9. Un'altra volta no

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Sento il fiato farsi corto, le guance imporporirsi e lo stomaco contorcersi in un crampo. E, peggio di qualsiasi altra cosa finora, un inquietante fastidio nel basso ventre.

Voglio sprofondare.

«Si vede che l'hai letto» commenta, incatenando i suoi occhi scuri ai miei.

"Sono così brillanti..."

Oh no. No. Un'altra volta no!

«Da cosa?» riesco solo a dire, sperando che i miei compagni scambino il mio atteggiamento per una manifestazione di tensione e imbarazzo per aver letto a voce alta davanti a tutti.

«Sei andata a colpo piuttosto sicuro quando hai cercato il passaggio che ti interessava. L'hai letto spedita, senza esitazioni, non come se te lo trovassi davanti per la prima volta. Lo ammetto, all'inizio ho pensato che ti fossi giocata la carta dell'amore giusto perché è un cliché che non passa mai di moda, ma mi sei sembrata convincente. Puoi dirmi qualcosa su "Novecento", ora?»

«Sì» rivolgo rapida lo sguardo verso la mia classe, sperando che vedere i loro volti mi restituisca un po' di stabilità e dignità.

«Puoi fare un riassunto come quello di prima, rustico.»

«Un...»

Prendo tempo, le sinapsi sembrano non connettere. Spero ancora che i miei compagni la prendano come una reazione normale.

«Un bambino viene abbandonato su una nave, impara a suonare il pianoforte con grande maestria e... Posso fare uno spoiler, prof?»

«L'abbiamo capito che muore, Mel» mi tranquillizza Elia, divertito, facendo ridacchiare anche i miei compagni.

«Tanto il bello sta nel mezzo» annuncia Rodari con aria ispirata «Non ho mai capito chi se la prende per gli spoiler: il bello non è il finale, è vedere come ci si arriva, capire gli indizi che l'autore ha creato ma anche celato ai nostri occhi e perché no, sforzarsi di coglierli sapendo già come finirà l'opera. A parte questa piccola digressione, vedo che ti sei impegnata a portare a termine ciò che ti è stato chiesto e l'hai saputo fare bene, quindi direi che per l'esposizione ti sei guadagnata un otto e mezzo. Non ti do nove perché i tuoi riassunti rustici sono molto carini, ma un po' troppo basici, se capisci cosa intendo. Cerca di ampliare un po' di più il tuo lessico, va bene?»

«Be', io comunque non mi lamento» ammetto. Rodari tende la mano.

«In ogni caso, complimenti» conclude, stringendo la mia mano in una morsa sicura ma non troppo stretta.

Senza accorgermene ne sfioro il dorso col pollice, tastando la pelle ruvida e ricoperta da una peluria leggera ma folta, e una scarica elettrica mi trapassa il corpo da parte a parte.

Ho un'improvvisa, irrazionale, folle voglia di stringermi a lui e baciarlo qui, su questo spigolo della cattedra, davanti a tutti i miei compagni.

Ritraggo la mano di corsa, come se quella del mio docente avesse iniziato a scottare, cercando una scusa per togliermi da questo pantano prima di combinare un casino.

«Posso andare in bagno, prof?»

Mi tampono il viso con uno di quegli orrendi panni carta spacciati per asciugamani, sperando che non mi sia colato il mascara ovunque: nonostante il nostro istituto possa godere di ben tre preziose Lavagne Interattive Multimediali lo specchio in bagno è ancora pura utopia, e io sono scappata tanto in fretta che non ho nulla di riflettente a portata di mano.

Il che, per certi versi, non è poi tanto male, perché devo avere una cera pessima.

Inspiro a fondo e butto fuori l'aria con un soffio misurato, continuando a chiedermi cosa mi stia succedendo e passando in rassegna ogni giustificazione possibile, senza trovarne una che mi convinca.

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