CAPITOLO 26

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Dove posso mettermi?

Jennifer

È passata una settimana dalla notte di capodanno, alla mattino quando mi sono svegliata, il profumo di Matt mi aveva invaso, mischiandosi a quello del caffè. Lui stava facendo colazione, e m'invito a farla insieme a lui, per poi chiamare un auto per portarci a casa.

Da allora la nostra convivenza pacifica era rimasta tale. Un calma piatta, come un ECG durante un arresto cardiaco.

È meglio così, mi ripeto ogni giorno, mentre lui salta le cene pur di non mangiare con me, che non mi raggiunge per le serate film e che mi manda la buonanotte via messaggio, pur di non vedermi.

Sì va tutto alla grande.

Quando esco dall'ascensore i miei colleghi si girano a guardarmi, con fin troppa ossessione. Oggi ricomincio il lavoro, dopo il permesso matrimoniale che mi sono presa. E devo dire che sarei rimasta a letto volentieri. Perché già dall'ingresso capisco che qualcosa non va. Nessuno mi saluta, nessuno che mi parla, solo degli sguardi fissi e stupiti.

Abbasso lo sguardo e continuo la mia strada, verso la mia postazione, infilando la borsa nel cassetto della scrivania. «Jennifer» alzo lo sguardo, trovando quello del mio capo e subito trattengo una smorfia. Devo riabituarmi a vederlo ogni giorno senza cercare di mandarlo al diavolo ogni due secondi.

«Come sono andate le tue ferie?» sussurra, per poi sedersi sull'angolo della mia scrivania. Lo guardo confusa, in tutti questi anni non si è mai avvicinato così tanto a questo cubicolo, ignorandolo come se fosse feccia. E invece ora eccolo qui come un virus fastidioso.

Sfoggio il mio miglior finto sorriso, cercando di non fargli notare, quanto la sua presenza mi infastidisca. «Bene, anzi ti chiedo ancora scusa per il poco preavviso, ma visto che avevo ferie arretrate non credo che sia stato un problema, giusto?». Ho evitato un sacco di ferie e ne ho annullate altrettante, solo perché lui aveva "bisogno" di me. Ma questa volta, non potevo di certo saltarle. Mi sono goduta ogni giorno della mia "luna di miele" lontano da questo posto, ma soprattutto lontano da un uomo che odio. Dannazione.

Lui annuisce e senza chiedermi il permesso, afferra la cornice con la foto di me e Aria e Chad al mio diploma. La osserva per qualche secondo, per poi posarla di nuovo sulla superficie bianca della scrivania.

«Congratulazioni comunque per il tuo matrimonio, anche se mi sarebbe piaciuto saperlo da te, e non dalla stampa» si alza e senza aspettare una mia risposta, ritorna nel suo ufficio.

Orribile, così definisco la giornata appena passata. L'intera mattinata l'ho passata a seguire gli ordini di Porter. Oggi ha deciso di rendermi la vita impossibile, o almeno molto più del solito. Non aveva fatto altro che darmi un compito dietro l'altro, senza risparmiarsi battute sul fatto che dovevo recuperare il tempo perso per riposare.

Ma soprattutto, la cosa che mi ha infastidito di più e che erano tutte mansioni non di mia competenza, facendomi anche andare a prendergli i vestiti in lavanderia, cosa che in tre anni non ho mai fatto.

Senza contare che a pranzo, sono stata costretta a rintanarmi in ufficio, perché la stampa mi aspettava fuori, con centinaia di domande. Infine come se non fosse già stato tutto così difficile, Porter mi aveva dato tredici contratti, da sistemare ed editare entro domani, cosa letteralmente impossibile.

Quando entro in casa, lancio i fascicoli sul tavolo in salotto e mi butto sul divano a testa in giù, urlando contro il cuscino.

«Brutta giornata?».

Sollevo il viso e lo osservo, attraverso delle ciocche di capelli davanti agli occhi, che sono troppo stanca per poterle scostare.

È appoggiato allo stipite della porta, con in mano un bicchiere, pieno per metà di un liquido scuro e ambrato, che scontrandosi contro alla luce sembra quasi brillare.

MIA PER 365 GIORNIDove le storie prendono vita. Scoprilo ora