CAPITOLO 22

27.1K 1.2K 57
                                    

Capodanno pt.3

Matthew

Le sollevo il viso con due dita sotto al mento e trovo il suo sguardo pietrificato. Le sue labbra fremano, mentre i respiri accelerati muovono le sue guance pallide.

«Fai respiri profondi», le chiedo ma lei m'ignora, continuando ad annegare nella sua ansia.

Vederla così è straziante, come se con il suo dolore mi stesse accoltellando nel petto. Senza pensarci troppo faccio l'unica cosa sensata che mi passa per la mente. "Oppure, l'unica cosa che desidero fare da giorni".

Con ancora le dita sul suo viso, lo sollevo ancora un po', per poi appoggiare le mie labbra sulle sue.

Per qualche attimo rimane immobile, come se una scarica di corrente l'avesse colta, fulminandola. Ma poi le sue labbra si rilassano e si avvolgono contro alle mie, in una dolce danza. La sua lingua dolce e morbida, accarezza la mia, in un gioco senza fine. Ma più passa il tempo più quel dolce bacio passa in secondo piano, diventando selvaggio e aggressivo.

I suoi denti mi mordono il labbro inferiore e poi lo lasciano andare, per poi affogare di nuovo nei miei baci. Questa donna è magica.

Per un attimo ho pensato che mi avrebbe allontanato e che probabilmente mi sarei meritato persino uno schiaffo. Invece ha ricambiato e cazzo se mi piace.

So che dovrei allontanarmi e smetterla di approfittare di lei. Smetterla di volerla. Smetterla di sentire e apprezzare quello che mi provoca. Smetterla di sentirmi vivo.

Se solo mi allontanasse, se solo non ricambiasse, come se fossi la sua unica fonte di ossigeno, come se da me dipendesse la sua vita, sarebbe molto più facile lasciarla andare.

Le sue mani esitanti si fanno strada sul mio petto, per poi salire, lasciando dietro una scia bruciante, fino ai miei capelli, affondando le sue dita. Cazzo. Se continuo così non saprò fermarmi, e non è una buona idea, visto che non è il momento adatto.

Ma la mia erezione non ne vuole sapere, spingendo contro i miei pantaloni, così tanto da farmi male.

«Ci prepariamo a scendere».

La voce di Lucas, è come una doccia fredda, che all'improvviso ci divide. I nostri respiri sono pesanti e affannosi, e i nostri sguardi si evitano. Mentre quella bolla che si era creata, scoppia, riportandoci alla realtà. Alla cruda verità, che io e lei non stiamo realmente insieme.

Dannazione, questa scelta forse ha rovinato tutti quei pochi progressi che avevo fatto con lei.

L'elicottero inizia a scendere gradualmente, e la mano di Jennifer torna a stringere la mia, conficcando le sue unghie nella carne, che aggressive lasciano delle mezzelune sul dorso.

Il silenzio ci si appiccica addosso come del sudore, mentre con destrezza e velocità, atterriamo sul tetto del Marriott Marquis a Times Square. L'hotel più grande situato qui e con la vista migliore sulla piazza. L'architettura moderna di questo edificio, ti fa sorprendere ogni volta che lo si guarda. Imponente, spettacolare e splendente. Peccato che entreremo dall'alto.

Appena Lucas ci dà il permesso, con mani tremanti Jennifer slaccia le varie cinture di sicurezza per poi sollevarsi, con ancora la mia giacca sulle spalle.

«Non mi sento le gambe», mormora ed effettivamente sta ancora tremando come una foglia in autunno. Mi alzo anch'io e ancora senza permesso la prendo in braccio per poi fare i gradini che finiscono sul tetto in cemento. Questa volta non si dimena, potrei quasi pensare che ha preso l'abitudine.

«Grazie Lucas, è un piacere come sempre», mormoro rivolto al pilota che ci osserva dalla sua postazione. «Non posso dire lo stesso Dallas, alla prossima».

Dice per poi richiudere il portellone mentre l'aria delle eliche ci investe ancora una volta.

Mi allontano verso l'ascensore, mentre lui riparte, trasportando via con sé il rumore, per lasciar trapelare le migliaia di persone che sotto di noi urlano, cantano e si divertono.

«Matt, ora sto bene, lasciami andare», mormora Jennifer ricordandomi che è ancora tra le mie braccia. Un sorriso malizioso mi si forma sul volto mentre osservo la sua maschera di rabbia. Ormai riesco a capire anche quando finge, ed è uno spettacolo divertente e da mozzare il fiato.

«Sicura? So quanto ti piace stare tra le mie braccia», sussurro e il suo corpo si irrigidisce, mentre i suoi occhi incandescenti contano i miei.

«Quanta modestia signor Dallas, ma non sa quanto si sbaglia», mormora con gelo. Andiamo di male in peggio. L'ascensore davanti a noi si spalanca e io entro per poi digitare il piano sotto di noi. Faccio scendere Jennifer dalle mie braccia e un senso di déjà-vu mi coglie la mente, facendomi sorridere.

«Dove siamo?» chiede guardandosi intorno nell'elegante ascensore. Avrei voluto che vedesse la hall di questo posto, è immensa e suggestiva, ma volevo evitare le centinaia di persone, che di sicuro ci saranno. Siamo a Times Square a capodanno dopotutto.

«Ti ho mai detto che sei snervante?» le chiedo senza però smettere di sorridere. Perché è così divertente discutere con lei? Non dovrebbe esserlo.

«Ti ho mai detto che sei uno stronzo?» chiede lei con mio stesso tono, mentre la carica elettrica che c'era prima torna presente intorno a noi.

«Che mogliettina sboccata che mi sono ritrovato» canzono, e la fossetta che gli si forma sulla fronte, quando è innervosita, sembra fossilizzarsi sulla sua pelle. Mentre il cioccolato dei suoi occhi sembra sciogliersi sotto al suo sguardo infuocato.

«Tu! Maledetto mi hai fatto prendere un dannato elicottero! Pur avendo intuito la mia fobia per l'altezza, ma te ne sei ad dir poco fregato!» mi urla, mentre i suoi pugni si posano sul mio petto e iniziano a battermi contro. Come una bambina che cerca di prendere a pugni un albero.

«E ora, invece che chiedermi scusa...».

L'ascensore si apre alle sue spalle, interrompendola, cosa che a quanto pare la fa impazzire, visto il suo sguardo alterato. Si morde il labbro inferiore e fa un grosso sospiro, susseguito da un gemito di frustrazione.

«Possiamo andare? O vuoi scendere fino al piano terra, così da prenderti tutto il tempo per insultarmi?» le chiedo, facendola innervosire ancora di più.

Senza dire altro si volta uscendo sul corridoio dal pavimento in marmo bianco con venature nere e oro, le pareti di un grigio chiaro, con appese delle luci suffuse e calde, che illuminano il piano e le porte.

«Mi hai portato in un hotel?» chiede sconcertata senza però smettere di osservarsi in torno, passando dai quadri, con una scelta di arte moderna, ai fiori freschi, al profumo fresco e dolce che aleggia nell'aria. La ignoro e inizio a incamminarmi verso la nostra stanza, la migliore con la vista sulla piazza.

Quando ho chiamato Marcus, il socio di maggioranza di questa struttura, per questo favore mi ha ceduto volentieri la stanza a patto che potesse cenare come ospite d'onore al Luxury, uno dei miei ristoranti in città. Mi è sembrato un patto equo.

Apro la stanza una volta passata la tessera nera e mi accorgo che di Jennifer è dietro di me. «Chiudi gli occhi».

MIA PER 365 GIORNIDove le storie prendono vita. Scoprilo ora