Epilogo

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Camminai lungo corridoi luminosi e spaziosi, un piede dopo l'altro azzeravamo la distanza che mi avrebbe portato in quella stanza, passai una mano sui jeans neri e sulla maglietta a mezze maniche con il logo di Batman, per sistemarmi mentre mi fermavo davanti la porta bianca, aggiustai la coda di cavallo e misi una mano sulla borsetta nera a tracollo, non bussai immediatamente, ricordai l'ultima volta che l'avevo visto:

Arrivai davanti la porta del suo appartamento, con l'ansia a tremila, da sola.
Bussai alla porta e quando essa si aprí, l'immagine del dolore si presentò ai miei occhi, viso scavato, occhi rossi e gonfi, lividi un po' dappertutto e fisico sciupato. Indietreggiai per la visione, sentendomi morire vedendolo in quello stato, lui spalancò la bocca ma venne sostituito da un ghigno.

«Wow, arrivi solo ora?». Mi prese in giro, facendo una piccola risata e tirando su con il naso rosso.

«Perché sei arrivato a questo punto?». Sussurrai, avvicinandomi e alzando la mano per accarezzare il suo viso.

«Non mi toccare». Si allontanò di scatto, procurandomi una stretta nel cuore.

«Perché?». Sussurrai, scuotendo la testa. «Questo non è il modo più sano per raggiungere la felicità».

«Non ti interessa davvero». E invece si sbagliava, mi interessava eccome, mi interessava. L'avevo cercato per un mese intero prima di trovarlo e avevo pregato a mio zio di lasciarmi, sola con lui, un'ora sola.

«Voi uomini avete questo fottuto vizio di dire che a noi donne non interessa, finitela». Commentai, roteando gli occhi. «Mi interessa, e te lo dimostro, se vuoi anche subito».

Chiusi le palpebre per cacciare indietro i ricordi e raccogliendo il coraggio, bussai, nel farlo guardai la punta delle mie converse rovinate e nere, appena udii il permesso, misi una mano sulla maniglia e l'abbassai, aprendo la porta e facendo un passo all'interno della stanza.

La stanza era illuminata ed era totalmente bianca, il letto, le pareti, il comodino tranne la televisione nera, pareva di essere dentro la panna. Un ragazzo osservava l'esterno, i suoi capelli castano scuro erano scompigliati e nella sua tuta nera pareva  magro  ma non quanto lo ricordavo.  Le esili spalle erano rilassate, non più rigide,  quando si voltò e incontrai i suoi occhi caramello sereni, annullai la distanza che ci separava e corsi ad abbracciarlo. Lo strinsi abbastanza forte da fargli chiedere di allontanarmi, annuii e gli diedi un bacio sulla guancia non più scavate.

«Come stai?». Domandai, sedendomi sul suo letto, il materasso  era comodo fortunatamente, fui sollevata di sapere che dormiva bene, almeno speravo.

«Be' mi sto riprendendo». Scrollò le spalle, mostrando un sorriso, anche il tono che aveva usato era diverso: era vivo.  «Sono severi ma è ciò che mi serviva».

«Non hai la minima idea di quanto sia felice di ciò».  Risposi, sorridendo.

«Penso che non fossi arrivata tu, sarei morto quel giorno stesso, lo sai vero?». Si sedette accanto a me, prendendo la mia mano e stringendola. Rimasi a guardarla mentre il ricordo continuò:

«Non devi dimostrarmi nulla, non ci sei mai stata finora e pretendi di farlo ora, ma sei seria? È tardi, lo capisci?». Urlò, «Sparisci!». Con ciò chiuse la porta, sbattendomela in faccia. Ma non potevo lasciarglielo fare. Non ora che l'avevo trovato, dissi mio zio di intervenire, così i suoi uomini spalancarono la porta, provarono a farmi restare fuori ma la puzza che sentivo di erba, mi fece entrare, l'appartamento aveva immobili capovolti, tranne un tavolino su cui c'era della polvere bianca.

Come una tempestaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora