Bonus

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Piombo in casa con la stessa rapidità di un proiettile, accecato dalla rabbia e incapace di formulare un qualsiasi pensiero sensato: ho quasi spaccato la portiera di Po e non sono sicuro di sapere come sia stato possibile arrivare fino a casa senza fare incidenti o danni di qualsiasi natura.

«Bentornato, fratellino» mi accoglie Jacopo con un sorriso divertito «Ti vedo nervoso, è successo qualcosa?»

Trattengo l'istinto di stampargli un pugno in faccia e mi limito a rispondere con una bestemmia, dirigendomi verso la mia stanza a passi ampi e nervosi, che rimbombano lungo il corridoio di casa mia, e l'eco dei suoi mi segue in breve tempo.

«Che è successo?»

Odio quando mantiene quel tono infantile, nonostante sia più prossimo ai trenta che ai vent'anni: mi volto lanciandogli un'occhiata di fuoco, auspicando che si trasformi in un cumulo di cenere, ma la mia speranza viene delusa come al solito. Lui inarca un sopracciglio e porta avanti le mani, come per esortarmi a parlare, e io rispondo iniziando a buttare a terra le cornici che ospitano le mie foto con Melissa.

«Oh, capisco, problemi con la tua biondina» deduce, senza levarsi quei modi da bambino dispettoso. Digrigno i denti, appallottolando con una mano un biglietto d'auguri della mia ex.

«Vaffanculo» soffio, tirando alle spalle la pallina di carta.

«Ho sempre pensato che fosse un po' troia, fratellino.»

Non ci vedo più.

Arpiono l'ultima cornice, la brandisco come un freesbee e la scaglio contro mio fratello, che si abbassa ad evitarla poco prima che si sfracelli contro il muro: appena si rialza, Jacopo mi fissa basito e sconvolto.

«Ma sei scemo?»

«Senti chi parla!» urlo in risposta «Sempre con quel modo spocchioso, sempre a sfottere, sempre a cercare di scherzare su tutto! Hai rotto il cazzo!»

Cala un silenzio teso, rotto dal rumore di qualsiasi cosa che mi ricordi lei che casca a terra. Poi Jacopo riprende a parlare, con tono dimesso.

«Fa male, eh?»

«Malissimo» ammetto, mentre la rabbia cede il passo alla tristezza. Mi siedo un momento sul comodino ormai sgombro, tuffo la testa tra le mani e inizio a torcere i capelli.

«Per il suo professore, poi» continuo «Fosse stato per uno come Nicola, tipo, che è un compagnone, ha quel fascino da popstar ribellina, non lo so, ma per il suo cazzo di professore» proseguo, sconvolto, lasciando saettare le mani ovunque, incapace di stare fermo.

Mio fratello non risponde. Si avvicina in silenzio, scrutandomi come se fossi una bestia da studiare, con una vaga ombra di curiosità dipinta sul viso.

Poi, con un gesto repentino, si abbassa in ginocchio e mi stringe in un abbraccio, spiazzandomi al punto che, quando sposto le braccia per ricambiarlo, mi sento a disagio.

«Ti ricordi di Silvia?» mi domanda appena scioglie la stretta. Sorrido: «E chi se la scorda?»

Bassina, coi capelli rasati e il fisico simile a un violoncello, Silvia era la sola ragazza che fosse riuscita a sobbarcarsi mio fratello per la bellezza di cinque anni, prima di piantarlo in asso una sera di metà ottobre. Gli avevo sempre detto che me lo aspettavo, ma in realtà era stata una doccia fredda per tutti.

«Ti ricordi perché ci siamo lasciati?» incalza. Faccio mente locale.

«Una cosa come che aveva bisogno di tempo, di spazio, cose così.»

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