20. Fine primo tempo

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Stiamo viaggiando in silenzio da quelle che mi sembrano ore, anche se l'orologio del cellulare mi segnala che sono passati a malapena cinque minuti: il nostro mutismo reciproco è opprimente, e il fatto che l'autoradio voglia trasmettere solo rumore bianco mi agita.

Passano ancora minuti interminabili, poi lui devia verso il parcheggio di un negozio chiuso da anni, sistema l'auto, la spegne e si volta verso di me.

«Avanti» mi invita, calmo «Parliamo.»

Cerco di recuperare il bandolo dei miei pensieri per mantenere la maggior onestà possibile senza rischiare di ferirlo, ma lui mi anticipa: «Io mi rendo conto che sono sparito, che i miei atteggiamenti sono diventati più freddi e che certi... diciamo vizi? che ti ho dato nell'ultimo anno sono venuti meno, e mi dispiace, credimi. Ma non è colpa mia, purtroppo.»

Lo osservo: nonostante cerchi di mantenere un certo distacco, noto la sua mano destra serrarsi pian piano intorno al volante della sua vecchia Panda. Il mio istinto freme per accarezzarlo, stringerlo e dirgli che andrà tutto bene, ma la razionalità mi impone di restare impalata sul sedile e tacere.

«L'università mi sta portando via più tempo del previsto» prosegue, continuando a stringere il volante «E in tutta onestà, mi sto anche facendo un sacco di nuovi amici, e mi va di mantenere questi rapporti, perché non ho mai creduto nelle relazioni troppo soffocanti, nell'essere una cosa unica con il partner e così via. Del resto tu hai i tuoi momenti liberi con Ester e Clarissa, se ci pensi io...»

«Valerio.» Mi azzardo a interromperlo, gelida.

«Sto finendo, scusa» prosegue lui, mentre le nocche iniziano a sbiancare «Io capisco che i nostri ritmi sono cambiati e tutto, ma ciò non significa che io non ti ami più. Però...»

Sbuffa, mollando il volante e abbassando lo sguardo, amareggiato.

«Però devi comprendermi.»

«Vale, io capisco benissimo il tuo discorso...» esordisco.

«A me non sembra» mi zittisce «Sei sparita del tutto in questi giorni. All'inizio ho pensato che fosse una reazione stizzita al fatto che non sono riuscito ad accompagnarti prima che partissi, poi al fatto che avessi da girare molto, che i giorni fossero pochi, che tutto. Ho provato a non scriverti più per primo, e tu non hai più fatto il primo passo. Perché?»

Sospiro, guardando fuori dal parabrezza la distesa di auto davanti a noi: «Valerio...» rispondo, con un filo di voce, sconvolta da quella sua dichiarazione tanto amareggiata.

Quando riprende parola, lui invece è rigido.

«Guardami in faccia. Perché davvero, Mel, non è mai successo in un anno e quanto, due mesi?, e non so davvero come comportarmi, o come decifrare il tuo comportamento. Non lo so.»

Volto lo sguardo verso di lui, leggendo una serie di emozioni che mi trapassano da parte a parte come una lama: delusione, amarezza, spaesamento, rabbia.

Amore, ostinato amore.

«Tu non c'entri niente» confesso a mezza voce, senza riuscire a mantenere lo sguardo su di lui e abbassandolo su un ricamo dei miei jeans. L'idea di dirgli la verità è per me atroce, ma non posso prenderlo in giro o negare. Essere onesta, ne sono certa, mi ripagherà.

Lui tace. Sento i suoi occhi indagatori scrutarmi e tentare di leggermi dentro, invadenti.

«Ma...?» mi invita con malagrazia, arpionando di nuovo il volante e serrandolo più forte di prima, senza più riuscire a nascondere il nervosismo.

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