Chapter 56

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"Shan, apri!" grida Harry, sbattendo insistentemente i pugni sulla porta del bagno, mentre io sto infilando la gonna che indossavo la sera prima.

"Shannon, dannazione...apri solo un attimo!" insiste ed è incredibile come riesca ad essere fastidioso in alcuni momenti.

"Lo sai che posso buttarla giù" mi minaccia, senza mai smettere di tartassare la porta con i pugni.

"Fa' come vuoi" dico, tanto non c'è rischio che possa farlo veramente.

"Voglio solo darti dei vestiti, così potrai tornare a casa con quelli puliti" mi spiega e la sua proposta è così appetibile che di scatto apro la porta per prendere ciò che ha fra le mani.

"Aspet-" sta per dire, ma io gli chiudo la porta in faccia, tornando a vestirmi con fretta.
Quando ho finito, sembro un vero e proprio maschiaccio: indosso dei boxer, un pantalone della tuta, che ho dovuto stringere fino al massimo delle sue capacità perché non mi scendesse, e una larga maglietta nera, le quali maniche sono troppo lunghe per le mie braccia, i capelli legati in una crocchia improvvisata; in aggiunta, sono senza reggiseno né scarpe. Ma dov'è che vado conciata così?

'Non importa come, ma solo che devi uscire da qui dentro' mi suggerisce il mio subconscio.
Così, dando per buone le parole del mio caro amico, esco dal bagno, ma ho appena il tempo di fare due passi che la sua voce colpisce di nuovo il mio udito.

"Puoi aspettare un momento? Vorrei spiegarti..." si offre, inseguendomi sino all'entrata.

"Non c'è nulla da dire, Harry" lo interrompo spazientita.

"Hai trascurato di dirmi della pausa, hai giocato con me e smentito le tue parole. Cos'è che vuoi adesso?" sospiro.

"Voglio sapere cosa vuoi tu da me! Dici di volermi bene ma poi ti fa strano se dico che sei mia amica. Si può sapere?" protesta, alzando le braccia in aria.

"Non ho mai detto di volerti bene" ribatto io. L'ho detto davvero?

'Ma certo che sì' il mio subconscio è deciso a contraddirmi.

"Sì, l'hai detto, Shannon" anche Harry mi contraddice.

"Ma non credere che questo giustifichi le tue parole" insisto, sforzandomi di tenere il mio tono di voce basso.

"Non basta scusarsi per risolvere tutto" cerco di fargli notare, ma lui sembra avere i paraocchi: è convinto di avere ragione.

"Se ti riferisci alla pausa io non-"

"Non mi riferisco solo a quello, mi riferisco a tutto. Perché succede sempre la stessa cosa!" dico frustrata, incrociando le braccia al petto.

"E adesso tu parti, torni in Inghilterra. Perché non mi hai detto nulla?!" mi lamento, piagnucolando un po'.

"Oppure vogliamo parlare del fatto che adesso tutta Los Angeles sa chi sono? Perché hai autorizzato quella domanda nell'intervista?" gli domando, adesso che mi viene in mente quel particolare. Avrebbe potuto pattuire con Ellen, invece, non l'ha fatto, lasciando me a questo.

"L'avrebbero saputo anche se non avessi risposto a quella domanda, la stampa sa troppo bene come ricavare le sue notizie" risponde con nonchalance. Mi infastidisce da morire il fatto che appaia addirittura disinteressato adesso.

"Bene, credo non ci sia altro da dire" denoto, aprendo la porta con una mano, mentre con l'altra sorreggo la mia borsetta e i vestiti di ieri.

"Ehi, Shan" richiama di nuovo la mia attenzione, ma io non mi volto verso di lui.

"Scusa" finisce lo stesso per dire.

"Harry...basta" sospiro frustrata, non potendo evitare di girarmi.

"Dici sempre le cose più crudeli e dopo ti nascondi dietro uno stupido 'scusa'. Succede sempre così, ma adesso basta scusarsi. Tornatene in Inghilterra e lasciami in pace" concludo, giusto in tempo perché un clacson di un auto richiami la mia attenzione dietro l'immenso cancello che divide la realtà dal suo mondo. Esco (scalza), senza importarmi di guardarmi indietro, ma proseguendo solo verso la mia destinazione. Lui non mi segue, forse l'ho veramente lasciato di stucco.
Quando sono finalmente fuori dalla sua residenza, una lacrima solitaria si fa spazio sul mio volto, rigandolo fino a quando essa non cade sull'asfalto, forse. Davanti a me, c'è la macchina di Taylor -il fratello di Sam- che mi apre la portiera non appena mi vede.

"C-cosa...?" sospende la domanda vedendo il mio abbigliamento e la mia faccia imbronciata.

"Non chiedermelo" dico, aspettando che metta in moto l'auto. Subito poco dopo lo fa e finalmente ce ne andiamo via da questo quartiere super lussuoso di Los Angeles, dirigendoci verso quello in cui viviamo.

"Di chi era la casa?" non riesce ad impedirsi di chiedere. Non sono stata programmata per questo tipo di domande. Che dico adesso?

"Ehm...di un mio amico il quale padre è proprietario di una casa discografica a Hollywood" rispondo, cercando di non far trapelare altro dalla mia voce.

'Niente male, Shannon, niente male' si complimenta il mio subconscio e per una volta mi sembra perfino serio.

"Wow! Ecco perché è così grande" commenta con entusiasmo.
Dopo pochi minuti giungiamo allo sbocco della strada dove entrambi abitiamo; ma ho un attimo di tentennamento, perché mi viene in mente che non posso tornare a casa conciata così e che preferisco subire più l'interrogatorio di Sam che quello dei miei genitori. E poi desterei troppo sospetto con questi vestiti, potrebbero pensare che...e invece proprio niente, per fortuna.

"Taylor, dov'è Sam?" chiedo, prima che lui possa arrivare alla destinazione alla quale io non metterò piede.

"A casa" risponde, proseguendo dritto nell'ampio stradone alberato.

"Bene. Portami lì" gli ordino. Ora come ora, avrei voglia di sfasciare qualcosa e solo Sam può aiutarmi.

Always made in the am - h.s.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora