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«Si tratta di tuo padre. È tornato.»
«Sì, Dalton è tuo padre.»

Le macchine sfrecciavano sul cemento laccato della strada, mai come quel giorno, che fossero catorci o macchine importanti, che il guidatore fosse un uomo o una donna, che fossero giovani o più in là con gli anni, assunse un'importanza particolare in quel preciso istante.

Sentivo di dovermi concentrare su qualcosa che non fosse ascoltare i miei pensieri disastrati.

Quel preciso istante, in cui convinzioni di una vita, pensieri mai elaborati prima e freschi come la vernice appena spalmata, contro vecchi e super consumati, contro immagini, desideri, pianti, urla, si scontrarono e l'impatto sulla mia persona e la mia anima fu inevitabile.

All'improvviso riuscii a sentire perfettamente qualsiasi rumore che potesse portarmi alla follia. Di sorpresa il mio udito era diventato completamente efficiente ed incredibile. E mi sembrò alquanto ironico visto e considerato che da un po' di tempo a quella parte dovevo farmi ripetere le cose due volte per capirle. Potevo perfettamente sentire il suono di ogni clacson che veniva premuto con furia dal palmo della mano di un qualsiasi autista. Ogni strusciata di pneumatici contro il suolo. Ogni frenata o curva che fosse, io riuscivo a sentirla. E si mischiava a quei pensieri, a quelle parole strazianti. Una pressione alla bocca dello stomaco cercava di spingere il mio corpo all'insù e non capivo cosa fosse.

Riuscii a capire persino quanta acqua scorresse dalle tubature al piano di sopra.
Riuscii a sentire il fruscio del vento che spostava i rami degli alberi gli uni contro gli altri. Un po' come i miei pensieri, no?

Non penso si possa descrivere quello che provai. Non credo esistano parole o paragoni adatti ad esprimere ciò che sentii e per quanto mi sforzi di rendervi partecipi di quel mio tormento interiore, non ne sono capace. Non lo sono mai stata. Non sono mai riuscita in nulla, in realtà.

Sapevo soltanto che avevo bisogno di acqua. Fredda. Ghiacciata. Preferibilmente sulla fronte perché sentivo la pelle infuocarsi. Avrei dovuto sentire anche il bisogno di respirare bene e regolarmente, ma, sinceramente, respirare era l'ultimo dei miei pensieri.
Una patina di sudore comparve sulla fronte.

Potevo sentire un groppo delle dimensioni di una palla da basket fissato e bloccato nella gola secca. Non avevo neanche la forza di deglutire. Soltanto a pensarci adesso, riesco a percepirlo nuovamente, con la stessa intensità e pesantezza.

Così trattenni la crisi che stava sull'orlo del precipizio, decisi fosse opportuno rimandarla. Era giusto che lo facessi.
Sì, era decisamente opportuno rimandarla.
In parte le soffocai.. la sensazione di paura ed
infinita tristezza, intendo.
In parte riuscii ad opprimerle, ma solo in parte.

«Penso di dover andare un attimo al bagno.»
sussurrai schiarendomi la gola con una piccola tosse.
Non capivo neanche il perché della mia reazione. Voglio dire, sapevo che non era dovuto soltanto a quello. Sapevo che c'era di più.. da dire, da sentire, da pensare.
Eppure l'unica immagine davanti ai miei occhi era la fantasia, l'illusione di una vita passata in cui io, la mia mamma ed il mio papà saremmo stati una famiglia bellissima, non perfetta, ma bellissima in ogni predica, litigio o risata che fosse.

«Prima che tu abbia un crollo emotivo, c'è altro che devi sapere.» sussurrò la sua voce gentile era leggermente intrisa di panico, lei sapeva cosa mi stesse passando per la testa e sapeva anche che non avrei retto. Non capivo come facesse a saperlo, non mi sembrava di starlo esternando.
«Altro?» cominciai a ridere in modo isterico. «Sul serio? Non è ancora finita?»
Le lacrime presero a pizzicare agli angoli degli occhi. Se solo avessi sbattuto le palpebre sarebbero cadute a fiotti e non doveva assolutamente succedere.

something sinful •• [interrotta]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora