CAPITOLO 53

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Nel vuoto pt. 2

Jennifer 

Mi prende di nuovo in braccio, e con pochi passi arriva fino alla sua scrivania, la sorpassa e poi mi fa scendere dalle sue braccia, davanti alle grandi vetrate che dallo sullo skyline notturno di New York.

Lui si siede sulle sua poltrona e la fa girare verso di me, appoggiandosi sullo schienale, guardando attentamente la sottoscritta.

«Togliti il vestito, ora!» mi ordina per poi indicarmi con un semplice dito.

Osservo il mio vestito del giorno. È rosso, con il taglio a blazer, che si chiude sul davanti con grossi bottoni dorati.
Effettivamente è un po' corto ma non così tanto da farmi immaginare lo scenario descritto da Matt.

Afferro il primo bottone e lentamente lo faccio passare attraverso l'asola.

«Non si chiede nemmeno per favore?» borbotto, come se la cosa mi disturbasse. Invece è solo una scusa in più per stuzzicarlo.

«Jennifer...» ringhia, per poi spostare lo sguardo di nuovo sulle mie mani, che intanto hanno raggiunto il secondo bottone.

La scollatura inizia ad aprirsi scoprendo la mia pelle e il mio intimo nero.

Afferro anche l'ultimo bottone e lo slaccio, aprendo completamente l'abito. Lo lascio scivolare sulle mie braccia e in meno di un secondo si ritrova per terra.

«Altro?» chiedo, facendo scioccare il laccio del reggiseno contro alla pelle, in un suono secco.

Lui si alza e mi raggiunge in meno di un attimo, mi afferra e mi volta spingendomi contro il vetro freddo e liscio.

Le sue mani mi slacciano il reggiseno, per poi farlo scivolare via dal mio corpo. Tremo al contatto del mio seno con la superficie. Ma appena avviene, il caldo dei miei seni crea una strana sensazione piacevole con il gelo della lastra. E i miei capezzoli s'inturgidiscono come due gemme preziose.

«Come ti senti così Jennifer? Esposta davanti a New York?».

Le sue mani afferrano le mutandine e le tira giù, facendole cadere ai miei piedi.

«Che strano, volevi punirmi se qualcuno mi avesse visto, e ora...» la sua bocca cade sul mio collo in un bacio affamato, che mi fa mancare il fiato, per poi farmi sciogliere in un gemito lungo.

«Quella tua lingua lunga...» mormora, vicino al mio orecchio.

Sento la sua cintura saltare, poi la cerniera dei suoi pantaloni e poi quel pacchettino argentato, che ormai e diventato come un segnale, che mi avverte che presto urlerò.

«Pensavo ti piacesse la mia lingua...» commento, cercando di fare la voce più malinconica possibile.

Le sue mani scendono sui fianchi e mi attirano contro di lui, facendomi scontrare contro la sua erezione. Sussulto, ma non mi allontano.

«Piacere è riduttivo tesoro...» sussurra, e un'altra scossa che parte dal mio essere mi fa tremare così tanto, che ho paura di cadere dai tacchi. Ma lui mi tiene stretta e so che non mi farà cadere.

Nel giro di qualche secondo entra dentro di me, così bene che mi coglie completamente di sorpresa.
Gemiti che non controllo, escono dalla mia bocca, senza che possa prevederlo. Mi stringo a lui e faccio per indietreggiare, per aumentare la pressione che ci unisce, ma lui mi spinge di più contro al vetro.

«Guarda giù» sussurra e le sue spinte sembrano aumentare, in questa danza che vorrei durasse in eterno.

«Cosa?» chiedo, aggrappandomi a vuoto nel vetro, senza nessun appiglio, mentre le unghie lo graffiano e scivolano.

«Ho detto guarda giù», ripete con tono perentorio. Davvero? Vuole farmi provare quell'orribile sensazione di vertigini, mentre è dentro di me? Vuole farmi tremare dalla paura, mentre sono al limite, pronta a liberarmi in un orgasmo?

«Jennifer, fallo!» ripete. E io lo faccio. Abbasso lo sguardo e osservo il vuoto. La città sembra lontanissima da qua su.

Ormai dovrebbe dormire, ma sotto le strade pullulano di colori, di auto, di gente. E sono sicura che se ora fossimo lì sotto, i rumori ci inonderebbero, compresi gli odori di smog e di cibo take-away.

Quella sensazione di stomaco sottosopra mi coglie come al solito, ma questa volta viene passata in secondo livello, lasciando spazio ad un'altra potente emozione.

E più guardo giù, più quella nausea sparisce, come un temporale che si allontana all'orizzonte, lasciando alle sue spalle un cielo limpido.

L'orgasmo mi colpisce in pieno, e il mio seno contro al vetro ormai caldo dal mio contatto, non fa che aumentare quell'onda altissima che sto cavalcando.

Tremo e mi lascio alla sua presa completamente. Lui mi afferra e mi tiene, mentre quella sensazione di fiducia mi scalda il cuore.

***

«Dobbiamo per forza andare a casa?» domando stanca, contro al suo petto. Siamo sprofondati nel divano dell'ufficio, e sono spalmata su di lui, senza nessuna voglia di alzarmi. Mi ha stordita, uccisa e riportata in vita.
È difficile da metabolizzare a quest'ora.

«Vuoi restare a dormire qui su questo divano? Ci risparmieremmo un viaggio domani mattina per venire qui, effettivamente», susurra facendomi ridacchiare.

«Però domani tutto il palazzo parlerebbe di noi, dei vestiti sgualciti e del giorno prima, sarebbe un grande scandalo», commento e lui ride per poi baciarmi sul naso prima di scendere sulla mia bocca.

«Quello che mi hai fatto fare prima...» sussurro e quel brivido incessante percorre la mia schiena, facendomi sistemare meglio sul suo corpo.

«Volevo aiutarti, anzi voglio aiutarti con la tua fobia, però se non vuoi...» inizia a dire ma io lo fermo, posandogli un dito contro le sue labbra morbide e calde.

«Grazie Matt, è stato strano ma anche bello, e sono riuscita a guardare giù, senza stare male», mormoro ancora sorpresa da mio comportamento. Anche dall'orgasmo che mi ha provocato.

Invece di fermarlo, sembrava anche averlo aumentato e cambiato.

«Davvero vuoi aiutarmi in questa cosa?» gli chiedo. Ci ho provato in tutti questi anni, a cercare di ignorare quella orrenda sensazione, come di qualcuno che ti afferra i polmoni e lo stomaco per poi stritolarli fino a farli scoppiare.

Una volta ho pure prenotato un viaggio breve in aereo per il Vermont. Io e Tess avevamo deciso di passare una settimana lì.
Ma una volta seduta sulla poltrona dell'aereo, mi ero alzata ed ero corsa fuori dal portellone, mentre le persone mi urlavano contro e le hostess cercavano di prendermi e placcarmi.

Alla fine siamo andate in auto.

«La mia psicologa mi disse che era tutto un blocco mentale, e che uno dei modi più efficaci per superarlo era affrontare la mia fobia» e visto che poi l'assicurazione non mi permetteva di pagare altre sedute, avevo preso quel consiglio come unica cura.

«Conoscendoti è perché pensi troppo, sull'elicottero non è andata così male, perché ti ho presa di sorpresa e non hai avuto il tempo di analizzare la situazione e di rifiutarla» sussurra, e la verità e uno schiaffo in faccia che però mi aspettavo.

È vero analizzo troppo le situazioni che mi capitano, ci penso troppo.

«Quella volta sei riuscito a farmi calmare, in un modo davvero unico, forse dovrei passare sotto alle sue cure dottore», sussurro con voce più melliflua possibile, mentre la mia mano gli accarezza la guancia, dove una leggera barba mi solletica il palmo.

«Credo di poterla soddisfare signorina», mormora, e poi mi prende in braccio facendomi urlare dalla sorpresa.

Incrocio le gambe dietro la sua schiena e ridacchio mentre lui si precipita verso l'ascensore.

«Dobbiamo continuare la cura, ho molte idee per questa notte».

Rido di gioia e lo stringo più forte, mentre la mia mente troppo analitica si chiede quando tutto questo finirà.  Domandosi, quando tornerò nel vuoto della mia vecchia vita, catapultata in un'universo senza di lui.

MIA PER 365 GIORNIDove le storie prendono vita. Scoprilo ora