Capitolo 24

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[Clarke POV]

"... ma è entrata in coma... Al momento non sono consentite visite... vi informerò appena sarà possibile... Mi dispiace...".

Sento le parole del dottore arrivarmi ovattate. Non riesco a pensare... non riesco a parlare. Le mie lacrime rompono tutte le barriere inondandomi le guance. L'unica cosa che riesco a sentire è la disperazione che si sta facendo largo in me. Mi butto tra le braccia di Anya, cominciando a singhiozzare. La stringo a me, come a sorreggermi per non cadere. Il dolore che provo è talmente intenso che sento le mie gambe cedere. Se non fosse per Anya, probabilmente, sarei già caduta a terra.

"Clarke... Lexa è forte. Vedrai... andrà tutto bene... si riprenderà. Noi Woods non conosciamo la sconfitta... tornerà da noi", mi sussurra con dolcezza, cercando di calmarmi.

Rimaniamo in quella posizione fino a che non sento il mio corpo rilassarsi leggermente.

Torniamo a sederci nella sala d'attesa, il tempo sembra non passare mai. I pensieri cominciano ad affollarmi la mente. Perché diavolo mi hai spinto via, Lexa? Quel proiettile lo dovevo prendere io al tuo posto... ci dovrei essere io stesa in quel letto non tu... Perché l'hai fatto, amore mio? Ero io che ti dovevo proteggere, non viceversa... Oddio, che cosa ho fatto!?!

Il senso di colpa si manifesta prepotentemente. Mi sento un vero schifo. Non sono riuscita a proteggere la persona più importante della mia vita, che ora, grazie alla mia superficialità, sta lottando tra la vita e la morte. Come posso essere stata così ingenua? Dovevo indagare di più su quei SUV sospetti. Dovevo farle scudo col mio corpo. Giuro su Dio che chiunque ti abbia fatto questo pagherà con la sua vita. Clarke?! Ma che dici? Sei pur sempre un agente dell'FBI... non puoi pensare una cosa del genere... non puoi pensare alla vendetta. E perché no? Le persone che hanno fatto questo non meritano nessun tipo di indulgenza. Calmati, calmati Clarke... respira.

Scuoto la testa freneticamente sperando che questi assurdi pensieri se ne vadano, ma non ho fortuna, sono sempre lì, pronti a farmi dubitare di me stessa.

Passano delle ore ed io continuo a rimuginare su tutto quello che è successo e a come avrei potuto impedirlo. Sono talmente impantanata nei miei pensieri che non mi accorgo che qualcuno sta venendo verso di noi. La sua voce mi fa trasalire. Alzo gli occhi e vedo il dottore. Come se avessi una molla sotto il sedere, salto in piedi e questa volta sono io a chiedergli informazioni.

"Come sta? C'è qualche miglioramento? La possiamo vedere?", gli domando a raffica.

"La situazione della paziente è invariata signorina... ma ora potete vederla... solo una alla volta però...", sottolinea l'uomo prima che il nostro entusiasmo possa prendere il sopravvento.

Io e Anya ci guardiamo in faccia per un istante e, prima che riesca ad aprire bocca, mi precede.

"Vai prima tu Clarke, io rimango qui... e poi devo ancora chiamare casa per informarli di tutto".

"Grazie... Grazie Anya", le dico posandole una mano sul braccio per una dolce stretta.

Subito dopo seguo il dottore verso la camera di Lexa. Arrivati alla porta l'ansia prende il sopravvento.

"Mi raccomando, solo pochi minuti", mi avvisa l'uomo prima di dileguarsi.

La mia mano si posiziona subito sulla maniglia ma tentenna. Sospiro facendomi forza e poi entro.

Lo spettacolo che mi si para davanti, mi fa gelare il sangue. Vedo Lexa, distesa sul letto, immobile, attaccata al respiratore e al monitor del cuore, con la flebo che le esce dal braccio.

In the Arms of the EnemyDove le storie prendono vita. Scoprilo ora