16.

1.4K 68 1
                                    

Tre e mezza


Il resto della giornata trascorse con calma. Gli uomini si sedettero attorno al tavolo per discutere dei problemi delle società, mentre noi ragazze aspettavamo sui divani di pelle. Per tutto il tempo cercai di evitare di guardare Justin, non volevo che le altre si accorgessero del nostro rapporto. Da quando mi aveva poggiato una mano sulla spalla non potevo sentirmi più felice. Dopo tanto tempo e tanta sofferenza, lo avevo sentito accanto a me, avevo avuto la prova che non fosse solo frutto della mia fantasia, ma esisteva realmente. E, forse, mi amava ancora. Credevo che la mia vita in quel momento non potesse andare meglio.
-Allora Quinn, tu sei la ragazza di Daniel, giusto?
Fu una ragazza a parlare e a distrarmi dai miei pensieri. Era seduta accanto a me e da un po' stava chiacchierando con le altre attorno a noi.
-Si.
Risposi semplicemente, sperando che non mi ponesse più domande.
-Come si vive da te?
Chiese una ragazza molto giovane, dimostrava massimo 17 anni. Mi chiesi con chi fosse venuta, chiunque fosse il fidanzato doveva essere molto grande rispetto a lei, contando che Justin era il più giovane e lei non era la sua compagna.
-Bene.
Mi imitai a dire. Rimase insoddisfatta di quella risposta secca, ma io fui grata inaspettatamente, del fatto che in quel momento Daniel mi chiamò. Mi alzai tirandomi giù il vestito rosso, per quanto potessi, e raggiunsi il mio "nuovo" ragazzo.
-Ascolta tesoro...
Cominciò lui, rimasi immobile a guardarlo, aveva posizionato una mano sulla nuca e la passava nella parte posteriore del collo. Lo fissai per più di cinque secondi senza che nessuno dei due continuasse, poi compresi ciò che mi stava comunicando. Senza mostrare il mio disagio mi avvicinai ancora di più e gli poggiai una mano sulle spalle. Mi ricordai, infatti, che mi aveva raccomandato che ogni volta che si toccava la nuca io dovevo adoperarmi per fare qualcosa di gentile per lui. Daniel ricambiò l'abbraccio e mi cinse la vita. Mi chiedevo se mai, dopo quei giorni, mi avrebbe trattata con tanto rispetto e gentilezza.
-Potresti per piacere portare una fetta di pizza a ognuno dei nostri ospiti? Siamo stanchi.
-Certo.

Risposi voltandomi verso la cucina, feci un passo in avanti, ma mi accorsi che ero bloccata perché qualcuno mi stava tenendo per il polso.
-Aspetta, aspetta Quinn.
Disse costringendomi a girarmi di nuovo verso di lui.
-Si?
-Un bacio prima di andare?
Chiese con tono così gentile che ero davvero spinta a esaudire le sue richieste. Poi mi venne in mente Justin. Nella mia immaginazione correvo per l'ennesima volta tra le sue braccia, lo afferravo dal polso e correvo via con lui dicendogli che non lo amavo veramente; ma in realtà mi limitai a mordermi il labbro in attesa di un qualcosa che mi salvasse da quella situazione poco piacevole.
Daniel mi scosse il polso e in quel momento due nomi mi balenarono in mente. Fhara e Annie. Dovevo farlo per loro, in fondo non stavo facendo un torto a Justin, non lo amavo veramente. Mi chinai verso il volto di Daniel e poggiai delicatamente le mie labbra sulle sue. Il bacio durò poco ed ebbi l'impressione che anche lui si sentisse a disagio, infatti si allontanò prima di me.
Istintivamente, non appena mi raddrizzai, lanciai un'occhiata a Justin, che sembrava aver posto tutta la sua attenzione in un foglio nelle sue mani, non aveva neanche fatto caso alla scena. Ringraziai il cielo. Ciò che lo tradiva, però, erano le mani. Teneva il foglio avidamente e stringeva con forza la carta, creando delle pieghe. In un'altra situazione, ordinato e pulito come era, non l'avrebbe mai fatto.
A testa china e con un senso di colpa enorme, mi diressi in cucina.
Preparai la pizza in dei piatti per tutti, anche per le ragazze che la gradirono molto. Quando posai il piatto di fronte Justin mi aspettavo che mi ringraziasse o aol peggio che mi ignorasse, invece alzò la testa verso di me e mi guardò negli occhi.
-Non ho fame grazie.
Disse semplicemente. Un po' delusa spostai il piatto di fronte all'uomo accanto e raggiunsi Daniel a mani vuote, che intanto si toccava la nuca con il palmo della mano destra.
-Ecco fatto.
Dissi cercando di mostrare un tono soddisfatto, benché l'unica persona di cui mi interessasse veramente in quella stanza non avesse accettato il cibo.
-Bravissima, grazie tante.
-Nulla.
Risposi con un mezzo sorriso. Mentre mi voltavo per raggiungere il divano sentii una pacca sul fianco che mi fece sussultare, capii che era stato Daniel. Non feci in tempo a girarmi che il rumore di un piatto che si infrangeva a terra riecheggiò nella stanza e io, invece di dare retta a Daniel, mi voltai nella direzione di Justin.
-Questo è mio Stati Uniti.
Urlò l'uomo alla sua destra.
-Mi dispiace, l'ho urtato involontariamente.
Si scusò Justin. Si chinò per raccogliere i cocci di ceramica del piatto.
-Non preoccuparti! Faccio io.
Dissi senza pensarci troppo su. Del resto ciò era solo mostrarsi gentile e carini con gli invitati, Daniel non avrebbe potuto dire nulla. Corsi nella sua direzione e afferrai i cocci con le mani, anche Justin era impegnato a rialzarne alcuni. Non mi calcolò affatto. E le nostre mani non si sfiorarono neanche.
-Lascia stare tu, ti potresti fare male.
Disse dopo un po', alzandosi su sulla sedia.
-Ha ragione, prendi una scopa.
Consigliò l'italiano. Guardai Justin, stava di nuovo fissando un documento avanti a sé, ma questa volta lo teneva con una sola mano. Il mio sguardo si posò sull'altra mano. Era sotto il tavolo e stringeva un pezzo di carta strappato. Ebbi l'impulso di allungare la mani nella sua direzione, ma in realtà non ero sicura che il biglietto fosse indirizzato a me. Ma a chi sennò? Senza farmi notare glielo sfilai dalle mani e, nel momento in cui le mie dita sfiorarono le sue, lui abbassò il viso e annuì impercettibilmente. Chi non si era accorto dello scambio sotto il tavolo, non avrebbe mai compreso il motivo per cui si era girato dalla mia parte o, comunque, non gli avrebbe conferito importanza. Con il pugno chiuso mi alzai.
-Avete ragione, torno subito.
Dissi con il cuore in gola. Raggiunsi la cucina, forse troppo in fretta rispetto a quanto dovessi e la prima cosa che feci non fu prendere la scopa, ma aprire il biglietto accartocciato nel mio pugno.
"Incontriamoci ai divani alle tre e mezza stanotte."

**

Dopo che i rappresentanti degli stati si erano ritirati nelle varie camere dell'eificio con le rispettive fidanzate, io avevo sperato con tutta me stessa che Daniel mi facesse riposare sul divano come la volta precedente, ma nutrendo forse dei dubbi, mi costrinse a dormire nella sua stanza. La camera non era ben arredata rispetto al resto della costruzione, e non era neanche tanto grande. Infondo i soci dovevano trascorrere solo due notti all'anno lì e la maggior parte di loro investiva i soldi in capitali per giovare a tutta la società, non venivano quasi mai utilizzati per il bene personale.
Aspettai che Daniel si addormentasse per uscire dalla stanza. Sapevo che se mi avesse scoperta avrebbe fatto del male ad Annie e Fhara, ma la tentazione di raggiungere Justin era troppo forte. In più, se mi avesse visto, avrei raccontato una bugia, ad esempio che avevo sete ed ero andata in cucinba solo per questo o che non riuscivo a dormire. Aspettai un po', sperando che si facessero almeno le tre, non potevo controllare perché non avevo nessun orologio. Alla fine mi feci coraggio e uscii in silenzio dalla stanza. Il cuore smise di battere tanto forte quando ebbi la certezza che Daniel non mi avesse sentito. Accelerò nuovamente il battito, però, quando misi un piede in cucina. Sapevo che solo pochi metri e un misero arco mi dividevano da Justin.
Non era più un intero continente, ma solo un muro.
Strinsi i pugni e, tremando, raggiunsi il salone. Mi guardai alla sinistra, sperando che quel ragazzo, tanto irraggiungibile, finalemnete si trovasse lì dove aveva promesso. E fui sopraffatta dalla gioia quando mi accorsi che era così. Lui si voltò verso di me, era seduto sul divao e aveva in mano un bicchiere che sembrava riempito con vino. Rimasi accanto all'arco, bloccata dalla paura di ciò che mi avrebbe voluto dire. La voce era fioca, proveniva da una lampada sul tavolino davanti al divano, e illuminava pallidamente il suo volto.
-Quinn.
Disse lui. Ciò bastò a darmi il coraggio per raggiungerlo e sedermi accanto a lui. Non sapevo se toccava a me scusarmi di nuovo per aver quasi distrutto la società, chiedergli spiegazioni o dirgli ciò che provavo, o se toccasse a lui parlare per primo. Nel dubbio rimasi in silenzio e guardai verso il basso.
-Se sei venuta deduco che non stai veramente con Daniel.
Scossi la testa e il silenzio piombò nuovamente tra di noi.
-Quinn... io...
Ricordai che non era mai stato bravo a parlare o a esprimere i suoi sentimenti, ero sempre io che lo avevo aiutato ad aprirsi con me. Probabilmente si aspettava che lo facessi anche quella volta.
-Mi mandavi tu i bigliettini in fondo al piatto?
Justin abbozzò un sorriso.
-Chi sennò?
-Quindi ciò che hai scritto lo pensi veramente?
Chiesi alzando di poco lo sguiardo in modo da vederlo in faccia.
-Ci sono tante cose che vorrei dirti.
Rispose solamente, mi stava guardando con aria afflitta, come se non sapesse come parlarmi, come se qualcosa gli impedisse di essere sncero.
-Ad esempio?
-Non saprei da dove cominciare.

Sospirò. I suoi occhi erano in pena, non sapeva veramente come affrontare la situazione.
-Puoi prendere un grande respiro e provare a raccontare dall'inizio.
La voce mi tremava, ma Justin mi prese in parola. Riempì d'aria i polmoni e cominciò.
-Senti, so che mi odi. Io ti ho venduto, ti ho ingannata e non passa giorno senza che io rimpianga di averlo fatto. Mi sono lasciato condizionare, non avrei doluto. Solo quando ho visto che ad acquistarti era stato Daniel, ho capito la gravità delle mie azioni. Sapevo che non avrei mai più potuto abbracciarti, baciarti o vederti accanto a me appena svegliato,sapevo che non ti avrei mai più avuto con me. Io non ce la facevo. Sono dovuto scappare da quella sala...
Appoggiò la fronte su una mano. Lo vedevo in pena, e probabilmente io dovevo avere la sua stessa espressione, ma sapevo che, come altre volte, toccava a me aiutarlo. Allungai una mano allontanai la sua dalla sua fronte, stava piangendo. Il naso delicato era più rosso del solito, gli occhi erano lucidi e le guance bagnate dalle lacrime.
-Ti ho perdonato.
Dissi semplicemente.
-..e quando arrabbiata hai urlato "codardo" ho avuto il desiderio di...
Continuò stringendo i pugni.
-Io ti ho perdonato.
Ripetei più convincente.
-Io volevo uccidermi, volevo morire, meritavo di soffrire dieci volte di più di quanto soffrivi tu.
Il suo tono era alto, innervosito con se stesso.
-E quando mi è arrivato il tuo primo video con Daniel mi sono lasciato andare completamente... Non ti ho mai meritato, non ti ho mai trattato come avrei dovuto. Ogni giorno mi sveglio e non ti vedo accanto a me, non ho nessuno a cui portare i cornetti, nessuno con cui scherzare, o con cui parlare sinceramente. E durante la giornata la sensazione di solitudine e tristezza svanisce, soppiantata dal desiderio di farmi del male, di uccidermi, perché è questo che mertita la persona che ti ha consegnato nelle mano dell'India, è questo che merita Justin.
Si portò velocemente una mano all'altezza dell'avambraccio e conficcò le sue stesse unghie nella carne. Allungai le mie mani e afferrai le sue, per impedirgli di farsi male.
-Non voglio sentirti dire queste cose mai più, hai capito?
Dissi scuotendogli le braccia per attirare la sua attenzione.
-Non ti devi preoccupare, tanto ha ragione Daniel. Ricordi cosa ha detto l'ultima volta che abbiamo fatto la video chat? Che io non sono coraggioso e determinato come te, e ha ragione. Perché se lo fossi mi sarei punito adeguatamente o sarei venuto a salvarti, invece non riesco né a salvarti né a toglierti di mezzo. Mi odio per questo.
-Smettila di dire queste cose.
Gli dissi afferrandolo per le spalle.
-E' da quando ti ho venduta che escogito un modo per salvarti, o per uccidermi e non riesco in nessuno dei due intenti.
-Basta!
Urlai, sperando che nessun altro mi avesse sentito.
-Non mi interessa se mi hai venduto, non mi interessa dove vivo. Voglio solo che tu stia bene con o senza di me. Smettila di pensare a una punizione per te. Perché saperti morto ucciderebbe anche me. Ho provato tanto a convincermi che tu non mi amavi più o che io non dovevo amare te, ma non ci sono riuscita perché sentivo che ancora c'è una speranza. E lo sai anche tu che c'è una speranza.
Justin rimase per un po' in silenzio.
-Io ti salverò, ma ciò non toglie il fatto che non starai più con me. Ti ho messo in pericolo troppe volte.
Scosse la testa rassegnato e posò una mano sulla sua spalla, sopra la mia.
-Non mi interessa del pericolo, alla fine me la sono sempre cavata. Io voglio vivere con te.
E proprio nel momento in cui lo dissi mi sembrò di mentire.
-Non sembri convinta.
Disse malinconicamente Justin.
-Io ti amo, ma mi verrà difficile fidarmi di te subito, mi servirà del tempo.
Justin non rispose. Credeva che la cosa giusta da fare fosse liberarmi e non farmi satare con lui, ma allo stesso tempo mi voleva con sé.
-Anche io ti amo.
Disse semplicemente, lasciando cadere la mano verso il basso. Io la afferrai e la accarezzai con le mie. Nonostante la poca luce riuscivo a distingere i vari tagli, anche profondi, lungo le nocche e i polsi, che avevo visto precedentemente anche attraverso lo schermo del computer. Mi aveva ricordato quando avevo scoperto che si automutilava dopo avermi trattata male per imparare a comportarsi meglio.
In realtà questi nuovi tagli non erano frutto di un metodo ditattico poco consono, ma erano dovuti ai sensi di colpa.
-Non lo fare mai più.
Dissi dopo un po'.
-Perché? Tu hai sofferto di più, mi pare.
Liberò la mano e la poggiò delicatamente sulla mia spalla scoperta. La passò lungo le frustate, quasi sfiorandomi.
-Non fanno più tanto male.
Dissi allontanandogli la mano.
-So che significa essere frustati e so che non è vero. Quel giorno sei svenuta dal dolore davanti ai miei occhi, mentre io non avevo il coraggio di dire a Daniel che avea ragione e che io ti amo ancora.
-Non è colpa tua, lui l'avrebbe fatto lo stesso.
-Ti sbagli.

Disse secco, addossandsi tuta la colpa.
-Lui non si diverte a farti soffrire o a far soffrire me. Lui vuole condurmi al suo cospetto e io mi ostino a cercare un modo per salvarti dall'interno dela società, ma non ci riesco. Prima o poi cederò, verrò in India e come andrà si vedrà.
-No, non so cosa voglia lui da te, ma non deve essere bello. Lascia stare, troveremo un altro modo. Non voglio che ti faccia del male.
Justin rimase in silenzio e deglutì, come se non volesse piangre. Socchiuse gli occhi e delicatamente avvicinò il mio corpo al su, con una mano. Posò le labbra sulle mie, così delicatamente che mi sembrò quasi di baciare del velluto. Portai le mie mani attorno alla sua schiena, come avevo sognato di fare altre mille volte, e mi strinsi a lui. Justin ricambiò l'abbraccio e mi avvolse tra le sue braccia. Non mi ero mai sentita tanto serena quanto allora. Tutto era perfetto. Sarei voluta morire in quell'istante, quanto mi era mancato quel corpo caldo che si legava perfettamente al mio, in modo da riscaldarmi e farmi stare bene. Poggiò la sua testa sulla mia spalle e mi baciò il collo, assaporai ogni minimo secondo di quella posizione, i nostri cuori battevano all'unisono e quello era l'unico suono che si sentiva nella stanza. Quello mi dava la forza necessaria che mi permetteva di andare avanti. Ero arrivata in Russia al massimo della sopportazione del dolore e solo allora riuscivo a rasserenarmi un po'. Sapevo che un giorno sarei tornata a vivere con Justin come una volta. Avevo avuto paura che lui non dicesse nulla o che fossi io a dovere una spiegazione e alla fine lui si era aperto con me e io lo avevo ascoltato, proprio come una volta.

Quella situazione calma e serena terminò quando il mio cuore iniziò a battere più velocemente per ciò che mi venne in mente. Mi allontanai da Justin e lui sembrò sorpreso.
-Ascoltami. Non fidarti di Paul. Lui lavora per...
Mi bloccai perché Justin mi posò una mano sulla bocca, come per tapparmela. Mi fece segno di fare silenzio e stralunò gli occhi. Lanciò uno sguardo sul tavolo, dove aveva posato il bicchiere colmo di vino e si alzò. Solo allora sentii anche io ciò che lo aveva messo in agitazione. Dei passi provenienti dal corridoio.
-Vorrei tanto scappare con te, ma non possiamo. Se ti prendessi ora Daniel avrebbe il diritto di rapirti di nuovo e non saresti mai al sicuro.
Si diresse verso il secondo divano, ma prima di allontanarsi troppo mi accarezzò la testa, come soleva fare quando ancora non stavamo veramente insieme e si vergognava di chiedermi un bacio. Come se io fossi più importante del pericolo imminente, mi fissò dritta negli occhi.
-La cosa terribile è che io ho sempre saputo come salvarti, solo che il prezzo da pagare è molto alto. Stasera ho capito che ne vale la pena. Sii il mio Iberis ancora per un po'.
Con quelle parole raggiunse il secondo divano e ci si nascose dietro, sedendosi per terra.
-Quinn.
Disse una voce alla mia destra, sussultai. Accanto all'arco c'era Daniel.
-Che fai qui?
Chiese.
-Mi era solo venuta sete.
Afferrai il bicchiere di vino che aveva tenuto Jutin in mano e lo portai alle labbra.
-Bene, torna a dormire, per favore.
Disse infastidito Daniel, così mi alzai, bevendo a grandi sorsi il vino contenuto nel bicchiere. Mentre il vetro freddo e duro cancellava piano piano il ricordo del sapore delle labbra morbide e calde di Justin sopra le mie. 


MadhouseDove le storie prendono vita. Scoprilo ora