CAPITOLO 1 - La casa Inchausti | Parte 2

1.7K 34 0
                                    




Alcune ore prima di essere abbandonata durante la notte, l'inverno, il temporale e il bosco, quando ancora sua madre era viva, Angeles ricevette un regalo.

Mentre Alba moriva in una camera strana, l'uomo dai vestiti ridicoli e la donna vestita di nero chiacchieravano in una camera. Angeles aspettava seduta in corridoio. Cercava di non piangere, perchè sapeva che quando i suoi enormi occhi celesti cacciavano lacrime, il mondo intero piangeva con lei. Ogni volta che Angeles piangeva, pioveva. Per questo fece tutto il possibile per non piangere, perchè quella notte già era sufficientemente triste. Tuttavia, aveva molta voglia di sfogarsi, per piangere la morte di suo padre, la malattia di sua madre, la povertà e l'abbandono in cui vivevano. Angeles combatteva per controllare la sua angoscia e il suo sentimento per essere rimasta orfana, fino a quando la stanchezza vinse contro di lei. Ma dato che il luogo le risultava inospitale, non arrivò ad addormentarsi del tutto e in pochi minuti la svegliò un odore dolce e piacevole. Credette di stare nella cucina di casa sua, dove sua madre cucinava la torta a limone che le piaceva tanto. Ma no, era ancora nel corridoio buio e spaventoso, dove vide, subito, avvicinarsi un anziano. Il suo sorriso le diede tranquillità, sembrava un brav'uomo. In più, il suo corpo manifestava qualcosa come delle lucette bianche, brillanti, bellissime. L'anziano sorrideva. E la chiamò per nome.
-Angeles... E' molto importante che tu ricordi sempre chi sei. Questo ti aiuterà a ricordarlo- le disse mentre le consegnava un bracciale di perle di plastica, con una medaglina con un simbolo strano -Abbine molta cura, per favore.
Lei glielo promise e l'anziano se ne andò nello stesso modo come era arrivato, in segreto. Angeles non lo conosceva -Come poteva saperlo?- Ma quell'anziano che le aveva regalato un bracciale era Urbino Inchausti, suo nonno, che era scomparso misteriosamente molto prima che lei nascesse.

Bartolomeo stava esultando. Era morta sua zia Amalia, erano scomparsi tutti gli eredi e l'erede universale, di conseguenza, era lui. Lui e sua sorella, cioè, lui. Era così felice che piangeva da tutto il giorno. Era addirittura più buono, più dolce con sua sorella, con suo figlio, con sua moglie.

Justina osservava con amaro risentimento quella tenerezza. L'unica cosa che dava un po' di luce alla sua anima oscura era quella fragile bimba che aveva salvato dalla morte e che manteneva nascosta nel seminterrato recondito della casa. Capì che era necessario mantenerla lì per un po' di tempo, e quindi iniziò a visitare in segreto il posto. Lo riscaldò ed iniziò ad abbellirlo. Quella maternità usurpata aveva svegliato in lei i sentimenti più nobili e le aveva fatto rivivere la sua grande passione: i musical. Iniziò a decorare il seminterrato come un piccolo teatro, una sorta di caffè-concerto. C'era un palcoscenico, c'erano tende rosse, c'era musica, c'era vita. Intanto, Bartolomeo, quasi dimenticatosi del suo fedele complice, faceva piani futuri con la sua futura ricchezza.
-Si è fatta giustizia. I Bedoya Aguero ritornano ad essere milionari- celebrava con sua sorella, che già stava spendendo soldi.
Barto credeva che la sua posizione economica scongelava un poco il ghiaccio che c'era tra lui e sua moglie. Il suo matrimonio con Ornella era stato un errore, lui l'amava, ma lei, chiaramente, no; e si offuscava fino a diventare violento ogni volta che lei suggeriva la possibilità di divorziare. Bartolomeo era convinto che, quando finalmente sarebbe diventato milionario, sarebbe stato più facile per Ornella amare un milionario e poteva, finalmente, vivere la sua vita felice. Ma, ancora una volta, qualcosa complicò i suoi piani. Il giorno in cui venne letto il testamento, scoprì che la zia Amalia, negli ultimi minuti della sua vita, aveva aggiunto una clausola che diceva che, a partire dal giorno della sua morte, ci sarebbero stati dieci anni di tempo per trovare i suoi eredi. Superato quel tempo, la sua eredità sarebbe passata nelle mani dei suoi nipoti, Bartolomeo e Malvina Bedoya Aguero. Bartolomeo desiderò che sua zia fosse viva per poterla uccidere lui stesso. Arrabbiato, ritornò ad offuscarsi e a maltrattare la sua famiglia. Dieci anni erano molti e molto rischiosi. Non credeva che la piccola Angeles fosse sopravvissuta, anche se, alla luce della sua scarsa fortuna, tutto era possibile. Ma c'era una tragedia peggiore che l'aspettare quei tantissimi anni: era in bancarotta. Viveva in una lussuosa casa -nel testamento sua zia gli permise di continuare a vivere lì-, ma non aveva un centesimo; e, tuttavia, aveva una vita costosa e l'apparenza di un uomo ricco da sostenere. Allora trovò una soluzione. C'era, in più, una clausola nel testamento che prevedeva una donazione, senza troppi dettagli, di qualche migliaia a qualche orfanotrofio. Compatita dall'accaduto di sua nipote che non riuscì a conoscere, Amalia volle riparare le sue colpe con la carità. Allora donò una buona somma a qualunque istituzione proteggesse bambini. Quella fu la luce di speranza che trovò Bartolomeo. In nessun modo avrebbe accettato che degli orfani disgustosi ricevessero un poco della sua fortuna. Decise di convertire se stesso in quella istituzione. Creò una fondazione destinata a dare asilo ed educazione ai bambini della strada. Gli serviva un posto dove ospitarli, e quello sarebbe stato l'area della servitù della casa. Ovviamente avrebbe anche dovuto trovare un paio di ragazzi, e con l'aiuto di Justina e qualche contatto che aveva nella polizia, ne trovarono alcuni. Era essenziale avere l'autorizzazione di un giudice, per questo ricorse ad Adolfo Perez Alzamendi, il padre di un compagno della scuola di suo figlio.

In un tempo record creò la Fondazione Bartolomeo Bedoya Aguero, più conosciuta come la Fondazione BB, dedicata alla cura dei bambini senza tetto. Quando la fondazione fu approvata e arrivarono i primi bambini, Bartolomeo ricevette, allora, quella piccola parte dell'eredità. Bastava per un anno di vita ostentata, ma, chiaramente, ora doveva dare da mangiare, vestire, educare e curare quei disgustosi. E quello costava denaro. Allora fu Justina ad avvicinarsi ad una soluzione: che fossero i bimbi a procurarselo. Nel settore della servitù c'era un vecchio laboratorio di giocattoli. Il vecchio Urbino Inchausti, nonno di Angeles, era un appassionato di giocattoli ed aveva creato uno spazio dove poteva mettere in atto la sua passione. Era un laboratorio artigianale di lusso. Justina suggerì che potevano mettere i ragazzi a fare falsificazioni di giocattoli da collezione, che dopo avrebbero venduto nel mercato nero. A Bartolomeo piacque l'idea, ma dato che il negozio delle falsificazioni tarderebbe a funzionare e il denaro se ne sarebbe andato rapidamente, doveva trovare dei rimedi. Subito. Lui sapeva che niente genera più compassione e colpa di un povero bimbo chiedendo elemosina per strada. Decise, allora, di mandare i ragazzi a chiedere elemosina. Quando l'elemosina era grande, Bartolomeo non aveva sospetti. Ma quando l'elemosina cessava, allora li obbligava ad usare le doti che i bambini avevano sviluppato nella strada: rubare. Così fu come la Fondazione BB incontrò il suo autentico corso. Da fuori si trattava di una fondazione buona, dedicata alla cura dell'infanzia. Ma dentro era un posto freddo e crudele, dove i ragazzi erano obbligati a fabbricare giocattoli, chiedere elemosina e rubare.

Se uno sta attento, può osservare, prima che arrivi l'amore, una serie di dettagli sottili che lo anticipano. Come la brezza soffice e fresca che anticipa un temporale o come l'oscurità profonda che anticipa l'alba. Quando arriva l'amore, prima di lui, il quale messaggero, arriva la magia. La magia che procura incontri, casualità, luoghi e momenti giusti. La magia che ci rende visibili agli occhi degli altri.
Il 21 marzo del 2007 ci fu magia in un posto molto magico. Quel giorno ebbe inizio una storia che cambierà la vita di un gruppo di persone, per sempre.

Casi Angeles - La Isla de Eudamon [ITALIANO]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora