Capitolo 24 -A spasso per Roma-

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Sabato 18.50

Stiamo girando per Roma ininterrottamente da quando abbiamo lasciato la stanza, uscendo di soppiatto perché Bea avrebbe dovuto dormire con un'amica e la proprietaria del bed and breakfast non deve sapere di me. Da quando questa ragazza è entrata nella mia vita, le fughe e le uscite di soppiatto sono diventate la normalità. Comincia a fare buio e siamo seduti sulla balaustra in Largo di Torre Argentina a guardare i gatti: io adoro i gatti. I movimenti sinuosi dei felini, la loro innata indipendenza, quel coniugare menefreghismo e fusa me li fa riconoscere come esseri affini. Si accendono le luci tra le rovine della piazza: è un posto speciale, come ce ne sono mille in questa città, a cui mi sento legato nel profondo ma che trovo anche troppo piccola, per me, per la voglia di mondo che ho dentro. Bea mi sta raccontando dei suoi genitori, di suo papà che è un musicista e mi fa vedere un video della band in cui suonava da giovane. Poi mi fa vedere una foto della sua famiglia, che hanno fatto un giorno in cui loro erano andati a trovarla a Milano: sono tutti insieme, fanno la linguaccia e sembrano proprio simpatici. Del resto Bea avrà preso da qualcuno. E' molto meno timida di quanto non mi fosse sembrata all'inizio, anzi sembra un vulcano: di idee, di cose da dire e di sogni da costruire. Ha voglia di condividere e a me piace questo entusiasmo che mette nelle cose. Si intravede anche il suo lato fragile e quando la fisso per un po', allora si azzittisce e arrossisce di nuovo, come se si vergognasse di non so bene cosa. Ha in testa un cappello che a stento trattiene i suoi capelli, si stringe nel cappottino per una folata di vento e a me viene una voglia irrefrenabile di abbracciarla. Lo faccio e, mentre lei fa finta di volermi allontanare, io la trattengo tra le braccia e poi cerco un altro bacio. Ce ne siamo dati parecchi, oggi, un po' dappertutto. Camminando, stando seduti su qualche muretto o scalinata, fermandoci all'improvviso in mezzo alla strada. Abbiamo fatto il giro del Foro e del Colosseo: Bea è una secchiona, glielo si legge in faccia e voleva andarci assolutamente. Abbiamo fatto la foto ricordo con un tizio pelato e sovrappeso, vestito da centurione romano, ridendo come due cretini. C'è una panetteria ebraica, non lontano da qui, dove fanno una pizza bianca eccezionale e voglio fargliela provare. La prendo la mano e mi metto a correre e così anche Bea inizia a correre, per seguirmi. Poi mi ricordo che è sabato e che sarà chiusa. Mentre penso a dove potremmo andare, sento il cellulare che mi vibra nella tasca e mi fermo per tirarlo fuori: è Vic. E' da ieri sera che non ci sentiamo e avrà capito che c'è qualcosa sotto: non le sfugge mai nulla! Rispondo -Aaaaaa fregna!-

Mi sono messo d'accordo con Vic che ci vediamo domani: le ho fatto capire che sono in compagnia anche se non mi sono dilungato nelle spiegazioni. Di sicuro troverò duemila messaggi su whatsapp in cui vuole sapere con chi sono e in cui mi insulta per non averle raccontato ancora nulla. Non credo abbia capito di Bea, anche se mai sottovalutare la Queen: ha l'intuito femminile ipersviluppato.

Sabato 22.14

Ho portato Bea a cena a Trastevere, in una piccola osteria romana che ha una salettina ricavata in una vecchia cantina, con le pareti di mattoni. Il proprietario, Ivo, è un amico di infanzia di mio padre e, quando l'ho chiamato per chiedergli se aveva un tavolo, era così felice di sentirmi che mi ha trovato un posto, anche se di sabato sera e all'ultimo momento. Così abbiamo cenato, lasciando scegliere a lui cosa portarci: ovviamente non siamo riusciti a finire tutto. Tovaglia a scacchi bianchi e rossi, mozzicone di candela, piatti di terracotta: sembra una scena di Lilly e il vagabondo. Quando lo dico a Bea, che sta mangiando una forchettata di carbonara, lei si blocca subito e dal lampo che le attraversa gli occhi capisco che cosa vuole fare: già rido. Cerca di passarmi uno spaghetto e io mi avvicino con la bocca per prenderlo. Ovviamente sporchiamo la tovaglia e mentre risucchiamo lo spaghetto, ognuno dal proprio lato, ci sono dei turisti, seduti ad un tavolo non lontano, che ridono e ci battono le mani. -Dacci oggi il nostro show quotidiano- dico ad alta voce verso il nostro pubblico e sorrido. Poi bacio Bea che ha un buon sapore di carbonara.

Sabato 22.59

Usciamo da una porticina sul retro perché qualcuno ci ha avvistati e c'è un gruppetto di gente che aspetta davanti all'entrata principale, che affaccia su una piazzetta. Il vicolo è male illuminato, puzza un po' di fritto ma perlomeno siamo solo io e lei e un paio di gatti che sono appostati vicino ad un bidone della spazzatura. L'aria è fresca e piacevole, mi accendo una sigaretta e faccio un sospiro. Non so, mi è uscito così. Bea si gira a guardarmi e finisce per inciampare in un sanpietrino, scivolando per terra. Mollo la sigaretta e corro da lei, per darle una mano ad alzarsi: Bea però comincia a ridere come una pazza e, invece di prendere la mia mano, mi tira, trascinandomi giù con lei. Non me lo aspettavo e così finisco anche io per terra e guardandola ridere non posso resisterle. Dopo qualche secondo, torniamo seri e ci alziamo. Mi accendo un'altra sigaretta e la tengo per mano per prevenire altri incidenti. Passeggiamo fino al Tevere e ci sediamo su una panchina a chiacchierare. Le racconto di alcuni dei miei viaggi e lei mi ascolta con gli occhi spalancati, come se si nutrisse di quello che le dico. Ogni tanto però faccio qualche battuta cretina, solo per sentirla ridere e vedere le sue labbra che si schiudono. Quando parla lei e mi racconta della sua scuola elementare, del primo amore, platonico, con un compagno che adesso fa il modello, mi rendo conto che mi dà fastidio sentirla parlare di un altro maschio. Poi mi rimprovero mentalmente, pensando che sono un cretino ma, intanto, per distrarla, la tiro verso di me e comincio a sussurrarle nell'orecchio quanto è bella e quanto ho ancora voglia di lei. Le dico che mi piace come si muove, come le si agitano i capelli quando si infervora, come sento la vicinanza del suo corpo anche se non la sto neanche sfiorando e dove la vorrei toccare, proprio adesso. Mentre involontariamente arrossisce, le accarezzo una guancia, sfiorandole le lentiggini.


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