10. A cena

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«Secondo te cosa dovrei mettermi?»

Alzo gli occhi al cielo: «Mamma, te l'ho detto, non serve che ti metti chissà cosa!» le ribadisco per l'ennesima volta «Serena e Benedetto non hanno la puzza sotto il naso, e anche se fosse si tratta di andare in pizzeria, dai!»

Inizio ad esasperarmi.

Io e Valerio abbiamo deciso di organizzare la cena per far conoscere mia mamma e i suoi, e nonostante la mia genitrice sia un'ingegnere in carriera, determinata e professionale, sembra parecchio intimorita da ciò.

«Non so, sono talmente abituata a passare dai vestiti formali ai vestiti da casa che non mi ricordo cosa ci sia in mezzo» mi fa presente.

In realtà credo di averle creato dei complessi io stessa: ho ereditato i suoi colori, ma l'altezza, il fisico slanciato e armonioso e altri dettagli come il taglio degli occhi sono tutti rubati dal patrimonio genetico di papà. Da quando ho iniziato a superarla in altezza credo di averla abbattuta senza volere, anche se non me l'hai mai né detto né dato ad intendere.

«Qualsiasi cosa va benissimo» le dico con dolcezza «Davvero, non farti troppe paranoie. Non hai un paio di jeans, da qualche parte? Altrimenti ti presto qualcosa io.»

«Le tue cose mi vanno strette» mi fa presente con una punta di amarezza «E mi sa che non mi compro un paio di jeans da un pezzo. Tu cosa ti metti?»

Rifletto: «Non lo so. In pizzeria si schiatta di caldo e fuori è pur sempre febbraio.»

Sono avvolta da una gioiosa serenità: io e mamma non riusciamo mai a passare questi stupidi e bei momenti insieme, e amo godermeli quando mi capita la fortuna di assaporarli.

«Adesso quant'è che state insieme, tu e Valerio?» si informa mentre si infila un paio di leggings scuri. Rifletto.

«Facciamo un anno tra un mesetto.»

«Già? Caspita, come passa il tempo» commenta, sinceramente stupita «Mi sembra ieri che mi dicevi che saresti uscita con un tizio conosciuto su internet.»

Ridacchio: Valerio si è approcciato a me in totale anonimato su Facebook, con l'alias "Macchia Grigia", con una cordialità e una timidezza che mi hanno sciolta da subito. Avevo impiegato molto tempo a convincerlo a vederci, e anche quando ero riuscita a incontrarlo aveva esitato fino all'ultimo, non sentendosi alla mia altezza, anche se in fondo mi aveva già conquistata a prescindere.

Rivedo la scena: io nella piazza principale che gli scrivo su Messenger, guardandomi intorno senza vedere nessuno che avesse una sciarpa verde, che mi aveva indicato come suo tratto distintivo. Lui che, me l'avrebbe confessato dopo un po' di tempo, si era nascosto dietro una colonna del porticato vicino e ha temuto fino all'ultimo di essere visto, salvo poi decidersi a sbucare, far finta di non vedermi ed essere tradito da quella sciarpa smeraldina, che ha subito catturato il mio sguardo, mi ha portata a fermarlo e ha dato il "via" alla giornata che aspettavo.

Non posso fare a meno di sorridere.

"Come potrei anche solo pensare di buttarmi tra le braccia di qualcun altro?"

Il sorriso mi si spegne subito: quello strano caos di sensazioni contrastanti che provo verso il mio professore non ne vuole sapere di placarsi, senza che io ne abbia ancora compreso la ragione, e ritrovarmelo ogni giorno davanti, appollaiato sulla cattedra, di sicuro non mi giova molto.

«Allora, hai deciso cosa metterti?» mi esorta mamma «Rischiamo di fare tardi.»

Mi desto: apro il primo cassetto del mio comodino, ritrovando la sciarpa verde del destino.

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