Capitolo 29

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Sergio era immobile di fronte allo specchio dello spogliatoio. Avevano appena finito gli allenamenti mattutini e tutta la squadra aveva già raggiunto la mensa a Valdebebas per mangiare tutti assieme, come ogni giorno.

Sentiva ancora il vociare dei suoi compagni nel corridoio e all'improvviso un flashback lo investì.

2 settembre 2005. Valdebebas, quello stesso spogliatoio.

Sergio si guardava intorno, senza capire ancora bene dove si trovasse.

Si era presentato al grande pubblico del Santiago Bernabéu solo due giorni prima, quando Florentino Pérez l'aveva orgogliosamente accolto in casa "Merengues" con applausi, ovazioni e grandi discorsi.

Lui infondo era solo un ragazzino di diciannove anni che non aveva mai giocato in un club così grande, che ancora non si rendeva conto delle grandi responsabilità che derivavano da questo cambiamento. Era lì, dentro lo spogliatoio, e attendeva che qualcuno lo venisse a prendere per dargli indicazioni: cosa doveva fare? Dove doveva andare? Dov'era il campo? Dove avrebbe potuto dare due calci al pallone?

Perché questo sapeva fare. Lui non sapeva sorridere ai fotografi, non sapeva vantarsi come i grandi calciatori che aveva sempre visto in televisione, lui non veniva dalla grande Madrid, non aveva dei parenti famosi per il calcio, lui veniva da Camas, un paesino vicino a Siviglia, il suo accento era così strano, era passato dal sognare di giocare in quella grande squadra nei sobborghi di Jardìn Atalaya, al giocarci veramente.

Il suo cuore fece un altro salto nel petto e tutto quello che sentiva era..l'ansia e la paura.

Cosa sarebbe successo se non fosse stato all'altezza? L'avrebbero cacciato? Sarebbe stato il più grande disastro della storia del Madrid – si guardò intorno e osservò i quadri sui muri dello spogliatoio: c'era David Beckham, Roberto Carlos, Zinedine Zidane, e i grandi del passato.

Ad un tratto si fermò di fronte al suo armadietto, c'era il suo nome, le sue scarpe, la sua divisa, quel numero 4 di difesa così importante – un giorno se lo sarebbe tatuato sulla schiena o forse su un polpaccio, o forse su un braccio: infondo doveva sancire quel nuovo capitolo della sua vita in qualche modo e un tatuaggio era secondo lui il modo migliore.

"Che fai qui da solo?" una voce dietro di sé lo fece sobbalzare.

Sergio si voltò, spaventato. "Mi hai fatto paura" disse con un filo di voce.

Era un ragazzo alto, con gli occhi scuri e un sorriso gentile. Aveva la divisa da allenamento, i pantaloni lunghi e scuri e la maglietta bianca con lo stemma del Real all'altezza del cuore.

Era la prima volta che incontrava un suo compagno di squadra – dopo la presentazione, quello era il primo giorno d'allenamento per lui con la squadra. Non vedeva l'ora di conoscerli, i grandi idoli della sua infanzia che avrebbero giocato con lui nella stessa squadra: un'emozione indescrivibile.

"Tu devi essere il nuovo arrivato" sorrise quel ragazzo.

Quando avanzò verso di lui per stringergli la mano, Sergio lo riconobbe.

"Molto piacere" disse il ragazzo "Sono..."

"..Iker Casillas." disse Sergio stringendogli la mano. Iker aveva qualche anno in più di lui, ma Sergio lo conosceva bene – lui era considerato uno dei portieri più bravi in Spagna e addirittura del mondo.

"Beh vedo che hai studiato per il primo giorno" sorrise il ragazzo. "Anche io so qualcosa di te." soggiunse.

"Ci siamo già incontrati vero?" annuì Sergio.

"Certo, mi ricordo di te l'anno scorso a Siviglia... bella partita, un po' aggressivi per i miei gusti, ma ci stava, vi abbiamo stracciato." lo provocò lui col sorriso.

Trudly, Madly, Deeply || Ramos, CasillasDove le storie prendono vita. Scoprilo ora