Capitolo 26: I forget it

152 20 62
                                    

Colton's pov
L'avevo vista cadere sul pavimento con lo sguardo fisso nel vuoto e pareva essere invisibile mentre gli altri lasciavano che il panico avesse la meglio, James fu quello più lucido infatti prese le chiavi della moto e il casco, seguito da Brandon dicendo solamente che sarebbe andato dietro Aaron. Così uscirono di casa, lasciando tutti ancora scioccati mentre io mi limitai a sedermi accanto Charlotte, ancora immobile come se fosse congelata e iniziai a pensare che lo fosse davvero dato che quando toccai le sue mani erano fredde. Era sotto shock. Pareva così piccola in quel momento, troppo piccola rispetto il dolore che le era piombato addosso. Non sapevo a cosa era dovuta questa reazione, non era solo il fatto di aver trovato un pezzo importante dell'auto di suo fratello e non era solo il fatto di avergli gridato contro di essere un coglione c'era qualcos'altro, ma non riuscivo a decifrare cosa. Pareva che indossasse la stessa maschera che indossava il giorno in cui la incontrai, una maschera pregnante di cicatrici, costruita con i sensi di colpa, il dolore e la rabbia che, in quel momento, pareva non essere presente. Mi limitai a stringerla tra le mie braccia, incapace di pronunciare qualcosa, incantato dal suo sguardo, i suoi occhi azzurri parevano essere celati da una tempesta che davano una sfaccettatura grigia, tuttavia quando sbattei le palpebre i suoi occhi erano nuovamente di un azzurro acceso come se la tempesta che avevo visto nei suoi occhi fosse una mia immaginazione. Le appoggiai la testa sul mio petto, dandole un bacio sopra e accarezzandole la schiena. Mi dimenticai che non eravamo soli, che attorno a noi c'era mia sorella, gli amici di Charlotte. E nessuno si apprestò a ricordarmelo. Così lasciai che io e Char entrassimo in quella bolla che il nostro bacio aveva creato, al riparo di ogni tempesta e ogni tipo di catastrofe di abbattersi su di noi. La ragazza tra le mie braccia sussurrò qualcosa, ma lo fece così piano che mi chiesi se lei stessa avesse udito le sue parole.

«Diamante, non sento». Sussurrai, in quel momento la mia voce parve riportarla nella realtà, come se la mia voce fosse una calamita e lei ferro. Infatti si allontanò di scatto da me, spingendomi talmente forte che dovetti mettere le mani dietro per evitare che la mia schiena arrivasse a toccare violentemente il pavimento. Lei iniziò a strisciare all'indietro, guardandomi con gli occhi sbarrati.

«È colpa mia! Mia. Sempre mia. Dovevo dirvi dei messaggi, dovevi dirvi tutto. Dovevo, Colton. Dovevo. Ormai è tardi, come sempre. È tardi. Tardi!». Urlò, facendo voltare tutti verso di lei. Strabuzzai gli occhi nell'udire quelle parole, ma soprattutto una: messaggi. Recentemente avevo iniziato a ricevere messaggi anonimi il cui contenuto non era, di certo, leggero. E dal contenuto capii che non si trattava di uno scherzo e che questa persona mi conosceva abbastanza bene. E avevo già in mente chi potesse essere, inoltre sapevo che se fosse stata proprio quella, avrei dovuto eseguire gli ordini poiché a quel mostro nessuno poteva sfuggire.  Mi avvicinai a lei anche se sembrava che la distanza non azzerava mai dato che indietreggiava, fino a quando non toccò con la schiena la parete.

«Diamante, guardami». Fui davanti a lei, mentre si portava le ginocchia al petto e insinuava le testa fra esse. «Guardami». Alzò la testa incastrando i nostri occhi l'uno nell'altro. I suoi erano un misto di emozioni: rabbia, odio, dolore e ansia. E ciò mi indusse a reprimere ciò che volevo dire. Per quanto volessi rassicurarla dicendole l'opposto, non potevo, non volevo illudere. In quel momento non andava tutto bene, non potevo mentirle. Non guardandola negli occhi, non ci riuscivo. «Non mollare ora». Le spostai una ciocca sfuggita dalla coda, mentre si passava una lingua sulle labbra.

«Colton». La voce di mia sorella arrivava lontana, come se non fosse alle mie spalle, forse era proprio questo l'effetto che mi faceva Charlotte: allontanava tutto da me, da noi, facendomi stare senza pensieri. E per quanto impossibile l'idea, in quel momento ne avevo avuto conferma. «Colton». Mi voltai verso di lei, mentre Charlotte ritornava a insinuare la testa fra le gambe. Chloe invece sorrideva e teneva il telefono poggiato accanto l'orecchio.

Come una tempestaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora