12 - Dieci anni prima

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- Come ti chiami? -

Questa è forse la domanda più semplice che esista al mondo.

Eppure per lui era sempre stata la più difficile a cui rispondere.
Bé, non che rispondere a una qualsiasi altra domanda fosse invece un'impresa da poco per lui.

Di solito, nel sentirsela porgere, alzava le spalle e scuoteva il capo, di fronte allo sguardo perplesso e confuso del suo interlocutore.

- Come ti chiami? -

Infatti, nel ricevere una risposta del genere, lo chiedevano sempre una seconda volta, forse credendo che non avesse sentito.

Lui però rispondeva nuovamente in quel modo: alzando le spalle e scuotendo il capo.

A volte accadeva che qualcuno che si trovava nelle vicinanze assistesse alla scena, avvicinandosi di conseguenza ai due e intromettendosi in quella conversazione a senso unico.

- È muto. -

Questo è ciò che diceva di solito il nuovo arrivato.
Ma poteva anche dire "non può parlare", "ha un problema alle corde vocali" e via dicendo.
C'era un'ampia scelta, nonostante di base il significato fosse sempre lo stesso.

A quel punto, però, quando il primo interlocutore porgeva a quello appena arrivato la stessa medesima domanda, si ritrovava a ricevere ancora una volta la stessa medesima risposta: una scrollata di spalle e un "no" fatto con il capo.

- Non ce l'ha. -

Questo è ciò che dicevano di solito, accompagnando le parole a quei soliti gesti.
Ma anche "nessuno gliel'ha mai dato", "non ne ho idea" e "non credo ne abbia uno" erano delle valide opzioni.

Nanashi

Così è come iniziarono a chiamarlo dopo qualche tempo.
O meglio, così è come NON iniziarono a chiamarlo, dato che il significato di quel nome era proprio "senza nome".

Il primo a chiamarlo così fu il panettiere dietro l'angolo dal quale passava ogni mattina per prendere gratis le pagnotte venute male, come quelle bruciate o nelle quali si era dimenticato di mettere il sale.

Lui, che a quei tempi aveva solo cinque anni, non fece una piega nel sentirsi chiamare a quel modo.

Certo, non era il nome più bello che esistesse al mondo, anche perché pareva più da femmina che da maschio, ma alla fine l'importante era averne uno, no?

Così almeno avrebbe finalmente saputo come rispondere a quella domanda...

~

Il sole era sorto da poco quando quel giorno il bambino rientrò in casa, una piccola e vecchia casetta di solo tre stanze: camera da letto, cucina e bagno.

Camminando in fretta e a piedi scalzi, raggiunse la camera da letto, portandosi dietro la busta con gli avanzi che aveva appena preso dalla panetteria.

Una volta giunto a destinazione rallentò il passo, preparandosi ad arrancare in mezzo all'oscurità per cercare di raggiungere il letto posto in fondo alla stanza senza andare a sbattere da qualche parte.

Sua madre infatti aveva sempre avuto il vizio di chiudere tende e serrande quando era giorno e il cielo era sereno.
Probabilmente lo faceva a causa della sua salute cagionevole, per colpa della quale era sempre costretta a stare a letto.
Usciva solo la sera, un giorno sì e un giorno no, per andare a lavorare come cameriera in un locale nelle vicinanze.

Nanashi infatti non era orfano e, nonostante non avesse mai conosciuto suo padre, aveva comunque lei.
Se la donna non gli aveva mai dato un nome, però, non era affatto perché non le importasse del figlio o a causa della sua salute, bensì per il semplice fatto che anche lei, come Nanashi, aveva quel problema alle corde vocali e che, non avendo mai ricevuto un'istruzione, non aveva mai imparato a scrivere, così da poter magari segnare il nome del figlio su un foglio e farlo leggere a qualcun altro.

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