprattutto nella situazione in cui mi trovavo. Quando avevo abbandonato l'India avevo sperato di non doverlo avere di fronte mai più, ma molte erano state le delusioni della mia nuova vita.
-Daniel saprà anche cosa stai facendo.
Era la prima volta che parlavo da quando ero entrata nella stanza.
-Io non sto facendo niente di sbagliato.
Hari si stava innervosendo, ma non avevo paura di lui, solo del fatto che potesse coinvolgere il capo.
-Credevo che si rispettasse ancora il codice della società americana. Tu non lo stai facendo.
Dichiarai. Se Hari si fosse sentito in torto non avrebbe chiesto l'aiuto di Daniel. Sfortunatamente lui non sembrò titubante, anzi, sorrise, come se fosse fiero delle sue azioni.
-Io lo sto rispettando. Il tuo ragazzo no. Lui ha avuto uno scontro con un socio e in America vine punito con la frusta. Giusto?
Uno scontro? Credevo che se fosse accaduto veramente Justin me l'avrebbe detto. Quello che diceva Hari era solo una bugia, un modo di Daniel per fare del male al mio ragazzo.
-Non è vero.
Dissi alla fine. Justin scosse debolmente la testa e sussurrò qualcosa. Solo dopo qualche secondo capii che aveva detto "Il ragazzino"
-Non è possibile.
Sussurrai. Justin si era rivolto male al ragazzino di quella stessa mattina, che mi aveva avvertito di andare a lavorare per non incontrare il dissenso di Daniel, ma quello non era stato un vero e proprio scontro. Justin non meritava tutto quello. Probabilmente spaventato il ragazzo era corso da Hari per metterlo al corrente dell'accaduto e chi sa cosa gli aveva raccontato, o chi sa cosa Hari aveva voluto capire. Magari non era colpa del ragazzino, ma solo di Hari che non vedeva l'ora di avere un pretesto per farla pagare a Justin e si era accanito contro di lui senza nessun motivo.
- La pena deve essere proporzionale al danno provocato al socio. Lui a malapena l'ha toccato quello stupido ragazzino. Tu non stai seguendo il codice, Hari. Tu stai facendo di testa tua. Lo picchi solo perché ti va di farlo.
Non mi interessava quanto era alta la mia voce e chi mi potesse sentire. Hari meritava il peggio.
-Il codice è frustarlo, e basta. Non faccio nulla di male.
Lo sguardo di Hari era determinato, ma anche il mio lo era.
-La pena deve essere proporzionale al danno provocato al socio.
Ripetei con estrema calma. Hari sapeva di essere in torto e si limitò a mettere a posto la frusta.
-Conosco il codice. Seguivo solo gli ordini del capo. Daniel ha detto che il tuo ragazzo lo meritava, deve essere rieducato, secondo lui.
Accentuò la parola "rieducato" particolarmente. Qualcosa mi fece pensare che quello che stava dicendo era la verità. Daniel era il nemico qui, non Hari, era sempre stato lui.
-Va via.
Lo incalzai. Hari lo fece senza scomporsi e mi lanciò un ultimo saluto.
-Non credere che sia finita qui.
Sbatté la porta e dopo che sentii i suoi passi sempre più lontani mi tirai su, porgedo una mano a Justin.
-Forza, andiamo a sederci.
Justin accolse la mia mano e lentamente si alzò e si appoggiò alle mie spalle. Non volevo dirglielo, ma si era posizionato proprio dal lato dove la mia spalla bruciava a causa della frustata che avevo preso al suo posto. Soffrii in silenzio, finché non raggiungemmo il letto. Infondo non me la sentivo di dirgli di non appoggiarsi, sicuramente lui stava peggio di me.
-Vado a prendere un disinfettante.
Corsi in bagno e aprii un armadietto sopra il lavandino. Justin lo aveva aperto molte altre volte per cercare qualcosa per curarmi in quei giorni, peccato che non sapeva che non ero davvero malata. Lo raggiunsi sul letto e mi sedetti accanto a lui. Stava in silenzio, così come me. Non me la sentivo di dire qualcosa. Il fatto che accettava il mio aiuto senza replicare mi faceva pensare che stava davvero tanto male. Lui non era il tipo che elemosinava l'aiuto degli altri, prima di me era sempre stato un lupo solitario.
Sicuramente anche in quel caso se ad aiutarlo non fossi stata io avrebbe detto di stare bene e mi avrebbe mandata via.
Quando posai il disinfettante sulla sua pelle, spargendolo con del cotone, lo vidi sussultare più volte. La sua schiena adesso sembrava quella di un martire. Tra le cicatrici vecchie inflittegli dal padre per educarlo e renderlo forte e le frustate recenti, non potevo fare altro che provare pena per lui. Una volta medicato, passai le mie mani lungo la sua schiena, nonostante ciò era bellissimo ai miei occhi.
Justin sembrò quasi capire i miei pensieri perché si voltò verso di me. La sua espressione non trasmetteva nulla. Né dolore, né rabbia, né tristezza. Gli accarezzai la guancia con la mano e lui mi guardò. Credevo mi volesse baciare, ma dopo poco afferrò il cotone e lo imbevette del disinfettante.
-Che fai? Ne vuoi ancora? Ti senti male?
In silenzio Justin lo portò al mio mento e cominciò a massaggiare.
-Che fai?
Solo in quel momento riuscii a sentire la voce di Jsutin chiara e distinta.
-Disinfetto le tue ferite.
Mi allontai.
-Figurati, non è niente.
Finalmente lo sguardo di Justin si trasformò in qualcosa: determinazione.
-Ti sei presa una frustata per me ed eri pronta a prenderne altre per salvarmi. Questo è il minimo che io possa fare.
Cercò di avvicinarsi a me ancora.
-L'avresti fatto anche tu, questo ripaga tutto.
Sorrisi e gli abbassai il braccio, lui non controbatté.
-Quinn, solo una cosa. La prossima volta che ci troviamo in una rissa, non ti mettere mai più contro Hari o Daniel. Capito?
Justin si stese di fianco sul letto e chiuse gli occhi.
-Ma quella non era un rissa. Lui ti torturava e tu non reagivi.
Mi alzai e mi inginocchiai di fronte a lui, per vederlo dritto in faccia.
-Era quello l'intento. Non voglio mettermi contro Daniel e Hari più di quanto già non lo siano.
Ero sconcertata.
-E così ti arrendi senza lottare? Non viuoi neanche provare a combattere contro di loro?
"A riavere la società?" Pensai tra me e me. Preferii però non dirlo ad alta voce perché temevo di farlo innervosire ancora di più. Rimasi in silenzio in attesa di una risposta, ma Justin rimase muto. O non voleva parlarne o si addormentò in fretta perché la nostra conversazione terminò lì, mentre lui cominciò a respirare con un ritmo sempre più pesante.
-Sogni d'oro.
Sussurai, gli diedi un leggero bacio sulle labbra e mi alzai in piedi. Justin non era il tipo che si arrendeva, aveva un piano sicuramente. Magari un piano che non avrebbe coinvolto la mia incolumità. Un piano di cui io non sarei mai stata al corrente.
**
Ogni giorno, per almeno un'altra settimana continuai ad andare al lavoro. Avevamo stabilito che i ragazzi avrebbero cominciato a lottare tra di loro, ma io ne sarei rimasta fuori. Alla fine la soluzione che avevo preso era stata efficace. Mi ero fasciata il polso e andavo in giro dicendo che avevo un problema all'articolazione. Tutti ci avevano creduto, anche Hari. Mi chiesi per quanto sarei ancora riuscita a mantenere il segreto. Ormai era praticamente un mese che ero incinta e ancora non avevo avuto il coraggio di dirlo a Justin.
Dopo che era stato frustato da Hari ogni giorno tornavo da lui per accudirlo e medicarlo e non potevo pensare ad altro, se non a come mi fossi sentita sola in india quando Akash mi aveva fatto subire la stessa punizione. Allora solo Fhara ed Annie mi avevano potuta aiutare. Non volevo che Justin si sentisse solo come io mi ero sentta allora.
Hari aveva implicitamente detto che me l'avrebbe fatta pagare per essermi intromessa tra lui e Justin, per difenderlo. Ma in realtà ancora non aveva fatto nulla contro di me, se non cercare di evitare di rivolgermi la parola. Iniziavo a credere che in realtà non avrebbe fatto mai nulla di concreto.
Quel giorno mi ritirai dalla palestra come sempre ed entrai nella nostra cameera, facendo attenzione a utilizzare la mano non fasciata per aprire la porta.
Distrattamente chiusi la porta e solo dopo mi voltai verso Justin. Rimasi sconvolta quando non lo trovai sul letto. Corsi verso la porta del bagno e bussai, ma non era neanche lì. Era andato a lavoro? No,mi aveva detto che oggi avrebbe riposato. Cercai di mantenere la calma. Sfilai il cellulare dalla tasca e composi il numero di Justin.
-Non essere così apprensiva, sta bene.
Una voce alle mie spalle mi fece quasi urlare. Lasciai cadere il telefono a terra per lo spavento e mi voltai. Se prima il cuore mi era battuto a mille, adesso era diedci volte più veloce. Paul era dall'altra parte della stanza e mi sorrideva.
Indietreggiai quasi fino a appoggiarmi alla porta del bagno. Mi sentivo in trappola, se mi avesse attaccato avrei dovuto combattere, non avevo modo di fuggire senza che lui mi afferrasse.
Del resto dopo tutto quello che aveva fatto sorgeva spontanea la domanda " Da che parte sta ora?"
Più volte aveva obbedito a Daniel, voltando le spalle a Justin, ma allo stesso modo aveva cercato di aiutare me nella società indiana. Adesso che ci faceva lì?Comunque una cosa era certa, la scomparsa di Justin era da ricollegare a lui.
-Dov'è lui?
Urlai.
-Cosa gli hai fatto?
Paul alzò le spalle. Quell'aria innocente si addiceva al suo colorito candito di pelle, contornato da folti capelli rossi.
-Come ho già detto sta bene.
Scrollò le spalle e sorrise, avvicinandosi a me con due lunghi passi. Con tutta la forza di volontà che avevo mi costrinsi a non fuggire in bagno e chiudermici dentro. L'ultima volta che avevo rischiato la vita in India, lui era con Daniel. La volta che avevano aizzato quel serpente contro di me.
Però era anche vero che era stato grazie a un suo suggerimento che avevo trovato il coraggio per prendere tempo e aspettare che Justin mi salvasse.
-Dov'è?
Paul sbuffò e mi porse una mano.
-Vieni, ti accompagno da lui.
Scansai la sua mano con uno schiaffo.
-Non voglio il tuo aiuto, voglio solo sapere dov'è.
Feci un passo verso di lui, pronta a colpirlo se fosse stato necessario.
-Anche se te lo dicessi non sapresti dove andare. Ti ci porto io, Quinn. Non essere cocciuta.
Mi porse di nuovo la mano, ma io non la accettai e incrociai le braccia sul petto.
-Cosa gli avete fatto?
Non volevo fidarmi di lui, ma sapevo che se non l'avessi fatto non lo avrei mai scoperto.
-Sta bene, stanno aspettando te.
-Stanno, chi?
Paul mi guardò con aria di intendimento. Purtroppo conoscevo già la risposta. Daniel e Justin. Che fosse colpa di Hari la visita del capo? Sperai che fosse per il fatto che avevo cercato di difendere Justin e non per il problema più serio. Nonostante tutto ero consapevole anche della vanità delle mie speranze. Daniel sapeva tutto, sempre. Più volte mi ero sorpresa di come sembrasse conoscere i miei pensieri. Lui sapeva che ero incinta e me la voleva fare pagare. Improvvisamente iniziai a tremare. Ero finita. Eravamo finiti.
Non potevo fare altro che affrontare la realtà.
-Cosa vuole Daniel?
Il mio tono era troppo brusco, ne ero consapevole.
-Sospetta qualcosa.
Mi portai una mano al ventre, involontariamente. Daniel sapeva tutto. Sicuramente. Era troppo evidente. Paul fece un passo verso di me.
-Il tuo polso sta bene, vero?
In quel momento sembrava di nuovo il mio amico, quello di cui mi ero fidata in passato, quello che era al servizio di Justin e mi chiamava "capo". Anche Paul l'aveva capito. Stavo bene, non avevo nulla che non andava al polso.
-Lui lo sa?
Fu l'unica cosa che riuscii a dire. Questo significava che mi stavo implicitamente dichiarando colpevole.
-No, ma sospetta.
Fui pervasa da un'ondata di panico. Credevo di aver risolto tutti i miei problemi fuggendo ddall'India e mi ero ritrovata in guai decisamente più seri. Daniel non aveva nessun pretesto per volerci ancora vivi,io e Justin eravamo solo dipendenti del resto.
-Allora, vieni o no?
Paul mi fece segno di seguirlo.
Rimasi immobile a scrutarlo attentamente. Non stava mentendo, mi avrebbe sicuramente portato da Justin. La mia ultima risorsa era fidarmi di lui, nonostante il suo atteggiamento ambiguo mi portasse quasi alla pazzia.
Solo in quel momento compresi a pieno perché agli occhi di Hari sembravo dipendente da Justin e lui lo sembrava da me. Quel nuovo mondo, quello della società, mi avevano cambiata. Non mi permetteva più di fidarmi degli altri, mi aveva portato a uccidere per vendetta, per difesa, mi aveva fatta viaggiare e mi aveva mostrato la vera faccia di molte persone che mi avevano voltato le spalle. L'unico di cui ero sicura di potermi fidare era Justin e, in quanto essere umano, sentivo che senza di lui non sarei mai riuscita a vivere, perché non avrei avuto più nessun punto di riferimento.
Anche Justin aveva visto molti morire per mano sua ed era sempre stato solo, fino al mio arrivo. Con me finalmente aveva imparato a fidarsi degli altri, mentre io imparavo a diffidare.
E poi c'era Paul, che tra i traditori e gli alleati non riusciva a schierarsi ,mandandomi in paranoia. Guardai di nuovo la mano tesa verso di me che mi invitata a seguirlo e poi lo fissai negli occhi, lui sostenne il mio sguardo.
-Da che parte stai?
Non potei ffare a meno di porgli la domanda che mi frullava in testa da quando lo avevo visto. Paul sorrise e mi guardò con aria furba.
-Dalla mia.
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Madhouse
Fanfiction-Benvenuta. Un uomo con giacca e cravatta che conoscevo ormai molto bene mi fece accomodare nel suo studio. -Stenditi e rilassati. Attraversai l'ampia stanza, adornata con mobili di legno e tappeti dai colori caldi, e mi stesi sul divanetto di pe...