11. Numero di telefono

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"È figo".

"Dici?".

"Sì, è proprio un pezzo figo. Come fai a farlo così con il violino?".

"Questione di pratica".

"Non dovrebbe essere un suono calmo, armonioso, classico...?".

"Sei una persona da stereotipi, Thomas?".

"Io? Naah" scossi la testa, rigirandomi il plettro tra le mani. "A quanti anni hai iniziato a suonare?" le chiesi, continuando a tenermi in equilibrio precario, con le mani ad afferrare il bordo della cattedra e il peso sulle gambe posteriori della sedia.
Papà odiava quando mi dondolavo in quel modo. Una volta era riuscito a farmi cadere lui stesso, dopo avermi intimato per la terza volta di smetterla. Non che volesse farmi male. Anzi, voleva che smettessi proprio per paura che cadessi, ma si era innervosito e il suo modo violento di farmi tornare in una posizione normale e sicura era andato storto, facendomi finire indietro piuttosto che avanti e non riuscendo a risolvere la situazione all'ultimo.
Quando mi aveva buttato giù, era riuscito a spaventarsi più di me, che avevo solo un gomito dolorante.

"A dieci anni. E tu?".

"Io non suono il violino". Mya sollevò gli occhi al cielo e io ridacchiai. "Ho iniziato a suonare la chitarra classica quando avevo otto anni. Quella elettrica tre anni dopo".

Lei annuì e io ovviamente continuai: "Come mai proprio questo strumento?".

Lei poggiò l'archetto del violino sul banco e piegò la testa di lato, fissandomi in silenzio per qualche secondo. "Perché mi stai facendo tutte queste domande oggi?".

"Voglio conoscerti" risposi, scrollando le spalle.

"E fai tutte queste domande perché hai paura che smetta di parlare anche con te?".

Mmh, come avrei dovuto risponderle? Io non avevo mai detto niente al riguardo, ma lei aveva accennato al suo misterioso problema già due volte. Avrei dovuto rischiare?

"No. Cioè, con me parli e non so se vuoi parlarmi della tua vita né perché con me parli e con gli altri no, ma no. E non è che non ci ho pensato, ma, no lascia perdere. Insomma, voglio solo conoscere la ragazza che ha usurpato la mia aula". Wow, come avevo fatto a non morire senza più aria nei polmoni non lo sapevo neanche io.
'Sei un cantante, Thomas. E il fiato ce l'hai, ma devi comunque prendere aria quando parli e fai i discorsi lunghi'. La frase di papà mi riecheggiava nelle orecchie e mi veniva quasi da ridere, ma cercai comunque di non darglielo a vedere. Avevo già fatto quell'orribile figura.

"Scusa" terminai, mentre lei mi guardava in silenzio con gli occhi un po' più aperti del normale.

"Per cosa?" mi chiese, mentre sentivo le mie guance andare a fuoco.

"Non volevo essere invadente... E parlare a vanvera. Io non voglio, ma di solito lo faccio. Sai, è stancante fare discorsi lunghi in molto tempo e.. oh, scusa. Non voglio offendere te o zio Harry".

"Thomas".

"Dio, l'ho fatto di nuovo. Scusa, è imbarazzante" dissi, mettendomi le mani sul viso.

E poi lei ridacchiò. Cosa? Si stava anche prendendo gioco di me? Aprii le dita e ci guardai attraverso. "Stai ridendo?".

Lei si morse il labbro e cercò di nascondere il suo sorriso divertito. "Sei strano".

No, aspetta. Aveva appena detto che io ero strano?

"Oh. Grazie" dissi, imbronciandomi e abbassando lo sguardo.

"È per questo che mi piaci".

Puntai di nuovo gli occhi su di lei, sorpreso. "Ti piaccio? È per questo che parli con me?" le chiesi, dannatamente curioso.

Avrò Cura Di Te 2Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora