Capitolo 25: Nothing is impossible

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Il vento accarezzava il mio viso leggermente, dovuto anche al fatto che il mio contatto con il vento era attutito dalle spalle di Colton su cui ero appoggiata, mentre con le mani mi limitavo a stringergli la vita. Nel frattempo continuavo a guardare quel satellite che era stato testimone del primo bacio tra me e Colton, stavamo tornando a casa nel silenzio assoluto come se anche una semplice parola potesse distruggere la magia che era piombata su di noi alla fine di quel bacio, il quale al solo pensiero faceva tingere le mie guance di un rosso intenso che, fortunatamente, lo si poteva nascondere dato che indossavo il casco. Mi sentivo più libera, tutto ciò che percepivo era questo, pareva che quel bacio avesse portato con se tutte le emozioni negative che, attimi prima, provavo ed era gratificante. Tuttavia quando guardavo l'espressione di Colton la felicità che provavo scemava velocemente come una nuvola di fumo, lasciando spazio alla preoccupazione. Perché aveva l'espressione di uno pronto a lasciare che l'ira prendesse il sopravvento sull'emozioni, lo si poteva notare dalle mani che stringevano il manubrio così forte da fare diventare le nocche, ancora incrostate dal sangue, bianche tanto da indurmi a voler mettere le mani sulle sue se ci fossi arrivata. Però, probabilmente, non ne avrei mai avuto il coraggio. Pareva che le emozioni fossero piombati su di lui, così come i pensieri, così violentemente da schiacciarlo e fare rimanere di lui solo la maschera che aveva costruito lui stesso. Il tragitto verso casa era durato poco, di fatto mi stupii quando vidi la casa davanti i miei occhi.  Nonostante ciò rimasi sulla moto, slanciando le mani dalla sua vita e mettendo le mani sopra le gambe.

«Scendi». Le sue parole uscirono gelide tanto da farmi aggrottare le sopracciglia. «Sei sorda?».

«Ma mi spieghi che problemi hai? Prima mi baci, poi mi tratti come se fossi una puttana con la quale ti sei solamente divertito». Misi le mani sui fianchi, pregando Dio di non cadere. Ero davvero incazzata, non poteva tirare la pietra e poi nascondere la mano perché altrimenti la pietra se la trovava in testa.

«Ne ho abbastanza da non volerne altri». Spostò lo sguardo altrove, come se avesse paura di instaurare un contatto visivo tra noi. Mi ferii con quelle parole, perché capii il motivo per cui mi stava allontanando: mi considerava un problema e ciò mi indusse a scendere frettolosamente dalla moto, per non mostrargli quanto mi avesse ferita con quella semplice frase. Spesso mi ero definita un problema che andava eliminato ma mai mi era stato detto ciò da una persona con parole cosi gelidi da congelarmi sul posto.

«Guardami negli occhi e dimmi che sono un problema». Dissi, sbattendo più volte le palpebre sentendo gli occhi bruciare e di conseguenza speravo che le lacrime non mi avrebbero tradito in quel momento. Colton si voltò a guardarmi, parve per un attimo colpito dal mio sguardo, parve congelarsi ma non solo lui, parve anche per un attimo che tutto attorno a noi si fermasse. Mi sentii mancare il respiro dalla profondità del suo sguardo, i suoi occhi erano come frammenti di cielo notturno durante una tempesta, talmente scuri da farmi perdere lì dentro.

«Diamante, non sei tu il problema». Si voltò, strinse le mani attorno il manubrio così mi affrettai a mettere la mia mano sul suo braccio. Lui salì lo sguardo dalla mano fino ad incrociare i miei occhi, rimanemmo in quella posizione per quelli che sembrarono minuti interminabili, nessun rumore se non quello emesso dalla moto, nessun movimento se non quello dei nostri petti che si alzavano e abbassavano. Pareva che la bolla di magia in cui c'eravamo insinuati avesse perso la maggior parte del suo volume, si era ridotta così tanto da bloccarci. Nel suo sguardo leggevo chiaramente la sofferenza che stava provando a celare, non lo nascondeva per orgoglio, lo faceva perché la causa della sua sofferenza era orribile, così tanto da spaventare gli altri. Affermavo ciò perché conoscevo troppo bene quello sguardo, l'avevo visto troppe volte guardandomi allo specchio per sbagliare. Lui stava gridando aiuto attraverso quello sguardo e solo io sentivo quell'urlo insinuarsi nelle mie orecchie, martellando la mia testa e scuotendomi violentemente tanto che mi fece sussultare. Mi tolsi velocemente il casco e lo misi accanto a me, mi affrettai a mettere le mani sopra il casco di Colton affinché non partisse mentre lui non fissava me, stava fissando un punto davanti a se, il marciapiede. Come se, urlando con lo sguardo, avesse perso le forze. Come se, dato che ero riuscito a sentirlo, avesse smesso di urlare ed era caduto nell'abisso più totale.
Gli tolsi il casco e lui lo lasciò fare, spense la moto e mise il cavalletto, mentre mi feci da parte nel vederlo scendere, nel compiere quel semplice movimento perse definitivamente le forze cadendo a terra. Lanciai il casco accanto al mio e mi misi accanto a lui, era disteso sull'asfalto con lo sguardo fisso sul cielo. Pareva perso in qualche mondo a me sconosciuto, pareva che i pensieri fossero ormai troppo pesanti, pareva che, quello stesso passato che non era mai passato, gli fosse piombato di sopra così tanto da paralizzarlo.

Come una tempestaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora