14.

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Eroina


Quasi ogni giorno, dopo quella punizione, Chirag venne a medicarmi le ferite, ovviamente di nascosto. Non gli era permesso occuparsi di noi. Quando, per la prima volta, lo avevo sentito dietro di me avevo sperato fosse Justin, o il ragazzo biondo con la mascherina, quello che mi data i bigliettini sotto al piatto. Dopo aver riconosciuto Chirag, però, non ero delusa, solo stupita. In tutti quei giorni non mi aveva mai detto perché lo facesse. Si metteva in pericolo per la mia incolumità. Fhara era fermamente convinta che io gli piacessi, ma non le davo retta. Ok, accidentalmente ci eravamo baciati in passato, lui aveva detto di essere affascinato da me a causa della mia forza e adesso mi curava le feritre della frusta, ma ero convinta che non mi amasse. Ci doveva essere sicuramente un altro motivo.
Passarono circa due settimane senza che Justin, il cuoco misterioso, Paul o Daniel si fecero sentire. Ovviamente ero serena proprio perché Daniel non mi disturbava e avevo iniziato a pensare che avesse accettato l'idea che Justin non mi amasse. Questi aveva detto che sarei stata per sempre una parte importante della sua vita, ma non si era più fatto sentire e, comunque, non aveva ancora alzato un dito per aiutarmi, così a malincuore avevo iniziato a dubitare delle sue parole.
Un'altra cosa positiva fu che, in quelle due settimane, nessuno chiamò Annie, la quale sembrava felice e giocava a fare la dottoressa con me come paziente. Scherzava con Chirag e lui, anche se voleva sembrare un ragazzo duro e misterioso, in realtà, era divertito da quella bambina.
Anche Fhara sembrava felice, passava le nottate con il suo ragazzo, Nawal, nonostante ciò continuava a dire di amarlo e, dopo avermi raccontato la sua storia, sembrava particolarmente felice e serena.
Le altre ragazze sembravano non più interessate al fatto che Chirag si prendesse cura di me, probabilmente perché sapevano che se non avessero detto nulla, in cambio lui le avrebbe aiutato nel momento del bisogno. Anche Ela, la ragazza del capo, stava in silenzio, ero convinta che, nonostante tutto, anche lei aveva paura di potere, in futuro, essere in pericolo in quel posto.

-Sai? Forse è arrivato il momento che tu mi racconti della società degli Stati Uniti, è vero che hai liberato un ragazzo prigioniero e lui ha spifferato tutto all' FBI?
Lasciai cadere la ciocca di capelli di Annie che stavo intrecciando e mi voltai verso Fhara, che aveva parato di puinto in bianco.
-Non c'è nient'altro da dire.
Ero stupita, come facevano a sapere tanti particolari di quella giornata? In ogni caso non avevo voglia di parlarne, tornare a pensare a quei brutti ricordi era come stringere il mio curoe in un pugno. Era colpa di quell'episodio se Justin non mi avrebbe amato più come prima.
-E lì come si viveva? Meglio che qua?
C'era qualcosa nel tono di Fhara che mi spingeva a mettermi sulla difensiva.
-Beh... non saprei. Era diverso. Non c'erano donne, per esempio. Ed era raro che le persone venissero punite, venivano uccise e basta.
Teoricamente non sarebbero dovute essere torturate, ma in pratica soffrivano prima di morire a causa del sadismo di Justin e, successivamente anche mio.
-Comunque preferirei non pensarci.
-Devi aver vissuto male lì, vero?
Riconobbi ciò che nella voce di Fhara mi aveva fatto mettere sulla difensiva. Lei mi stava provocando. C'era qualcosa di troppo a cui era venuta a conoscenza.
-Se sai qualcosa che...
-E il capo come era?

Mi interruppe, i suoi occhi mi stavano sfidando a dirle la verità. Odiavo quando aveva quell'espressione. In quei giorni era stata così carina con me, avevo dimenticato come potesse essere imprevedibile alcune volte.
-Che cosa vuoi dire?
Dovevo sapere ciò che conosceva della mia storia. Sapeva che avevo ucciso delle persone? Sapeva che le avevo torturate?
-Quinn, perché non mi hai detto la verità?
Fhara assunse improvvisamente un'aria delusa.
-Quale verità?
"...tra le tante bugie?" Pensai.
-Stavi con LUI, con il capo.
Ringraziai il cielo che Annie stesse dormendo profondamente.
-Io...
Solo quando aprii la bocca mi accorsi che non avevo nulla da dire. Ero stata con il capo della società rivale a quella indiana e non lo avevo detto alla mia nuova migliore amica; mi ero comportata anche io da capo e lei credeva che fossi sempre stata una vittima.
-Scusa, non riesco a parlarne adesso.
Dissi appoggiando le spalle al muro e lasciando definitivamente i capelli di Annie, che era raggomitolata sulle mie gambe.
-Perché?
-Non sono più sicura che lui mi... ami ancora.

Non lo avevo mai detto ad alta voce, era la prima volta che parlavo di questo dopo la vendita. La voce mi si ruppe nell'ultima parte della frase. Cercai di ricacciare indietro le lacrime. "La mia Quinn varrà sempre qualcosa per me" non significava che mi amava, ma solo che morta o viva lui teneva almeno un poco a me. Più mi ripetevo quella frase, più arrivavo a dubitare di ogni singola parola. La smontavo e la rimontavo in testa, studiandola da tutti i punti di vista.
-Non ti ho detto la verità, sei arrabbiata con me?
Chiesi.
-No.
Fhara sorrise e la sua delusione scomparve.
-Ho aspettato che ti sentissi meglio per dirtelo. Quando sei stata male il cuoco mi ha dato i tuoi bigliettini. Ho scoperto dove li nascondevi e... li ho letti.
-Cosa?

Chiesi agitata.
-Comunque non voglio sapere cosa dicono.
Mi tappai le orecchie con i palmi delle mani. Lei mi afferrò per un polso e mi costrinse ad ascoltarla.
-Tu sei la ragazza più forte che conosca, affronti sempre la realtà, i pericoli, i problemi e non riesci ad affrontare dei bigliettini?
Mi sentii in imbarazzo, tutto ciò che diceva era vero.
-Lui significa troppo per me, se scoprissi di averlo perso non avrei neanche la forza per aiutare voi.
-Beh, allora ho una notizia per te.
Fhara aveva un'aria da furbetta.
-Cosa?
-Ti conviene leggerli prima di iniziare a dubitare, oltre che di Stati Uniti, anche delle tue capacità.
-E se dicessero cose terribili? E se non fossero da parte sua?
-Parlano della società degli Stati Uniti e... alcuni sono firmati.
Con quale firma?
Allungai una mano sotto il mobile e, dopo avere incontrato un paio di ragnatele, ne afferrai uno, spinta dalla curiosità. Lo aprii, ma non avevo il coraggio di leggerlo.
-Forza.
Mi incitò Fhara. Posai gli occhi sul foglio.
"So quello che fai per la bambina, sei brava, ma stai attenta"
Dopo aver letto quelle parole mi sentii male. Dimenticai ogni cosa e ripensai solo al suo volto e alla sua voce mentre mi diceva che mi amava. Doveva essere lui. Avrei voluto alzarmi, correre via e saltellare per tutta la strada fino in America, compreso l'oceano. Sentivo l'energia necessaria per fare il tragitto a piedi. Risi tra me e me. Le mani mi tremavano e sentivo la necessità di urlare di gioia. Ma allora perché era sembrato così disante nella chat?
-Comunque non è firmato.
Lo mostrai a Fhara.
-Quelli più romantici si.
Ne afferrai un altro.
"Mi dicono che sei bella anche quando dormi."
Sorrisi. Era uno di quei sorrisi sinceri che non facevo da tempo. Tutte le paure le preoccupazioni erano state inutili, perché lui mi amava e a quel punto sarei anche potuta morire in quel posto, perché almeno sapevo che teneva a me. Spostai il pollice e mi accorsi che c'era scritto qualcos'altro in basso a sinistra.
"Justin"
Aveva firmato con il suo nome. Questo dimostrava quanto si fidasse di me. Il suo nome scritto lì era un vero e proprio atto d'amore, pur di farmi capire che era lui si stava mettendo in pericolo. Senza pensarci cominciai ad afferrarne un paio alla volta e a leggerli velocemente. Alcuni erano seri, altri divertenti, alti romantici. Tutti trattavano di avvenimenti diversi della mia vita trascorsa in India. Era sempre stato accanto a me.Aveva saputo tutto ciò che avevo fatto, quasi in tempo reale. E quando mi succedeva qualcosa di brutto mi incitava ad assomigliare al nostro Iberis.Quel fiore era durato tanto, ma io di più. E in quel momento mi sentivo più forte che mai.
-Te l'avevo detto.
Fhara mi mise una mano sulla spalla delicatamente, nonostante stessi molto meglio ancora sentivo del dolore a causa delle frustate di Akash.
-Grazie.
Per quei pochi minuti mi ero completamente dimenticata della sua esistenza. Mi sentii in colpa, era stato merito suo se li avevo letti.
-Nulla, la prossima volta però, invece di aggredirmi perché sto con Nawal, pensa che tu sei stata con un pluriomicida.
Si mise a ridere, in un'altra situazione me la sarei presa, ma ero troppo felice.
-D'accordo.
-Allora? E' lui vero?

-Beh , si... perché io sono l'unica a conoscere il suo nome, quindi deve essere stato per forza lui a scriverl...
Il mio entusiasmò svanì immediatamente.
-Oh.
Dissi semplicemente con tono deluso.Era come se il mondo fosse diventato improvvisamente bianco e nero.
-Che c'è?
Involontariamente mi scese una lacrima giù per la guancia. Posai i bigliettini sotto il mobile, senza neanche finire di leggerli tutti. Il cambiamento del mio stato d'animo era stato così repentino che sentivo il cuore mantellarmi nella gabbia toracica.
-Che succede?
Chiese Fhara un'altra volta. Mi portai una mano alla bocca, ero consapevole del fatto che stessi per cadere in un pianto disperato.
-Non sono l'unica a conoscere il suo nome... c'è Paul.
Cominciai a singhiozzare e mi ripiegai sulle gambe, facendo attenzione a non svegliare Annie. Avevo incontrato Paul un po' di tempo prima e lui lo avevo chiamato Justin, avevo scoperto che faceva doppio gioco ed era stata colpa sua se io avevo distrutto la società. Era stato lui a cercare un sosia di Justin che mi facesse impietosire. Avrei scommesso anche che era stato lui a inviarmi i bigliettini per farmi stare male.
-Chi?
Era inutile deprimersi, perché non avrebbe risolto niente. Avevo pianto solo per una reazione contraria all'eccessiva felicità. Dovevo ricompormi, per Annie, che non ce l'avrebbe fatta senza di me, e per Fhara, che aveva dovuto subire la perdita di sua sorella, di gran lunga peggiore. In più non dovevo dare soddisfazione a Paul.
-Lascia stare.
Dissi asciugandomi le lacrime.
-Facciamo finta che questa conversazione non sia mai avvenuta, è meglio così.
-Non piangere.

Fhara sembrava preoccupata.
-No, non piango mai più.
-Chi non piange?

Annie si alzò e sbadigliò sciogliendo i muscoli delle braccia.
-Ben svegliata.
Dissi, sforzandomi di sorridere.
-Chi non piange?
Chiese di nuovo lei.
-Quinn.
Rispose Fhara con un'espressione ancora confusa.
-Si, io non piangerò mai più.
-Brava.

Annie, mi accarezzò il braccio. Un secondo dopo sobbalzammo quando un uomo entrò nella stanza, spalancando la porta e facendola sbattere al muro. Senza neanche guardarlo in faccia avevo il presentimento che fosse Akash, non avevo intenzione di vederlo. Solo quando vidi delle grosse mani sollevare con poca delicatezza Annie e spostarla dalle mie gambe, alzai il volto. La figura di Akash mi sovrastava e io mi sentivo terribilmente piccola ai suoi piedi.
-Ti è andata bene questa volta.
Akash mi afferrò per un braccio e mi costrinse ad alzarmi.
Avevo le gambe addormentate a causa del peso di Annie e mi venne difficile coordinare immediatamente il passo. La reazione di Akash fu ancora meno delicata, aumentò la velocità, strattonandomi per il corridoio. Prima di uscire guardai Fhara che mi fissava terrorizzata. Raggiungemmo la stanza di Daniel in pochissimo tempo. Il tocco di Akash non era per niente delicato. Lui sapeva quanto mi aveva fatto male, eppure non sembrava curarsene. Avevo paura, non volevo essere torturata di nuovo, la volta precedente era stato al limite della sopportazione. Akash aprì la porta e ad aspettarmi seduto a una poltrona rossa c'era Daniel, con un telo rosso in mano. Non ebbi immediatamente il coraggio di raggiungerlo, ma Akash mi spinse dentro e per poco non persi l'equilibrio.
-Non essere sgarbato con la nostra Quinn,vieni a sederti.
Rimasi sulla porta, prima mi maltrattava e poi si comportava così, cosa c'era di sbagliato in lui?
-Vai a sederti.
Ripeté Akash, quasi ordinandolo.
Mossa da quella voce, raggiunsi l'altra poltronba rossa e mi sedetti vicino Daniel. Era da tantissimo che non mi sedevo su qalcosa di morbido, mi sentii subito meglio. Rimpiansi di non avere un divano, o almeno una sedia. Tutti ne hanno una in casa e noi ragazze vivevamo senza tutta la vita, destinate a stare a terra.
-Come stai?
Chiese Daniel sorridendo.
-Perché lo chiedi se conosci già la risposta?
Pensai che Daniel si infuriasse, invece rise.
-Già, comunque... ti ho scelta per andare all'incontro annuale con le altre società in Germania.
-Perché vuoi me?
Chiesi diffidente.
-Chi vuole può portarsi la sua donna, e io ho scelto te.
-Ma io non sono "la tua donna".

Enfatizzai la parola "tua".
-Ma lo diventerai presto.
Mi chiesi cosa avesse in mente. Io non sarei stata la sua donna, no. Mi drizzai nella sedia, ma questo atteggiamente mi fece sembrare solo più tesa di quanto già non lo fossi.
-Dovrai indossare questo.
Mi porse quello che credevo fosse un telo rosso. Lo dispiegai, era un vestitino, poteva arrivarmi al massimo fino a metà coscia. Era strettissimo, non ci sarei mai entrata comunque.
-Ti piace?
Mi voltai verso Daniel, davvero mi stava chiedendo se un mini vestito da sgualdrina mi potesse piacere? In più in Russia il clima era rigido e io non avrei potuto affrontarlo con quell'indumento minuto.
-Addosso ti piacerà sicuramente. Mettilo, su!
Sapevo che almeno Daniel mi aveva già vista quasi nuda, quando Chirag mi avevano vestita con quel vestito bianco, ma non mi sentivo a mio agio ugualmente.
-Adesso.
Specificò Akash. Mi alzai e presi il mio vestito per i due lembi in basso.
-Andiamo, saremo fidanzati per due giorni, non ti devi vergognare di me.
Daniel rise. Avrei voluto tirargli un pugno in faccia.
-D'accordo, Akash voltati.
Akash eseguì l'ordine e distolse lo sguardo da me, lo stesso fece lui. Per lo meno non si poteva dire che fosse un maniaco come quelli che avevo conosciuto negli Stati Uniti. Mi sfilai il vestito bianco, che ormai era diventato grigio, e indossai velocemente il rosso. Mi sorpresi quando mi accorsi che non mi stava stretto come avevo creduto, in quesi mesi avevo perso moltissimi chili senza neanche accorgermene.
-Ti sta benissimo.
Daniel, che intanto si era girato, mi ammirava compiaciuto. Era un semplicissimo vestito rosso, ma era attillato e più corto di quanto credessi. Daniel si alzò e fece un passo verso di me, io per forza contraria mi spostai in indietro.
-Non avere paura, forza.
Non avrei mai voluto sembrare codarda, ma dopo ciò che mi era successo con la storia dei bigliettini, mi sentivo distrutta. Dopo aver ipotizzato che potessero essere da parte di Paul, avevo provato la stessa sensazione che prova un drogato dopo che finisce la sua dose di eroina.

Daniel si posizionò dietro di me e mi afferrò, delicatamente i capelli. Rimasi immobile finché, dopo averli trattati per un po', non liberò la presa. Rimasi sorpresa quando non ricaddero sulle spalle. Mi portai una mano alla testa. Erano legati in modo da lasciare scoperti le spalle e il collo.
Daniel mi prese per il polso e mi fece sussultare. Non dovette costringermi a camminare perché io mi mossi insieme a lui senza problemi. Mi posizionò di fronte a uno specchio attaccato al muro e mi appoggiò una mano sul collo.
-Sei molto bella.
Dichiarò.

Era da tanto che non mi guardavo allo specchio e mi ci volle un po' per realizzare che quella ero davvero io. La pelle era più pallida di quanto ricordassi perché non mi ero esposta per molto tempo alla luce del sole; le guance erano scavate per colpa della fame; ma ciò che mi colpì maggiormente furono le spalle e il collo. Daniel sfiorava quel punto e mi provocava brividi, il vestito sembrava fatto apposta per mostrare tutte le cicatrici della frusta. Ero consapevole che non se ne sarebbero mai andate. Il vestito era senza spalline, per cui mostrava benissimo il marchio della società americana sul braccio e quello dell'India sotto la clavicola. Fino ad allora avevo sempre cercato di ignorarlo e non era stato difficile visto che era coperto dalla spalllina del vestito bianco; non mi ero mai soffermata su cosa rappresentasse, saperlo mi avrebbe solo fatto sentire peggio. Ma in quel mometno era impossibile non notarlo. Mi sembrava rapresentasse un semplice serpente racchiuso in un cerchio. Sntii una morsa al cuore, quello mi ricordava che ormai facevo parte di quella società, forse per sempre. Posai lo sguardo sui miei occhi, erano malinconici, angosciati, mi chiedevo cosa pensassero gli altri vedendomi. Nel complesso ero il ritratto della debolezza.

-Adesso vai in camera, Chirag si occuperà degli ultimi preparativi.
Daniel sorrise e delicatamente mi spinse per allontanarmi dallo specchio. Da quando ero entrata in quella stanza Daniel sembrava eccessivamente buono e comprensivo, ci doveva essere qualcosa sotto.
-Dov'è il trucco?
Chiesi voltandomi di scatto verso di lui.
-Nessun trucco.
Sorrise nuovamente.
-C'è sempre un trucco.
Daniel sospirò.
-Nulla, è solo che quando saremo lì dovremo far credere a tutti che io e te ci siamo follemente innamorati.
Davvero voleva raccontare una bugia così grossa?
-Solo?
-Non sarà difficile. Anzi sarà un bel week-end con pranzo e cena gratis, in più dormirai in un letto. L'unica cosa è che dovrai sostenere una piccola bugia. E' un'ottima offerta. Ti va?
-Ho scelta?

Chiesi retorica, sembrava tutto troppo facile.
-Anche se la avessi verresti.
La risposta di Daniel mi spiazzò.
-Come fai ad esserne sicuro?
-Lo sai perché.

Ripensai a tutto ciò che mi aveva detto. Bugia, vestito, Russia, incontro con gli altri soci. Probabilmente la mia espressione era di stupore, perché Daniel sorrise. Come avevo fatto a non arrivarci prima? Ero stata così tanto presa dalla paura per Akash, dal vestito, da quella richiesta insolita che non avevo collegato. In quell'incontro ci sarebbe stato anche Justin. Era la mia occasione per rivederlo, per scoprire la verità, per capire se mi amava davvero o no. Magari sarei riuscita a scappare con lui.
Daniel aveva ragione, io sarei andata anche se avessi avuto scelta.
Ancora un po' stordita raggiunsi la porta quando Akash mi afferrò e mi trascinò via.
-Ah, dimenticavo!
Esordì Daniel.
-Si parte stasera. Sei libera questo week-end, no?
Ero rinchiusa lì, cosa voleva che facessi i week- end?
-Divertente.
Sogghignai.  


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