15 - Camille

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Saying it's true, it's not what it seems
leave your broken windows open
and in the light just streams
and you get a head, a head full of dreams
you can see the change you wanted
be what you want to be
and you get a head, a head full of dreams
- Coldplay, A head full of dreams

«Buongiorno Camille, ti senti meglio oggi?» mi domanda il professor Williams non appena metto piede in classe. È lunedì mattina e sono terribilmente incazzata con mio padre per come mi ha svegliato, anche se dovrei averci fatto l'abitudine. Okay, forse oggi ero più pigra del solito nello svegliarmi, ma mettermi sulla faccia quel viscido petto di pollo alle sette e trenta iniziando a sbraitare come un sociopatico non mi sembra un buon metodo di dare il buongiorno a tua figlia! Dove diavolo sono le effusioni in stile Barilla, eh?

Ho anche fame dato che non ho fatto colazione, ma soprattutto ho sonno! Ieri notte ho fatto uno strano sogno a cui sto cercando di non pensare da quando mi sono svegliata, ed è lui la causa del mio ritardo oggi...

«Decisamente meglio, grazie» grugnisco scorbutica e mi siedo al mio solito posto; Priscilla non è ancora arrivata, ma credo sia normale dato che la campanella non è ancora suonata. Visto avvocato da strapazzo? Siamo anche in anticipo!

Il professor Williams mi sorride e si reimmerge nella lettura del libro che ha tra le mani mentre incrocio le braccia sul banco e ci poggio sopra la fronte. Un attacco di ridarella mi coglie all'improvviso al ricordo di ciò che è accaduto l'altro giorno e scuoto il capo.

La giornata di ieri si è svolta in maniera abbastanza noiosa: una volta sveglia mi sono connessa al sito dell'istituto e ho cercato nella mail-list dei professori l'indirizzo della posta elettronica del bibliotecario per mandargli il mio compito sul rapporto "padre-figlio". Una cosa che non si può dire assolutamente di me è che faccio ritardi nelle consegne. Ogni volta che mio padre mi lasciava a casa perché stavo male ho sempre consegnato i miei compiti tramite mail, così da rimanere alla pari con il resto della classe.

Dopo la solita routine che comprende la colazione, fare la lavatrice, sistemare la mia camera e il bagno; io e Bronx ci siamo incappucciati a dovere e siamo usciti sulla spiaggia per raggiungere mio padre che stava "lavorando" al portico da dopo l'ora di pranzo. Una volta fuori ci siamo seduti sulle scale di roccia e per buona parte del pomeriggio siamo rimasti a fissare papà. Prendeva in mano enormi fogli di carta su cui disegnava strane linee e segnava appunti tutto eccitato, corrugava la fronte e guardava ciò che aveva pastrocchiato sui fogli con fare quasi professionale. Di tanto in tanto borbottava quanto fosse epico il suo "capolavoro" e annuiva convinto. Mi sa che con questa storia del molo si sta gasando un po' troppo; nemmeno i geometri del Burj Khalifa, la torre più alta di Dubai, erano così esaltati...

***

Infilo la mano dentro l'enorme tasca del maglione di mio padre, il momentaneo ingegnere e geometre, e ne tiro fuori una mela rossa che prendo a mordere con fare annoiato. Ma a spazzare la noia, oltre alle performance di mio padre, ci sta pensando anche il vento che agita i miei ricci a destra e a sinistra fastidiosamente. Con la mano libera cerco di sistemarli alla bell'e meglio mentre fisso papà che tutto concentrato posiziona il primo chiodo sull'asse con una mano, e con l'altra alza il martello per sferrare il primo colpo. Bronx abbassa il muso e si copre gli occhi con le zampe anteriori mentre io affondo la testa tra le spalle e trattengo il fiato in attesa del colpo. «Oh-oh» mormoro. Ho un brutto presentimento.

Non appena il martello raggiunge il chiodo, con quella che ritengo sia una forza del tutto esagerata, mio padre urla come un pazzo e molla il martello che gli finisce prontamente sul piede mentre si tiene il pollice che ha appena schiacciato: «Cristo! PORCA TROIA» grida sobbalzando dal dolore. Scuoto la testa rassegnata e Bronx emette un basso piagnucolio come a dire "ma perché ti devi massacrare?".

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