Capitolo 12 - Solo Dio lo sa-

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Martedi 23.56

Siamo rimasti zitti e abbracciati così per un po', non saprei neanche dire quanto. E non ha smesso di piovere neanche per un attimo. Non è stato lo stesso abbraccio del bar, dove per me questa ragazza si chiamava Sam, era una barista di cui ricordavo giusto il nome, che poi neanche era il suo, ed io ero quasi stufo di tutti questi abbracci. Non è più una fan, una a cui sorrido per un secondo, prima della foto di rito al firmacopie. Sento il calore del suo corpo stretto a me, mi sembra che abbia bisogno di essere protetta. Dalla pioggia, dal mondo, da non so neanche io bene cosa. Che poi magari è la mia testa che mi fa pensare a certe cose, magari non è qui davvero per me, magari vuole solo una prospettiva diversa sulla Rockstar. Stai abbracciando me o il cantante dei Maneskin? I pensieri si incupiscono, si accartocciano ma al tempo stesso non voglio che si allontani, non voglio che smetta di piovere e non voglio che tutto si risolva in una bolla di sapone. Non stasera. Voglio restare ancora qui e stringerti, lasciando scivolare i pensieri giù, con la pioggia, ad annegare nelle pozzanghere di questa Milano fumosa.

Mercoledi 00.14

Il portiere di notte deve registrarla come ospite e le chiede un documento: lei tira fuori una carta di identità stropicciata, la mostra quasi intimidita e io sbircio la fotografia dove ha i capelli rossi sciolti. Sorrido perché in realtà la foto non le rende giustizia ma poi penso alla mia sul patentino del motorino, dove sembro un drogato e penso che dopo gliela farò vedere per farci quattro risate. Nella hall ci siamo solo noi, ovviamente fradici e il portiere che sembra metterci un tempo esagerato per scrivere due dati al pc: dopo averle restituito il documento, le chiede- Mi scusi, signorina, quanto si tratterà nel nostro hotel?- Beatrice arrossisce violentemente: non si aspettava una domanda del genere e le si legge in faccia che non sa assolutamente cosa rispondere e che le implicazioni di quella domanda vanno oltre quello cui poteva essere mentalmente preparata. Io, col migliore dei miei sorrisi ironici, rispondo -Solo Dio lo sa- e prendendola per un braccio la trascino via, verso l'ascensore. Fortunatamente era rimasto al piano terra quindi ci infiliamo dentro e io schiaccio il pulsante del mio piano.

Mercoledi 00.26

Apro la porta della camera e facendo una sorta di inchino invito Beatrice ad entrare. Lei mi sorride ed entra: ha l'espressione di una bambina felice, impossibile non leggergliela in faccia. Quando chiudo la porta vedo la nostra immagine riflessa nel grosso specchio dell'ingresso: siamo bagnati come due pulcini. Vado in bagno a prendere un paio di asciugamani e li porto in camera: Beatrice prende quello che le sto porgendo e si strofina i capelli bagnati. Così facendo li arruffa tutti e, quando toglie l'asciugamano, ha una specie di strana cresta rossa. Senza dirci nulla cominciamo a ridere e ci lasciamo cadere sul letto, continuando a ridere come matti. -Così bagniamo anche il lenzuolo- dice lei, tornando improvvisamente seria. Io penso che questa ragazza è qui, in camera con me, sul mio letto e pensa a non bagnare il lenzuolo: allungo una mano verso il suo viso e le faccio una carezza. Mi ha fatto tenerezza la sua preoccupazione. Credo non si aspettasse la mia carezza perché sento che ha un brivido, che passa dalla sua pelle alla mia. Avvicino le dita alle sue labbra e lei le socchiude, dandomi dei piccoli baci. Ho pensato più di una volta a quelle labbra e adesso che sono così vicine, ho voglia di guardarle bene, di imprimermele nella memoria. Così mi giro verso di lei, tirandomi un po' su mentre Beatrice resta sdraiata e mi guarda dritto negli occhi. Passo le dita sulla sua bocca, seguendo il contorno delle labbra e penso che sì, sono come me le ricordavo. -Che belle labbra che hai Beatrice- le sussurro. -Solo i miei mi chiamano Beatrice- risponde e le scappa un sorriso. -Se ti chiamo Bea?- Rimane zitta per qualche secondo e poi risponde -Tu, puoi chiamarmi come vuoi-.

Non so cosa c'era in quel tu che hai pronunciato, in come lo hai sottolineato, come se esistessi davvero solo io e come se mi stessi affidando qualcosa di profondo di te stessa, non solo il tuo nome.

Mi avvicino alle sue labbra e le sfioro con le mie. Un bacio leggero, delicato. -Non voglio farti del male- le dico mentre lei ha chiuso gli occhi e sta aspettando quel bacio che non arriva. Apre di nuovo gli occhi e quel verde mi abbaglia, le sue sfumature dorate, le tracce di grigio. Ha degli occhi che sprizzano scintille e io non so se sono pronto per loro. Beatrice continua a guardarmi ma non dice nulla: io non so se ha capito cosa sto cercando di dirle e non so neanche se io stesso so cosa voglio dire. Le tiro indietro una ciocca di capelli rossi che le ricade sulla fronte. Non posso resistere Bea, non posso. Ma non voglio che vada così, non voglio che finisca tutto stanotte. Non voglio dimenticarti. Voglio godermi questa sensazione, come se potessi tenere tra le dita l'assoluto: questa emozione che provo ora, con te, qui. Col tuo respiro a portata del mio, con la tua bocca che si protende verso la mia, col profumo della tua pelle bagnata di pioggia. Voglio ricordarmi di te, di come sorridi, di come mi stringi forte quando mi abbracci, di come mi perdo nei tuoi occhi mutevoli.


Rockstar (This is not music /This is life/This is what i live for)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora