Capitolo 28: Ghost of past

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Colton's pov

Il dolore era così forte che zittiva la folla attorno a me. Era come se i miei errori avessero voce propria e mi accusassero, mi ricordavano il passato che non potevo, ovviamente, cambiare ma a farmi male non era ricordare, bensì la voce che mi portava a ricordare: quella di Charlotte. Charlotte, la ragazza per cui avevo deciso di lottare, di fare ammenda con i miei demoni. E senza di lei, in mezzo a quell'aeroporto (in cui avrei dovuto aspettare due ore, dato che il mio volo era stato rimandato a causa di una tempesta di neve) non mi sentivo circondato da tutte quelle persone, mi sentivo solo, terribilmente solo, come mai lo ero stato e forse non c'era solitudine peggiore di quella. Una di quelle che ti obbligava a stare solo perché ti ricordava i tuoi errori, una che ti uccideva, la moglie del passato e l'amante del futuro. Ecco con quale tipo di solitudine vivevo: un'assassina. E ovviamente tra essa si insinuava la rabbia, che svaniva velocemente pensando a Charlotte. Rammentavo ancora la prima volta che ci incontrammo, entrambi scappavo dalla realtà nella stessa realtà, speravano di essere catapultati in un altro mondo dove non esisteva dolore. Ricordavo ancora i suoi occhi azzurri brillanti ma, nello stesso tempo, spenti come due diamanti. La anima era così spenta che non rifletteva la propria luce ma quella degli altri e quando li guardai bene, mi accorsi quanto buio fosse presente. Rammentavo la strana sensazione che avevo provato quando avevo sfiorato le sue dita. Mi resi conto di sorridere solo quando guardai il mio riflesso sullo schermo, tuttavia ritornai a guardare il vuoto. Rammentavo il quesito che si era posto nella mia mente quando vidi che entrava a casa di mia zia, ma ero troppo stanco per voler chiedere di persona. Rammentavo il momento in cui tornai a casa e trovai mia mamma in lacrime, era preoccupata per me. Mi ritrovai a vagare tra i ricordi: mi ritrovai a pensare a tutte quelle notti passate a strapparmi i capelli o dare pugni al muro per sfogare la rabbia che colmavo, quando mi chiedevo cosa avessi  fatto di male per meritare una vita simile. Quando mia sorella era andata via. Quando mia madre mi aveva pregato in ginocchio di non andare via, di non lasciare anche lei. Quando mio padre, venendo a conoscenza della situazione, mi aveva abbracciato e mi aveva promesso che mi avrebbe aiutato, che li avrebbe incastrati, che li avrebbe fatti soffrire al punto che l'avrebbero pregato di ucciderli perché non dovevano toccare suo figlio, non dovevano toccare la sua famiglia. E, per quanto avesse provato a nasconderlo, avevo visto una lacrima solcargli la guancia. Mio padre poteva sembrare quel tipo di persona antipatica, odiosa, scontrosa ma era tutt'altro. Mio padre avrebbe dato la vita per la sua famiglia, era molto duro, ma non era assolutamente scontroso. Rammentavo ancora quando prima della cena a casa del signor DiLaurentis, aveva pensato di volere provare a chiarire con la famiglia di Charlotte, però non rammentavo assolutamente la spiegazione per cui non l'avesse fatto. Mi mancavano tanto quelle serate passate sul divano con tutta la famiglia a guardarci i film horror scelti da papà, che molte volte ci portavano a ridere sino alle lacrime per le reazioni di Chloe che erano a dir poco esagerate. Rammentavo che anche se sentiva dire "ciao" durante la visione di un film horror, lei iniziava a urlare. Era una fifona. Però non potevo biasimarla, anche se lo nascondevo, alcuni film scelti da mio padre, mi traumatizzavano davvero. Ricordai che dopo la visione di un film degno di essere chiamato Horror, mia sorella si era spaventata così tanto che non voleva muoversi dal divano e dire che lei aveva quattordici anni e io dodici, tuttavia i miei genitori non insistettero e prendendo le coperte e i cuscini, dormimmo tutti nel divano, anche se mio padre si ritrovò a dormire a terra ma non andò via. Ricordavo ancora quando spiavamo le partire di wresting che guardava papà e che poi, il giorno seguente, ci divertiamo a imitare le mossa nella camera da letto. Molto spesso non arrivavano al terzo round o perché mia madre riusciva a sentirci (avevo sempre pensato che mia madre possedesse l'udito da vampiro, altrimenti non si spiegherebbe perché ogni qualvolta che avevamo bisogno di lei e urlavamo il suo nome non ci sentiva ma quando complottavamo sottovoce, spuntava sempre all'improvviso. Diciamo che aveva l'udito del vampiro a convenienza) o perché uno dei due si faceva molto male, molto spesso era mia sorella ma parecchie volte ero io dato che lottavo come se dovesse essere l'ultimo giorno della mia vita. Rammentavo ancora le diverse domeniche mattine in cui io e mia sorella ci svegliavamo presto e riempivamo secchi  d'acqua per svegliare dolcemente i nostri genitori. Cosa c'era di meglio di un po' d'acqua? Non capitava sempre, però non avevamo mai smesso di farlo perché i nostri genitori la prima volta erano scoppiati a ridere, le altre volte si erano incazzati di brutto però ormai avevamo preso il vizio. Avevamo rispettivamente tredici e undici anni, alla fine. Ricordavo tutte le feste a sorpresa organizzate per me e Chloe, ricordavo che lo festeggiamo sempre due volte: uno con tutta la famiglia o uno solo noi quattro  e potevo  giurare che mi divertivo sempre e solo in quest'ultimo, perché ogni volta mio padre doveva impiccarci la torta in faccia, nel verso senso della parola, e finiva sempre per iniziare una lotta della torta, soprannominata: " Tanto pulisce la mamma" cosa non vera, dato che quelli che pulivano eravamo sempre io e mio padre considerati "gli ideatori di questa rivolta contro le casalinghe", parole di mia madre. Ovviamente non esistevano solo i bei momenti, in una famiglia c'erano gli alti e bassi, ma nonostante ciò nessun problema ci aveva portato a dividerci se non quelli degli ultimi due anni. Il mio schermo si illuminò così abbassai lo sguardo e, con disgusto, notai un messaggio anonimo:

Come una tempestaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora