15. Cena di famiglia

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"Non importa".

Sbuffai pesantemente osservando papà e Lucas abbracciati sul divano. Non avrei saputo dire chi dei due stesse coccolando l'altro. Forse quel crollo era servito a riavvicinare Lucas a papà. Oh, andiamo Thomas, chi vuoi prendere in giro? Lucas stava appiccicato a papà già prima della sua rottura in soggiorno. Anzi, quello aveva solo portato mio fratello a smettere di parlare. Di nuovo. Né con papà, né con me, né con nessuno. Il silenzio era stata la sua ulteriore scelta.

"Non importa il cavolo! A me importa. Alzate quei culi. Tutti e due" e poi gemetti di dolore, a causa della costola che mi dava ancora fastidio. Dovevo evitare di alzare la voce in quel modo.

"Che vuoi che facciamo?".

Mi misi davanti al televisore e lo spensi.

"Noi stavamo guardando" protestò mio padre con la voce atona.

"Non mi frega. Ora vi alzate e andiamo in giardino. Subito".

"Che dobbiamo fare in giardino?" chiese papà, spostando il braccio che probabilmente stava iniziando ad addormentarsi sotto al peso di Lucas. E ovviamente quest'ultimo non permise che papà lo lasciasse andare e si strinse maggiormente a lui, finendogli praticamente in braccio.

"Giochiamo a calcio".

"Tu non puoi fare attività fisica per ora" disse papà, passando dolcemente le mani sulle gambe di mio fratello.

"Giocate voi e io vi guardo. Eddai! Papà!" esclamai e i due si guardarono per qualche attimo. Evidentemente si stavano parlando con gli occhi, perché alla fine papà si alzò in piedi tirandosi Lucas con sé. "Significa che avete accettato?".

"Significa che non ti sopportiamo più" disse papà e io feci un verso vittorioso.

Raggiungemmo il giardino e recuperai il pallone da calcio, lanciandolo a papà, che aveva finalmente messo Lucas a terra. "Voi giocate, io vi guardo da qui" dissi, sedendomi sulla panchina accanto alla statua di Obama. "Ehi amico, come va la vita?" chiesi alla statua. "Siamo tutti di poche parole in questa casa, eh?".

"Thomas, piantala di rivolgerti alla statua. Tanto non ti risponde. Perché è finta" disse papà, mettendosi davanti alla porta da calcio.

"Anche Lucas non mi risponde, ma non è finto" borbottai, cercando di non farmi sentire.

Papà mi lanciò uno sguardo assassino. Oops, lui mi aveva sentito. Ma l'udito di Lucas non sembrava sviluppato quanto quello di papà. Osservai mio fratello e mi accorsi che probabilmente era solo nel suo mondo. Guardava il pallone ai suoi piedi e non sapeva che cosa farci. Beh, sapeva come usarlo, ma era indeciso se usarlo o meno.

"Lucas, sai cosa farne di quel pallone. Non guardarlo come se fosse quadrato. Pensavo sapessi calciarla" dissi in modo un po' antipatico. Ma andiamo, erano giorni che i due componenti della famiglia che mi erano rimasti erano entrati in depressione. Volevo solo ottenere una loro reazione.

Lucas sollevò lo sguardo e guardò papà, forse per chiedergli di difenderlo senza usare le parole.

"Thomas, piant..." papà si interruppe di colpo quando Lucas si era voltato verso di me e aveva calciato la palla nella mia direzione con parecchia violenza. "Lucas!".

Io urlai poco virilmente e mi scansai appena in tempo, parandomi con le braccia. La palla colpì la panchina proprio accanto a me, nel punto preciso in cui io ero seduto qualche secondo prima. La statua di Obama barcollò e io la afferrai prima che finisse rovinosamente per terra.

"Lucas, la vetrata!" si lamentò mio padre, indicando la vetrata che dava sulla cucina dietro di me. In effetti avrebbe potuto prenderla, nonostante la mira meticolosamente buona di Lucas. Sta di fatto che mio padre si era preoccupato più della casa che di me.

Avrò Cura Di Te 2Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora