CAPITOLO 11

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Matthew

Maledetta panna

È Natale e fuori sta cadendo una leggera ma soffice neve, che inizia a coprire i tetti degli edifici. Nella sua danza silenziosa avvolge di freddezza la città, ricoprendola con la sua melodia bianca. Vorrei che ricoprisse anche me, nella speranza che possa nascondere anche il mio vuoto, con il suo manto bianco. Il mio respiro contro al vetro si appanna creando un alone opaco, forse dovrei aumentare il riscaldamento.

Mi allontano dalle vetrate, per poi sedermi sulla mia poltrona riappoggiandomi con i gomiti sulla superficie della scrivania.

Sono solo a Natale, forse è questo che mi merito nella vita, la solitudine. Ma presto questa situazione verrà messa a dura prova da Jennifer. Sono passate due settimane da quando la stavo per baciare. Cosa mi era passato nel cervello in quel momento? Però lei era così bella e così vicina che non ero riuscito a controllarmi. La sua pelle era come velluto sotto le mie mani e quelle labbra piene e carnose era come se mi chiamassero. Altro che alzare la temperatura, se non smetto di pensare a lei potrei prendere fuoco.

In questi ultimi giorni ci siamo sentiti solo per ristrette conversazioni per il matrimonio, e mi manca come se fosse una dose di droga, senza la quale non riesco a vivere.

Credo mi abbia fatto qualche tipo d'incantesimo, perché solo questo mi sembra logico per quello che mi fa provare. È una cosa solo fisica, devo ricordarmi questo. Non provo niente per lei, sono questa fottuta voglia di spogliarla e farla mia.

Ma perché? Perché non riesco a provare cose del genere con un'altra donna? Non mi sono fatto mai questi genere di problemi. Per me c'è sempre stato il lavoro e poi quando avevo tempo mi sfogavo con una qualsiasi. Ma quello che provo con Jennifer è diverso. Il suo sorriso è come un raggio di sole che entra dalla piccola finestra della mia oscurità, accecandomi. Per non parlare di quegli occhi color cioccolato, grandi e ipnotici, ogni volta è una sfida distogliere lo sguardo.

Mi passo le mani sul viso, stropicciandomi gli occhi stanchi, sospirando profondamente. Sarà una vera agonia vivervici insieme, probabilmente non ne uscirò vivo.

Stasera mi aveva invitato alla cena con la sua famiglia, una felice cena di Natale, ma per quanto possa apprezzare la loro compagnia, non posso permettermi di affezionarmi. Questa storia dovrà durare solo un anno, e poi entrambi ci separeremo, prendendo strade diverse. Eppure la reazione di Jenny al telefono, del mio rifiuto ancora mi disturba, come delle unghie passate su una lavagna. La sua delusione è come un dolce amaro, che avrei evitato volentieri.

Gli ho rifilato la scusa del lavoro, che poi tanto scusa non è. Mi soffermo sulle decine di fogli sparsi sul tavolo, pronti per essere letti da me. Li ignoro, afferrando il bicchiere con due dita di whisky scozzese «zio tu si che avevi gusto», mormoro per poi alzare il bicchiere verso l'alto «auguri». Il liquido freddo mi scende lungo la gola, lasciando però al suo passaggio solo bruciore. Faccio una smorfia per poi riappoggiare il bicchiere sulla superficie scura. Osservo per qualche momento la condensa, che lentamente scende lungo il vetro, per poi creare una piccola pozza sulla scrivania.

Forse la verità per cui non sono andato alla cena con la sua famiglia, è perché il Natale lo passavo sempre con Richard. Ogni anno quel bastardo voleva fare i biscotti, non importava quali. Di pan di zenzero, con le gocce di cioccolato, al burro, l'importante era farli da zero. La maggior parte delle volte uscivano male o bruciacchiati, ma li mangiavamo lo stesso per poi passare la giornata insieme. Se penso al Natale, penso a lui, e non sono pronto a lasciare andare quei ricordi. Quindi mi sono rifugiato in questo ufficio per mettermi solo a lavorare, ma la mia testa ha troppi pensieri in testa, e non riesco a concentrarmi.

MIA PER 365 GIORNIDove le storie prendono vita. Scoprilo ora