Capitolo 27 -Un treno per dove?-

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Domenica 15.42

La signora del ristorante ci ha portato qualunque cosa di commestibile e abbiamo fatto onore sia alla cucina che ai fiaschetti di vino fresco che ha continuato a farci portare. C'è ancora gente nel locale, una comitiva di stranieri che schiamazza ad una tavolata di distanza da noi, qualche coppietta che flirta guardando il mare e noi che facciamo un certo casino. Io esco a fumarmi l'ultima sigaretta prima del caffè e mi appoggio alla balaustra che dà sulla spiaggia: guardo il mare, il venticello che lo increspa... Mi piace il mare, da sempre. Coi miei ci andavamo spesso, incastrandolo tra gli impegni di lavoro che avevano: mi ricordo i ricci di mia mamma che svolazzavano, l'ombrellone a righe che non riusciva a piantare quando non c'era mio padre, le corse con gli amici e poi da adolescente i bagni alle tre di notte, i falò, le canne che ci facevamo raccontandoci i casini con le ragazze e facendo i coglioni con le turiste. Chiudo gli occhi per un attimo e respiro l'aria che sa prepotentemente di mare ma poi sento un profumo diverso, una nota dolce, ma non troppo. Non apro gli occhi, ma sento Bea vicino a me, anche se non dice nulla. Faccio un tiro dalla sigaretta e poi espiro il fumo, cercando di formare un cuore. Sento che ride, riconosco quel modo di ridere sicuro e ingenuo al tempo stesso. Sento che mi stringe e, attraverso la giacca, sento il suo calore. Riapro gli occhi e mi appoggio al suo corpo mentre cerco i suoi occhi e cerco di scorgere le onde anche li. Bea non parla, guarda davanti a sé, l'orizzonte e io finisco la sigaretta riempiendomi gli occhi di blu e di verde. All'improvviso penso che Bea deve partire, che ha il treno tra poco più di un'ora... Lei sembra incurante del tempo, i ricci rossi animati dal tocco del vento, le mia mani che le accarezzano le spalle e poi le braccia. -Sei bella Bea- le dico serio. Sembra assorta, sembra quasi che non abbia sentito: poi le si increspano le labbra, sorride e mi guarda. -Sei bello anche tu, Damiano- risponde e si avvicina per baciarmi. Le nostre lingue prima si sfiorano e poi si cercano fremendo, col desiderio di ritrovarsi. Restiamo quasi senza fiato e quando ci separiamo, ci guardiamo e restiamo così, occhi negli occhi, silenziosi e consapevoli che il tempo sta per scadere.

Domenica 16.17

Bea è riuscita a spostare la prenotazione del treno: lei e Federica ne prenderanno uno più tardi. Dopo il caffè e l'ammazzacaffè, siamo tutti allegri e soddisfatti: usciamo dal ristorante dopo le foto di rito con la signora e il suo staff. Facciamo una passeggiata lungo il pontile e poi ci sediamo sul muretto a ridere, scherzare e fare selfie con le linguacce. Anna si coccola Thomas mentre io, Vic ,Bea e Federica guardiamo video idioti su youtube. A Vic suona il cellulare e si allontana per rispondere: la cosa mi fa drizzare le antenne perché Vic parla sempre con tutti e coinvolge sempre tutti nelle sue telefonate. Anche Anna la vede allontanarsi verso la piazza e cerca il mio sguardo: ci siamo capiti a colpo d'occhio. Alzo le spalle, pensando che dovremo indagare appena possibile. Bea è seduta di fianco a me ma è voltata verso Federica: così io posso avvicinarmi a lei, affondare la faccia nei suoi capelli rossi e respirare il mare attraverso di lei. Sento che si irrigidisce per un attimo, probabilmente era presa dalla conversazione e non si aspettava il mio gesto. Le bacio il collo spostandole i capelli, cercando di farlo senza malizia, come un gesto solamente tenero. Però sento di nuovo un brivido che la attraversa e così insisto, accarezzandole il collo con la mano e poi con la lingua e nascondendomi dietro i suoi ricci. Penso che sono su una china pericolosa ma scaccio questo pensiero in fretta: provocare è il mio mestiere! Federica scende dal muretto e ci dice ridendo -Raga, ma fate pure eh! io mi giro dall'altra parte- e si gira verso la piazza dove Vic sta ancora al telefono. Scendo dal muretto anche io e mi metto di fronte a Bea che invece è rimasta ancora seduta. La guardo negli occhi e una miriade di pensieri diversi mi attraversano la mente. Una parte di me vorrebbe che rimanessi qui Bea: che stanotte fossi tra le mie lenzuola e la mia bocca, che domani aprissi gli occhi e vedessi ancora me. Dall'altra so che ho troppo da fare, troppo da vedere, troppo da scoprire ancora. Ho appena cominciato a prendermi il mondo e non posso fermarmi, neanche per far salire te. La mia folle corsa è cominciata e non si può arrestare: non può neanche perdere il ritmo che ha, non adesso. C'è in gioco troppo, c'è in gioco tutto. La lucidità, la concentrazione, le energie incanalate solo nella musica, nella vita che sto facendo, che stiamo facendo, io e i ragazzi. I tuoi occhi sembrano cogliere qualcosa dal mio silenzio e dalla mia espressione, insolitamente seria. Faccio il coglione, mi piace farlo, lo faccio da sempre e funziona sempre. Ma adesso mi sento come in bilico, come se stessi camminando sull'acqua di quel mare che scorre proprio qui, sotto i nostri piedi, ancorati al cemento. Devo volare, Bea. Devo poter spiegare ancora le mie ali nere e puntare dritto al cielo, sopra le nuvole grigie, dove c'è solo il sole. Dove il Sole forse me le scioglierà, quelle stesse ali, novello Icaro, ma almeno potrò franare al suolo con la consapevolezza di aver vissuto tutto, davvero. Di aver mangiato la polpa più succosa che la vita mi sta offrendo, di aver succhiato via tutto, di aver morso, di essermi nutrito della sua infinita potenzialità. Tu sei qui, bella, con la tua pelle chiara e le lentiggini. I tuoi occhi si velano, anche se cerchi di non farmelo notare perché hai capito tutto, hai capito cosa sto pensando, hai capito che non puoi seguirmi. Questo è il mio volo. Non ho spazio anche per te, non adesso. Forse poi, forse un giorno. Torneremo a scorrere, come l'acqua di questo mare bello ma indifferente alle nostri gioie e ai nostri dolori. Anche tu hai una vita da vivere, un sogno da realizzare. Anche tu vuoi che la tua vita prenda la direzione giusta, sei disposta a pagare col sudore e con le lacrime poter essere la stella che vuoi essere. Abbiamo troppo da prenderci ancora, io dalla mia vita e tu dalla tua. Non so come dirtelo, non so se dirtelo. Guardami ancora, anche se hai gli occhi che sono pieni di lacrime. Io non sono più capace di piangere. Ma una parte di me lo sta facendo, una parte di me sente e prova il tuo stesso dolore.

Domenica 18.58

Bea è partita: prima di salire sul treno per Milano ci siamo baciati. Era un bacio triste, che conteneva tutte le parole che non abbiamo avuto bisogno di dirci. Le ho stretto le mani per un attimo e, quando lei ha lasciato scivolare via le sue, mi ha detto, in un sussurro -Ciao, Damiano-. Poi si è girata ed ha salito i gradini, salendo sul treno e andando a cercare Federica. Mi sono girato, stretto nella giacca e accesso una sigaretta mentre mi allontanavo dal binario. La stazione è piena di persone ma io non vedo e non sento nulla, è come se avessi i sensi spenti, come se fossi chiuso in un bozzolo. Quando esco sulla piazza, cercando di scansare la gente che corre verso i treni, respiro di nuovo, sento l'aria di Roma, sporca ma anche familiare. Il cielo è screziato ancora dai colori del tramonto, anche se sta diventando scuro velocemente. Mentre prendo a camminare veloce, senza meta, tenendo lo sguardo basso e con la sigaretta tra le dita, lascio che la mente si svuoti dei pensieri: sento che qualcosa si sta smuovendo dentro di me. Più mi allontano dalla stazione e da quel treno che sta portando via Bea, più mi sento libero, più mi sento leggero. Il treno ti riporta alla tua vita, Bea, dovunque essa sia. E io sto tornando alla mia, sto sprimacciando le piume, prima di riaprire le ali. 

Rockstar (This is not music /This is life/This is what i live for)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora