In un angolo, sul pavimento, con le gambe al petto, gli occhi gonfi e stanchi di piangere, fissavo il vuoto in cerca di risposte. Non provavo nulla, né rabbia, né tristezza, né senso di vendetta, neanche perdita. Nulla, ero vuota. Stanca. Distrutta. Ero sola ed ero morta. Non riuscivo a muovere un muscolo, parevo in uno stato di ibernazione da più di due ore. Da quando la consapevolezza della morte di Colton si era insinuata a me, uccidendomi. Kendall continuava a parlarmi ma la sua voce era un eco lontano, troppo lontano per risvegliarmi, troppo lontano per consolarmi. Aveva provato ad abbracciarmi ma era stato come abbracciare un cubetto di ghiaccio, mi avevano addirittura messo una coperta per riscaldarmi ma, come il riscaldamento, non aveva fatto nulla. Nulla serviva per sciogliere il ghiaccio che stava rivestendo il mio cuore, di nuovo. Non potevo sopportare anche la sua morte, non poteva avermi fatto anche questo. Non poteva. Era stata la mia migliore amica. Un urlo abbastanza forte, attirò la mia attenzione, spostai semplicemente gli occhi sulla figura che si era piazzata davanti a me. I suoi occhi verdi velati dalle lacrime che sgorgavano furiosamente dagli occhi, mi scuoteva le spalle e muoveva le labbra ma non arrivava nessun suono alle mie orecchie, i suoi capelli rossi le coprivano gli occhi per la velocità delle sue azioni, pareva che indossassi delle cuffie e non riuscissi a sentire ciò che diceva, fin quando non urlo di nuovo.
«Charlotte, per l'amor di Dio, non abbandonarci anche tu... Charlotte, mi senti?... Reagisci, porca troia, reagisci! Charlotte!... Char-». Fu interrotta da un singhiozzo.
«-Lotte». Smise di scuotermi le spalle, si accasciò davanti a me, singhiozzando, mi sentii egoista per ciò che stavo facendo e vedere Chloe in quelle condizioni mi fece stringere il cuore, mi misi in ginocchio e abbracciai il suo esile corpo. Non parlai, non fiatai, stetti ferma ad accarezzarle la schiena mentre lei stringeva la mia.«Non abbandonarci». Continuava a ripetermi, piangendo sulla mia spalla. Ero in un cucina da quando avevo ricevuto quella telefonata e tutti gli altri si trovavano nel salone. Sbattei le palpebre, alzandomi, seguita da Chloe. Dovevo essere forte un'ultima volta. Dovevo trovare Krystal e farle pagare tutto il dolore che aveva riversato sulla mia famiglia. Dovevo farlo per me, per Colton. Ogni passo che mi avvicinava al salone, faceva aumentare la mia collera, il mio desiderio di vendetta. Avevo stretto i pugni e asciugato gli occhi. E quando giunsi nel salone, osservai tutti i volti devastati, la madre di Colton tra le braccia di mia madre, singhiozzava e teneva tra le mani una foto di suo figlio che vietai a me stessa di guardarla, non poteva essere vero. Le mie migliori amiche piangevano, notai che Gabriel e Cassandra non fossero presenti ma, probabilmente non erano ancora arrivati, constai, inoltre, che gli uomini oltre i miei fratelli non fossero lì. Chloe andò a sedersi accanto sua madre per darle conforto, Kendall si avvicinò a me, avvolgendomi in un abbraccio.
«Sono nell'ufficio di tuo padre». Mi confidò, comprendendo la mia tacita domanda. Annuii e mi allontanai, salendo frettolosamente le scale. La porta dell'ufficio era chiusa ma poco mi importava, sentivo borbottare e senza indugiare, entrai.
«Allora?». Tutti alzarono lo sguardo dalla mappa distesa sopra la scrivania, tutti eccetto mio padre. «Avete scoperto dove si trovano?». La mia voce era carica di rabbia, una rabbia che non potevo sfogare. La mia tempesta ormai si era scatenata, il vento mi reggeva in piedi, i tuoni mi davano la scarica di adrenalina e la pioggia... la pioggia erano le lacrime che non riuscivo a lasciare solcare le mie guance. Tutto ciò ero io. Una tempesta indomabile e inarrestabile, che mi stava portando all'autodistruzione.
«Si, si trovano in una parte del Bronx, ma tutto ciò ci puzza un po'. Sono riusciti a nascondersi per tanto tempo e ora si fanno localizzare tramite il cellulare? È sicuramente una trappola. Ora tornerò in ufficio per attuare un piano. Voi state qua, sarete al riparo». Spiegò zio Richard, arrotolando la mappa. Pareva che stessero aspettando me, James seguì mio zio fuori l'ufficio per poi dirigersi verso le scale, ma notai che avevano dimenticato un pezzo di carta sulla scrivania. Mio padre e Christian, che pareva aver pianto da poco, uscirono poco dopo spegnendo la luce. Io rimasi ferma, sulla soglia.
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Come una tempesta
Romansa«Più le persone sembrano capirmi, più trovano informazioni per ferirmi». Questa era la verità che tormentava Charlotte ogni volta che era sola, ogni volta che i suoi demoni la torturavano, quando annegava nei sensi di colpa, ogni volta che crollav...