Piccole gocce d'acqua si scontravano violentemente contro il finestrino della macchina, distraendomi dall'osservare il profilo perfetto di Colton e dalla musica trasmessa dalla radio, ma soprattutto, dagli innumerevoli ricordi dolorosi. Niente aiutava in quel momento, le occhiate che ogni tanto Colton mi lanciava, le lacrime che stavo trattenendo, le gambe che tremavano, le mani che lisciavano il vestito come se volessi togliermi di dosso quelle parole che si erano attaccate come ventose su di me, tuttavia non c'era modo per reprimerle e cacciarle in un angolo remoto della mia testa, poiché risuonavano ancora e ancora, prima lievi poi più potenti, come un tuono che squarciava il cielo durante una tempesta, sovrastava tutti i suoni ed era questo l'effetto che avevano su di me quella parole, solo che non erano attaccate fisicamente a me, ma erano nel mio cuore. Quei sensi di colpa scavavano dentro l'organo, rendendolo debole, aprendo ferite che pensavo ormai fossero cicatrici, chiuse per sempre, ma non era così. Da quando James era morto, ne avevo sentire di tutti i colori, alcuni sussurravano che ero io la responsabile, altri provavano compassione nei miei confronti, altri mi guardavano con disprezzo, altri ancora indifferenti, tuttavia quelli che mi facevano più paura erano i sussurri dei compassionevoli poiché proprio tra loro c'era il signor DiLaurentis e avevo avuto conferma che più le persone sembravano capirmi, più raccoglievano informazioni per ferirmi. James era una ferita da cui sgorgava di tutto ed ero consapevole che quella ferita non sarebbe mai diventata una cicatrice, perché era troppo profonda, troppo matura, era troppo e basta. Ma soprattutto era la ferita che mi ricordava James, il mio fratellone, la mia ancora, che era affondata negli abissi, poiché la mia tempesta l'aveva travolto, l'aveva ucciso e lui era affondato.
«Non ti interessa sapere dove stiamo andando?» Chiese il ragazzo, confuso, lentamente mi girai a guardarlo constatando che nonostante non conoscessi Colton, nonostante le regole rigide dei miei genitori di non andare in macchina con sconosciuti, nonostante il mio rifiuto nel fidarmi delle persone e nonostante il mio essere antipatica in ogni momento della mia giornata, mi ero resa incoerente andando con lui, permettendogli di vedere quanto potessero, delle semplici parole, rendermi debole, anche se, a causa del mio orgoglio, non feci solcare le mie guance da nessuna lacrima, lui l'aveva capito che stavo cercando di trattenermi.
«Al dire il vero, no.» Risposi, abbozzando un sorriso che di sincero non aveva nulla, era un sorriso forzato uno di quelli che ero abituata a mostrare, come una maschera che copriva le crepe presenti sul mio viso. Colton abbozzò un sorriso divertito.
«Quindi non ti interessa neanche se ti porto in una casa e ti mostro il mio passato da serial killer, ma subito dopo mi pento e ti uccido?» chiese, fermandosi al semaforo essendo rosso, così si girò a guardarmi, le sue labbra erano strette in una linea sottile e le sue guance erano gonfie segno delle risate che stava trattenendo.
«Sottovaluti che sono una donna, che so difendermi e che so che non faresti mai una cosa simile. Tra l'altro, tu hai paura di mio fratello Aaron e credimi se non vuoi vederlo in versione Samara, lascia perdere. Se tu mi uccidessi, lui ucciderebbe te ma non subito, ti torturerebbe sei giorni, facendomi passare le pene dell'inferno, ti taglierebbe il cosino che hai dentro i pantaloni e infine il settimo giorno ti ucciderebbe.» Dissi, con un timbro di voce serio e basso, per enfatizzare l'orrore e c'ero quasi riuscita dato che Colton aveva assunto un'espressione seria e terrorizzata, almeno se non fossi scoppiata a ridere, seguita da Colton e una serie di clacson dietro di noi, dato che era scattato il verde. Colton mise il piede sull'acceleratore e partì, facendo il medio attraverso lo specchietto retrovisore a quelli dietro.
«Neanche danno il tempo, oh.» Disse Colton, divertito, smisi di ridere ma sulle mie labbra rimase un sorriso. Mi sentii terribilmente imbarazzata, perché io stessa quando scattava il verde e quelli davanti a me non partivano mi attaccavo al clacson, anche se quando qualcuno suonavano a me, la mia reazione era identica a quella di Colton con la sola differenza che uscivo direttamente la mano dal finestrino, mettendo il medio a bella vista. «Scommetto che era una donna, non avete mai pazienza voi.» Disse Colton, divertito. Gli lancia un'occhiataccia e trattenendo le risate.
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Come una tempesta
Romance«Più le persone sembrano capirmi, più trovano informazioni per ferirmi». Questa era la verità che tormentava Charlotte ogni volta che era sola, ogni volta che i suoi demoni la torturavano, quando annegava nei sensi di colpa, ogni volta che crollav...