Chapter 22|| You Can Use My Mobile Phone!

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Sono stesa sul divano a pancia in sotto. Il tempo passa veloce e Michael non accenna ad uscire dalla camera. Il "quasi" bacio deve aver sconvolto più lui di me. In realtà non so bene cosa provo per lui, o se ancora posso provare qualcosa per qualcuno che non sia Ashton. Ho avvertito comunque il brivido familiare del primo bacio, quello che meno ti aspetti e più ti aspetti allo stesso tempo. Lo sentivo. Sentivo le mani formicolare, voler afferrare le sue, stringerle. Michael è diventato qualcosa per me, ora devo solo capire cosa. L'averlo perennemente accanto aiuta e non aiuta. Fatto sta che per lui non sono indifferente, e non solo come amica o collega. Alzo la testa e mi guardo intorno. L'occhio mi cade sulla finestra, dove un cielo azzurro e limpido fa da sfondo. È mezzogiorno passato, per questo decido di chiedere a Michael se vuole mangiare, ma nessun suono esce dalla sua camera. Sconsolata butto l'occhio alla finestra, osservando ancora quel cielo di un azzurro perfetto. Come una tela, pitturata attentamente dalla mano di un pittore esperto, in grado eliminare ogni punto bianco, di cacciare l'imperfezione, strato dopo strato. Decido di uscire per prendere una boccata d'aria e pensare. Nel frattempo poteri fermarmi a prendere qualcosa da mangiare, e sfruttare questo tempo anche per studiare. Afferro una maglietta bianca sottile, con le maniche corte. Jeans grigi e, neanche il tempo di allacciare le Adidas, che sono già in strada, con il libro di storia dell'arte in mano.
Non c'è molta gente, visto l'orario. Mi fermo in un bar poco affollato. Vedo appeso sopra al bancone un cartello; una ventina di vari tipi di centrifugati e frullati. Decido di prenderne uno, ai frutti di bosco e, mentre lo preparano, mi invitano a sedermi ad un tavolino in legno. Tutto è a tema tropicale, palme finte sui lati, grandi foglie a contornare le finestre, un ananas, svuotata e riempita d'acqua, come portafiori e molte altre decorazioni. Mi piace questo posto, dev'essere nuovo, perché non l'ho mai visto. In meno di cinque minuti arriva il mio centrifugato ai frutti di bosco; un vasetto di vetro, contenente un liquido color carminio con sopra due mirtilli e un lampone. Afferro la cannuccia bianca e aspiro. Il liquido raggiunge le mie papille gustative, che esplodono al sapore dolce e delicato del centrifugato. Se non fossi in pubblico lascerei uscire un gemito di piacere, il piacere dettato dal cibo. Assaggio un mirtillo, leggermente asprigno, che diffonde il suo buon sapore per tutta la mia bocca.

•Venire più spesso in questo bar.

Afferro il libro di storia dell'arte, iniziando a leggere le pagine dov'è presente ogni segno di possesso. Frasi evidenziate, scritte a matita sul lato, post it attaccati nella parte alta della pagina, scarabocchi e disegnini vari fatti durante le ore di noia. Leggo svariate volte il primo paragrafo, cercando di memorizzare qualcosa, ma niente. La mia mente era da un'altra parte, che credo conduca a Michael. Il ricordo delle sue labbra, dei suoi occhi che chiedevano e che pensavano di sbagliare. Penso ora a quel ragazzo, chiuso in stanza. Sarà uscito? Avrà mangiato? Poi la mia mente si collega ad un altro ramo della mia vita: Ashton. Sta diventando sempre meno presente, nonostante molte volte il dolore ritorna, lacerando il petto. Questo dolore è presente nelle azione abitudinarie, che facevamo insieme. Come il guardare film e poi addormentarci sul più bello o sapere che c'è sempre qualcuno ad accompagnarti a scuola o a venirti a prendere. Lascio cadere la testa sul libro, sentendo l'odore della pagina e dell'evidenziatore pizzicarmi le narici. Provo a riportare la mente sul libro ma, appena i miei occhi colgono la parola Milano, sento gli occhi farsi umidi. Sto lasciando tutto, a partire da mio sogno. Sin da bambina non vedevo l'ora di andare nei negozi con mia mamma, comparare quelle gonnelline rosa, azzurre, viola, le calze bianche e le ballerine. Ricordo le medie, il momento più "trasandato" della nostra adolescenza. Felpe larghe e scarpette da ginnastica, in base all'ultimo modello. Ricordo la prima esperienza con il trucco, la prima macchia di mascara sul naso e la prima matita nell'occhio. Poi le superiori, dove capisci chi sei, dove trovi te stessa. E io ho trovato me stessa, ma l'ho lasciata andare. La me bambina creava abiti per le bambole da sola, li disegnava. La me delle medie li perfezionava, aggiungendo il suo stile e, la me di adesso, completa il lavoro, aggiungendo quanto basta per rendere un bozzetto, capolavoro. Asciugo le lacrime con un tovagliolino, cercando di non danneggiare il trucco. Metto via il libro e finisco in pochi sorsi quel poco di centrifugato rimasto e corro fuori. Maledico mentalmente Michael per non avermi ancora dato il suo telefono e corro verso casa. Sbatto però contro qualcosa, o dovrei dire, qualcuno. Alzo la testa incontrando due occhi scuri fissarmi. «Hey! Dove vai così di fretta?»
«Ciao Calum. Sai Michael mi ha rotto il telefono e sono costretta ad usare il suo, quindi tornavo a casa.» spiego, risistemandomi la maglietta. «Tieni, usa pure il mio.» mi offre gentilmente il ragazzo. «Grazie, faccio prestissimo!» Ridacchia mentre compongo il numero. «Fai con comodo.»
Porto il telefono all'orecchio e attendo. «Si?» «Debby sono Lottie. Sto usando il telefono di un mio... di un amico di Michael. Devo chiederti una cosa urgente.» Calum intanto mi osserva, mente avverto una nota di panico nella voce di Debby. «È successo qualcosa?» «No no. Ma... c'è modo di avere il viaggio gratis per Milano? Realizzando quel progetto, per esempio?» Passano alcuni minuti di silenzio, in cui mi mangio le unghie dall'ansia. «Si, credo si possa fare.» «Oddio! Grazie grazie! Ci vediamo domani al lavoro! Grazie!» saltello felice, ridando il telefono a Calum. 
Ora posso realizzare il mio sogno, e non posso permettere a nessuno, Michael per primo,  di fermarmi o rallentarmi.

Job Interview [Michael Clifford]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora