Capitolo 40 - Al museo-

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Venerdi ore 15.49

Estate. Fa caldo. Ma tanto caldo. It's a sunny day. Ma quanto cazzo è sunny day?? L'asfalto mi si scioglie sotto le scarpe e non ho neanche i tacchi. La città è semideserta, io fumo una sigaretta, giusto per avere meno caldo e cerco di stare in equilibrio sul bordo del marciapiede. La camicia quasi mi si appiccica addosso e mi maledico, perché potevo anche uscire in canottiera. L'iphone nell'altra mano con cui cerco di guardare istagram, ma il sole rende l'operazione quanto mai complicata. Decido di farmi un selfie e pubblicarlo subito, senza neanche guardarlo bene. Forse dovevo restare a Roma: li almeno i sanpietrini non si sciolgono mentre cammini e c'è il mare ad un tiro di sputo. Forse. Se non ci fosse lei. La rossa. Che è tornata da Amsterdam e che sembra sfuggente, come se ci fosse qualcosa che non vuole dirmi. Quando stiamo lontani capita che vada così: non ci si vede, ci si sente poco, ci concentriamo su altro. Da quando i Maneskin sono famosi le cose sono più complicate per tutti: veniamo fermati e riconosciuti ovunque, oltretutto, d'estate, non possiamo neanche cercare di camuffarci. Fa piacere che le persone ci salutino e si emozionino vedendoci ovviamente, però, dopo un po', ingenera anche un po' di scazzo perché ci sono momenti in cui vorresti solo farti un giro a Trastevere con gli amici, come facevi prima, passando inosservato e potendo fare tranquillamente il coglione. Quando hai una certa visibilità si restringe improvvisamente il campo della tua privacy. Ci sta, per carità, e se fosse solo questo il prezzo per arrivare al successo, saremmo disposti a sacrificarci senza problemi! Ho messo gli occhiali mosca style sia per non farmi accecare da questo sole d'agosto che sta squagliando la città, sia perché mi divertono gli occhiali smisurati. Anzi adoro gli occhiali in generale, li trovo sexy. Spesso metto quelli da donna e adoro quelli anni 60, un po' demodè. Sono quasi arrivato al mio albergo e penso che mi serve una doccia fredda, un po' per ripristinare la mia temperatura un po' perché il pensiero di rivedere Bea mi fa effetto. Ormai l'ho capito che mi piace, come ho capito che è una tosta, testarda e determinata almeno quanto me. Anzi forse anche più di me, che ogni tanto devio consapevolmente verso il fancazzismo più spinto. Percorro il cortile dell'hotel e vado verso la porta della mia stanza: il bello di questo albergo è che non devi passare dalla reception, entri ed esci con una tesserina che sta giusta nella tasca dei pantaloni.

Martedi 16.12

L'aria condizionata a palla, appena uscito dalla doccia mi metto un asciugamano addosso e apro la finestra per fumare una sigaretta. La missione del giorno, oltre a sopravvivere all'afa cittadina, è trovarla, senza farle sapere che sono a Milano e che non è un caso. Tra due giorni parto per una mini vacanza e voglio incontrarla prima, voglio dirglielo che mi manca e voglio sentirmi dire che le sono mancato. Il piano è studiare Istagram perché spesso posta qualcosa su dove si trova e cosa sta facendo. Quindi la cerco tra le storie ma nulla. Provo anche su facebook usando un profilo fake ma nulla. Posso andare sotto casa sua ma l'idea che magari non ci sia e di doverla aspettare sotto il sole cocente mi frena un po'. Finisco la sigaretta e mi stendo sul letto a godermi il fresco della camera mentre chiudo gli occhi e lascio che i pensieri e le immagini scorrano nella mia testa. Mentre mi torna in mente un sogno su di lei, l'iphone sul comodino vibra. Lo prendo e controllo: neanche a farlo apposta, Bea ha appena pubblicato una storia. Adesso so dove è. Mi devo muovere.

Martedi 16.40

La metro ha poca aria condizionata ma per fortuna non è molto piena. Scendo alla fermata del Duomo e risalgo in superfice: la piazza è piuttosto affollata e si vede una fila di turisti che aspettano pazienti sotto il sole per visitarlo. Adesso devo trovarla e sperare che non si sia allontanata troppo. Entro alla libreria sotto i portici e mi scappa un sorriso: l'abbiamo fatto qui il primo firmacopie. Un'emozione forte, fortissima che ancora mi fa salire un brivido lungo la schiena. Appena usciti da X factor, il mondo fuori che finalmente sapeva della nostra esistenza, la gente che cominciava a riconoscerci. E poi affacciarci al balcone della libreria e vedere piazza Duomo sotto di noi, la gente in coda per conoscerci, per fare una foto con noi. Noi sopra che facevamo le star ma in realtà eravamo più emozionati di tutte quelli sotto che ci stavano aspettando. Ed era ancora inverno, mi ricordo che avevo addosso la pelliccia. Adesso anche solo pensarci mi fa sudare! Quante emozioni ci sono in questo luogo e anche poco oltre, al museo del Novecento, dove sto andando. In realtà lo conosco già perché abbiamo registrato alcuni pezzi per una puntata di X factor: Manuel aveva scelto questa location perché è un amante dell'arte e, in effetti, quando siamo entrati è stato come varcare la soglia di un mondo diverso. Ammetto di non essere particolarmente ferrato sull'arte però quando abbiamo percorso i vari corridoi del museo la mia attenzione è stata rapita da alcuni quadri e alcune sculture. Ma la sala dove abbiamo registrato per la puntata è la mia preferita ed è anche quella dove spero di riuscire a trovare Bea. Si è taggata nel museo, magari sta facendo ancora un giro o magari è già andata via, ma io vado in biglietteria e poi entro nel museo dirigendomi subito all'ultimo piano.

Mentre passo veloce nelle sale precedenti, guardo tra i pochi turisti che visitano il museo se trovo Bea. Nessuna traccia. Così mi dirigo veloce verso l'ultimo piano e arrivo alla sala Fontana: soffitto altissimo, enormi vetrate che affacciano su Piazza Duomo, uno strepitoso arabesco di luce sul soffitto, che trasmette un aspetto davvero futuristico alla sala. Mentre sto per attraversarla vengo catturato da una chioma rossa che brilla al sole. Bea è girata verso la vista sulla piazza e mi sembra che stia facendo delle foto. Sorrido, quasi senza accorgermene. Ha una gonna lunga con dei fiori, una camicetta bianca che sembra più trasparente di quanto vorrei e, ai piedi, delle all star bianche. I ricci rossi sciolti sembrano giocare con la luce: è ancora più bella di come me la ricordavo. Resto ancora seminascosto dalla scala, cercando di capire se è sola. Sembra di si, perché non vedo altre persone vicine a lei. C'è un gruppo di turisti giapponesi poco lontano, una famiglia con due bambini e un paio di ragazze dall'altra parte della sala.

Mi avvicino, approfittando del fatto che è ancora girata. Senza darle il tempo di accorgersi di me, le sono vicino. La abbraccio da dietro e la stringo forte tra le braccia.

Rockstar (This is not music /This is life/This is what i live for)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora