Capitolo 13: DiLaurentis

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Passai una mano sul mio vestito nero, arrivava appena sopra le ginocchia, era aderente  completamente di pizzo ma grazie al tessuto nero che c'era di sotto ero coperta, mentre nelle braccia non c'era nulla sotto il pizzo e l'effetto era come se le mie braccia fossero tatuate. Mi stava bene, eppure il mio riflesso non mi piaceva per niente, tant'era che feci un'espressione disgustata. Mi aggiustai i capelli, su cui avevo passato accuratamente la piastra, sulle spalle, non avevo intenzione di legarli ma con le mani portai su il ciuffo per vedere come stavo meglio, ma alla fine decisi di lasciarli alla cavolo. Il trucco era semplice e quasi inesistente, avevo applicato il fondotinta, il correttore (dato che avevo delle occhiaie, che si sarebbero accentuate dato che avevo in programma di guardare alcuni episodi di serie televisive che avevo iniziato tanto tempo fa) mascara per rendere le mie ciglia visibili e un filo di matita, nient'altro.

«Tesoro, ti ho portato le scarpe.» mia madre aprì la porta ed  entrò nella mia stanza, chiudendosi infine la porta alle spalle, aveva tra le mani due scarpe nere con il tacco che se non sbagliavo era quindici centimetri, mia madre indossava un vestito rosso con un'elegante scollatura  a cuore, la quale era tempestata di brillantini sino sotto il seno in cui c'era un cinturino bianco. Il vestito era lungo sino le caviglie e aderente, risaltando il fisico magro di mia madre, il quale aveva perso tanti chili dalla morte di mio fratello. Nonostante il suo trucco leggero sugli occhi (aveva applicato dell'ombretto bianco e una sottile linea di eyeliner) potevo leggere la sofferenza nelle sue iridi verdi. Stava facendo tutto ciò solo per accontentare papà e solo questo era palesemente ingiusto.

«Grazie.» dissi prendendo le scarpe e posandole accanto ai miei piedi, mia madre mi osservò e sorrise avvicinandosi ancora di più a me. «Mamma, non devi farlo per forza.» dissi, prendendole le mani e girandomi completamente verso di lei.

«Infatti devo farlo per la mia forza, tesoro mio.» disse, sottraendo una mano dalla mia presa per accarezzarmi la guancia, mi era mancato tantissimo quel contatto, tant'era che mi feci trasportare dalla dolcezza di quel gesto chiudendo gli occhi. «Hai ragione, sai? Ho davvero nascosto tutto sotto la paura, perché alle volte rimanere ignoti su qualcosa fa stare meglio,  ci fa rimanere chiusi nella gabbia della familiarità lo so, ma sapere certe cose è peggio. Perora mi basta tutto quello che ho tra le mani, non voglio che niente e nessuno sia aggiunto o tolto, non mi capirai e ne sono consapevole, infatti non voglio essere compresa ma semplicemente ascoltata.» disse, e aprii le palpebre incontrando i suoi occhi distrutti celati da lacrime che cercava di trattenere, lacrime che dimostravano il dolore che provava ma soprattutto che sovrastava con la paura.

Tutto questo era, ancora una volta, colpa mia e dovevo rimediare non mi interessava quanto avrei sofferto ripensando a quella sera, ma dovevo rimediare.

«Mamma, mi dispiace.» Avrei dovuto dirle queste parole sei mesi fa, ma mi morivano sempre in gola. Mia madre aggrottò le sopracciglia formando una ruga tra loro. «So che avrei dovuto dirtelo prima, ma non ho mai avuto il coraggio. Non fare quella faccia, sai benissimo a cosa mi riferisco. James sarebbe ancora qui se non avessi avuto l'idea di quella festa d'addio e ora in quella casa ci vivrebbe con Chloe,  la casa dei loro sogni sarebbe intera e loro starebbero bene e noi saremo a Miami con loro per festeggiare il Natale.» Le mie mani iniziarono a tremare, la mia voce si inclinò ma chiusi gli occhi cercando di rimandare indietro le lacrime. «Anzi non capisco come fa a starmi vicina, dovresti odiarmi, buttarmi fuori casa invece sei qui ad accarezzarmi la guancia e a continuare a tenere la tua mano nella mia, perché non mi odi?» Cercai di avere un timbro di voce fermo.

«Semplicemente perché non è colpa tua, perché entrambe siamo l'ancora dell'altra, perché non sono l'unica a soffrire, tutti soffriamo per la sua morte e non smetteremo mai di farlo, ma soprattutto perché sei mia figlia e ti amo, come amo Aaron, Brandon e... il nostro angelo. Quindi non penserei mai più che io potrei odiarti perché non sarà mai così, tu sei la mia bambina la stessa che sta crescendo troppo in fretta, la stessa che preferisce leggere invece che uscire, la stessa che non ha paura di niente, la stessa che cerca di non piangere davanti gli altri per il suo orgoglio, la stessa alla quale non bisogna proibire nulla perché tanto lo farà lo stesso, la stessa ogni  volta ha bisogno di pensare, esce da quella finestra e si arrampica sul letto, facendomi stare in pensiero.» Aprii gli occhi sentendo quelle parole, mia madre sorrideva sornione mentre io avevo la mascella che per poco non toccava terra. «E la stessa che oggi si è vista con un ragazzo e non mi ha detto nulla.» Mia madre accentuò il suo sorriso che per una volta mi sembrò sincero, abbassando la mano che prima aveva sulla mia guancia e portandola sopra le mie mani.

Come una tempestaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora