«Dio, dimmi che non è vero.»
Guarda per aria, si mette le mani nei capelli e se li torce, nervoso, mentre il viso diventa dello stesso colore smorto della parete dietro di lui.
«Allora, te lo ricordi?» lo pungolo, tornando a evitare la forma di cortesia per infastidirlo, livida. Lui, in compenso, non sembra farci caso.
«Melissa, io...»
Sembra sul punto di voler vomitare.
«Io non...» farfuglia, disperato. «Io... Mi dispiace, tu non puoi capire, io... Io ti giuro...»
«Guarda che me lo ricordo che ti ho provocato io.»
Non ho paura delle conseguenze scolastiche, delle eventuali voci di corridoio di una scuola che sto per abbandonare e di ciò che diranno alle mie spalle in aereo domani mentre torneremo a casa: sono in ballo, ho intenzione di continuare a ballare.
«Ho fatto una cosa orribile, Melissa!» strilla, isterico, anche lui senza più freni inibitori. «Io non avrei mai dovuto... Cristo, io...»
Mi siedo vicino a lui e gli appoggio una mano sulla spalla, ignorando la sua occhiata furente a quel contatto.
«Andrea, ti ho provocato io» ribadisco, accarezzandolo e sentendo una scarica elettrica partire dal mio braccio e propagarsi in tutto il mio corpo, fino quasi a stordirmi.
«Togli quel braccio» mi intima, gelido.
«No.»
«Per favore, sono il tuo insegnante e questa situazione è del tutto inopportuna.»
Sorrido, beffarda: «Perché sennò cosa mi fai?» gli domando canzonatoria e infantile.
Andrea si alza di scatto e tira un pugno sullo scrittoio, il volto gli si storce in una smorfia di rabbia tanto pura che sembra quasi odio. Prende fiato e appena prende parola urla.
«Smettila!»
Ho sempre pensato che Andrea facesse paura quando ci squadrava e ci parlava con calma gelida, distaccata, ogni volta in cui ci beccava a copiare o non avevamo studiato nonostante l'ennesima interrogazione piazzata per salvare la media all'ultimo: ritenevo che fosse la sua peculiarità, che ad alzare la voce fossero buoni tutti e che la maggior parte cascasse inevitabilmente nel patetico e lui l'avesse capito.
Sbagliavo.
Così mi fa una paura fottuta.
«Professor Rodari...» azzardo, provando ad avvicinarmi. Lui punta un indice con violenza verso la porta, arrossendo, con le vene sulle tempie che pulsano impazzite.
«Esci!»
Non è un urlo umano, e quello che ho davanti non è l'uomo che amo in silenzio da quasi un anno e che mi ha insegnato le più importanti nozioni di letteratura in mio possesso: è una bestia in gabbia, e quella non è la sua voce, è un ringhio sputato dalle viscere.
Sto tremando, ma non ho intenzione di dargliela vinta.
«Professore, io sono maggiorenne ed è stato un contatto consensuale...»
«Ti prego, ti prego, ti prego» si porta la mano alla fronte con un gesto teatrale, «smettila di fare menzione di quello che è successo, perché se io avessi saputo che tu eri una mia alunna e non una ragazza qualsiasi, avrei evitato nella maniera più assoluta di approfittarmi. Non ero lucido, e più di ogni altra cosa, tu non eri riconoscibile.»
«Continui a tirare fuori questa storia dell'essere alunna e insegnante!» urlo anch'io a quel punto, fuori di me. «Ma chi se ne frega se c'è una cattedra a separarci, l'hai detto tu che nel giro di sei mesi io sarò fuori da questo cazzo di liceo, e se vorrai potremmo fingere di esserci incontrati in un bar, per strada...»
«A me non piacciono le ragazzine!»
Di nuovo quella voce ferina, da bestia. Mi ritraggo, tremando più forte di prima e sempre più spaventata dalla piega che ha preso la situazione, e taccio, sperando che il mio comportamento dimesso lo calmi.
Come mi auguravo, sta tornando di un colorito normale. Mantengo il silenzio, senza negarmi il piacere di guardare il suo viso rilassarsi pian piano.
