27 - Evan

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Come up to meet you, tell you I'm sorry
You don't know how lovely you are
I had to find you
Tell you I need you
Tell you I set you apart
[...]
Nobody said it was easy
It's such a shame for us to part
Nobody said it was easy
No one ever said it would be this hard
- Coldplay, The Scientist

Non appena parcheggio il vecchio pick-up di fronte alla tenuta di Marine Bay scendo dal veicolo sbattendomi dietro la portiera malandata. Come da sincrono anche Camille raggiunge la porta di casa sua e Bronx, come al solito, le fa le feste quando lei si accovaccia per salutarlo. Quest'immagine così famigliare di Camille e del suo cane mi erano mancate da morire in questi ultimi giorni.

«Camille» urlo cercando di attirare la sua attenzione affrettandomi a salire le scalinate prestando attenzione a non scivolare dato che negli ultimi giorni ha singhiozzato parecchio e le previsioni hanno iniziato ad annunciare neve nelle prossime settimane, ma Occhietti Grigi è ancora intenta a giocare con Bronx e non dà segni; che non mi abbia sentito? La vedo rialzarsi dopo qualche ultimo buffetto sul muso dell'husky, si toglie le cuffie dalle orecchie con una mano e con l'altra si accinge ad aprire la porta di casa. «Camille» la richiamo finendo di corsa le scale e Bronx inizia ad abbaiare non appena mi vede venendomi incontro scodinzolante. Camille si volta verso dapprima sorpresa, poi quasi scioccata stupendo persino me: ha i ricci arruffati e tenuti su con un pennello, le palpebre sotto agli occhi sono leggermente violacee e il suo solito colorito roseo è stato sostituito da un tenue pallore.

«Evan? Cosa ci fai qui?» mi domanda confusa sbattendo ripetutamente le palpebre e guardandosi intorno come per accertarsi che siamo soli, successivamente riporta la sua attenzione su di me, che la sto fissando ancora in preda a mille emozioni diverse (rabbia verso me stesso, sollievo, angoscia, felicità) e strabuzza gli occhi ancor più sorpresa: «Che cos'hai fatto alla faccia?» mi domanda preoccupata facendo un passo verso di me alzando una mano pronta ad accarezzarmi il viso, ma si arresta poco dopo e sento il mio cuore serrarsi in una morsa di dolore: non avrei mai dovuto trattarla così di merda mercoledì e nonostante tutto si preoccupa per me.

Sei veramente un cazzone Evan, mi rimprovera severamente una vocina nella mia mente. Axel fa bene a prenderti a pugni.

Bronx abbaia due volte e salta poggiandomi le sue zampe anteriori sul petto iniziando a leccarmi tutto il viso, soprattutto sotto l'occhio sinistro, dove Axel mi ha centrato in pieno: «Ehi bello... mi sei mancato sai?» dico carezzandogli il testone e lui prende a scodinzolare.

«Bronx, giù. Vieni immediatamente qui, non ricordi che Evan non ha bisogno di nessuno?» lo richiama duramente Camille e il cane le ubbidisce immediatamente. Riporto lo sguardo sul mio piccolo danno e mi avvicino a lei: «Camille sono stato un'idiota, lo so. Ti prego perdonami» inizio facendo qualche passo avvicinandomi lentamente, fin quando non le prendo il viso tra le mani il semplice contatto con la sua pelle mi scuote profondamente: mi era mancato tantissimo poter fare questo semplice gesto.

«Evan, levati dal cazzo» sbotta portando le sue mani sulle mie e le scosta malamente; retrocede di un passo e riprende le chiavi infilandole nella serratura. «Camille, per favore... ho bisogno di parlarti... Solo dopo aver parlato con Axel mi sono reso conto di aver commesso un errore...» inizio a blaterare mentre lei gira le chiavi nella serratura della porta e la apre. Non appena varca l'uscio cerca di chiudere la porta, ma glielo impedisco bloccandola con una mano, frapponendo un piede tra il legno della porta e dello stipite.

«Evan te ne devi andare dalla mia proprietà. Ti ho lasciato in pace, esattamente come volevi tu Va bene... hai vinto, non ti sto più cercando; quindi puoi anche andartene adesso» sbotta incazzata. «Non voglio lasciarti Camille; non hai minimamente idea di quanto tu sia importante per me» mormoro quasi disperato quando noto che non mostra alcun segno di collaborazione.

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