Capitolo 13 -Non è il fumare che mi è mancato-

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Mercoledì 8.43

Sto sognando e, nel mio sogno, sono in una grandissima camera tutta bianca, senza soffitto, piena di porte, tutte chiuse. Qualcuno bussa forte ad una di queste porte, ma io non capisco a quale e mi sale l'angoscia: quale porta devo aprire? Quale è quella giusta? E se non ce ne fosse davvero una giusta? Alzo gli occhi e vedo il cielo, azzurro, sereno, luminoso: mi tranquillizzo, per un momento. Ma poi continuano a bussare e la sensazione di non sapere dove andare, chi o cosa ci sia, dietro quelle porte, mi trascina ancora nell'ansia.

Poi mi sento strattonare e apro gli occhi di colpo: metto a fuoco gli occhi azzurri di Vic e la sua criniera bionda. –Ahooo Bitch, ma l'avevi messa la sveglia?? Ce ne dobbiamo annà! Ma possibile che stai sempre in ritardo, e vedi de moverte. Ci sta Martha che sta annando fuori de testa già de prima mattina- e mi tira giù dal letto con la sua solita poca grazia. Io quasi casco per terra, anche perché sto cercando di capire dove sono e dove è Beatrice, che credevo fosse rimasta qui. Vuoto. Mi accorgo che sono seminudo e Vic mi strizza l'occhio, prendendomi per il culo, come al solito. Mi infilo in bagno e chiudo la porta a chiave prima che lei venga a mettermi sotto la doccia gelata per farmi riprendere! Sento che sta gridando qualcosa ma non sento bene cosa e guardandomi allo specchio ho l'aria di uno che ha passato la notte in bianco. Occhiaie da paura, mi dico avvicinandomi allo specchio il più possibile e controllandomi la faccia. Qua ci vuole un miracolo, il trucco oggi non basta. Mi infilo nella doccia e sto qualche minuto sotto l'acqua calda per riprendermi. E l'acqua che mi scorre addosso mi fa tornare in mente la pioggia di ieri notte. Io e Beatrice, bagnati fradici.

Non c'era nel letto stamattina, quando Vic ha fatto irruzione. Però almeno fino alle quattro di notte c'era perché abbiamo parlato tutta la notte, sottovoce. Mi ha raccontato della scuola di danza che frequenta, di come le piaccia lasciare che il suo corpo esprima le sue emozioni, di come ami la musica, il teatro l'arte. Di come fin da bambina si senta nata per ballare e di come sogni di poter vivere ballando, di come i suoi genitori la supportano, anche se hanno paura che i suoi sogni si scontrino con la realtà, di come è stata dura trasferirsi a Milano dall'Emilia, la sua terra. Di come faccia la barista per mantenersi e della coinquilina stronza con cui condivide le spese, perché Milano è una città cara. Ha un sacco di sogni, Beatrice e ha anche una grande perseveranza. Io le ho raccontato di quando ero il classico ragazzino viziato, di quando avevo i capelli corti e mi mettevo camicie azzurrine. Di come non mi sia mai fregato un cazzo della scuola, se non per poter vedere le ragazzine svenirmi dietro, quando passavo nei corridoi del Montale. Di come mi piace il mare, della mia prima canna, del primo amore, una ragazza più grande di me che mi ha lasciato l'amaro in bocca. E di come la prima volta sono venuto troppo presto per l'ansia. Abbiamo riso, cercando di non farci sentire. Abbiamo parlato di musica, ma non mi ha chiesto di cantarle qualcosa, anche se forse stavolta lo avrei fatto. Ci siamo abbracciati e poi addormentati, senza accorgercene. Ma adesso Beatrice non c'è. Mi avvolgo nell'asciugamano e torno in camera a vestirmi. Oggi mi ci vuole un caffè triplo. Dobbiamo provare ancora e spero che la mia voce sia perfetta, nonostante la pioggia che ho preso ieri. Però non ho fumato neanche una sigaretta per tutta la notte. Ero così assorbito dall'ascoltarti, Beatrice, dal sentirti parlare dei tuoi sogni, che me ne sono dimenticato. Comunque non è il fumare che mi è mancato. Non sei la prima che entra di soppiatto in camera mia di notte. Ma sei la prima che sgattaiola via di sua iniziativa. E sei la prima che ne esce senza avermi scopato.

Mercoledi 9.15

Scendo nella hall e il portiere di notte è stato sostituito da una concierge biondina e provocante, che quando mi vede ammicca. Io le faccio l'occhiolino e sposto il cappello che ho in testa per salutarla, mentre mi dirigo nella sala colazione, dove raggiungo i ragazzi che hanno finito di mangiare. Mentre sto sorseggiando finalmente il mio caffè, la biondina si avvicina al nostro tavolo e mi chiede se posso farle un autografo e mi mette davanti una rivista. Io la guardo un po' sorpreso e vedo una foto di noi Maneskin, molto glamour. Abbiamo fatto questo servizio una ventina di giorni fa e quasi me ne ero dimenticato. Era stato divertente perché gli outfit che ci avevano proposto erano davvero fighi e la foto in copertina è una delle mie preferite, dove siamo sdraiati su un pavimento di piastrelle bianche e nere. Io indosso dei pantaloni di pelle nera con delle frange in fondo e una giacca sempre di pelle, sopra il petto nudo. E  una collana di piume blu, in stile indiani d'America. I ragazzi se ne sono appena andati, sono tornati in camera loro, mentre Vic è rimasta a farmi compagnia mentre faccio colazione. Quando vede la rivista, si entusiasma e commenta –ammazza quanto semo bbboni, amooooo- restando quasi stupita, nel vedere come siamo venuti. Vic è quella sempre più entusiasta: tra l'altro è sempre stata quella attenta ai nostri look, a come ci vestivamo singolarmente ma anche a come risultavamo come immagine di gruppo, anche quando compravamo i vestiti nei negozi da poveri e a porta portese. Prendo il pennarello nero che la biondina tiene in mano e firmo Maneskin sulla copertina, poi gliela restituisco e avvicino le labbra alla mano della ragazza, facendo una sorta di inaspettato baciamano. Lei ha un moto di stupore, si vede che sta per chiedermi qualcos'altro ma poi intravede qualcuno e si allontana frettolosamente, ringraziandomi a mezza voce. Mi torna in mente la collana d'argento che ho comprato l'altro giorno, con le foglie d'argento intrecciate. La adoro. Volevo metterla al concerto però starebbe molto bene ad una rossa con la pelle chiara, una che conosco. Col bagliore dei suoi occhi farebbe scintille. Prendo il cellulare dalla tasca e scrivo a Beatrice: Ho un regalo per te. Ci vediamo stasera?.

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