«Io ti chiedo scusa per quello che è appena successo» riprende ad occhi chiusi, annaspando un poco, affamato d'aria, «ma ti chiedo per l'ultima volta, con tutta la lucidità che mi è possibile, di ascoltare quello che ho da dire in silenzio e poi, per favore, uscire da qui.»
«La ascolto» lo invito, col tono più dimesso e gentile di cui sia capace in questo momento. Lui apre gli occhi, li pianta nei miei e prende fiato.
«Sono molto lusingato e non ho intenzione di dirti che il tuo sentimento è da sottovalutare, o che non si tratti di una forma di amore, perché sono certo che tu sia abbastanza grande da sapere identificare le emozioni. Mi dispiace non ricambiarti, ma per me è... Contro natura. Non è una questione di cattedra, è che io le ragazzine non le guardo neanche per strada. Se mi piacessero le ragazzine io non potrei certo fare l'insegnante di liceo, te ne rendi conto?»
«E perché...» esordisco, ma lui alza una mano per zittirmi.
«E voglio menzionare per l'ultima volta quello che è successo la notte di Halloween: non ti ho riconosciuta, non ho intuito i tuoi connotati a causa del trucco e delle luci e, anche se non è bello da dire, ero ubriaco. Non ho ricambiato perché eri tu, avrebbe potuto anche essere un camionista con la faccia liscia, ho ricambiato perché mi andava di farlo e perché, soprattutto, non avrei mai e poi mai immaginato che i miei alunni potessero bazzicare un posto che di solito è frequentato da persone sopra i trent'anni.»
Non menziona nemmeno il fatto che sia stato un bacio.
"Avrebbe anche potuto essere un camionista con la faccia liscia..."
Non ce la faccio.
Gli scoppio a piangere davanti senza sapere nemmeno io il perché: sono arrabbiata, ferita, delusa, mi vedo tutta la mia vita passata davanti e occasioni sprecate, le urla isteriche di Valerio quando ci siamo lasciati, le ore di lezione spese a scrivere ad Andrea, quelle perse a pensarlo, tutte le volte in cui l'ho sognato. Singhiozzo, mi viene nausea, mi salgono i conati ma per fortuna non do di stomaco, mi si piegano le ginocchia per un'improvvisa stanchezza.
A quel punto, sento Andrea tirarmi su con vigore.
«Vai in bagno, lavati la faccia, riprenditi, vai in camera, mettiti un vestito e stasera sbronzati come se non ci fosse un domani» mi consiglia, calmo. Mi isso, prendo fiato e non oso più alzare lo sguardo verso il mio professore, che ora mi sta porgendo il familiare quaderno con la copertina argento. Trovo il coraggio di guardarlo in viso: sta sorridendo.
«Correggo le tue verifiche e i tuoi temi da un anno, ho riconosciuto la tua grafia subito.»
«Quindi...» sussurro, senza fiato. «Quindi sapevi che sarebbe arrivato questo momento...»
Scrolla le spalle: «Lo immaginavo diverso.»
Mi dà una pacca sulla spalla.
Vorrei odiarlo: sarebbe così facile, desiderare di spaccargli la faccia, dargli risposte acide durante le ore di lezione, spedirgli pacchi pieni di sterco da internet e rigargli il serbatoio della moto quando nessuno mi vede, ma mi ostino ad amarlo, a crollare a ogni suo sorriso e sciogliermi quando parla.
Che schifo i sentimenti.
Prendo il quaderno, i quattro stracci della mia dignità defunta e azzardo un sorriso poco convinto: «Grazie, professore. Mi scusi.»
Apro la porta senza più dargli possibilità di replica e mi incammino nel corridoio a passo svelto.
«Stasera esci, fidati!» mi urla ancora dietro, paterno, mentre sto salendo in ascensore.******
Ahimè, purtroppo la vita di nave mi fa essere discontinua! Ma prometto di impegnarmi al massimo per fare la brava 💓
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Hamartia
Teen Fiction[COMPLETA] Melissa Cammareri ha tutto ciò che un'adolescente possa desiderare: bellezza peculiare, ottimi voti a scuola, una compagnia di amici fidati e un ragazzo innamorato di lei al suo fianco. La sua vita sembra procedere senza difficoltà lungo...