9- Wishes's Beach

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"Così sarebbe questo il posto che dovevi assolutamente farmi vedere?" chiese Keith, slacciandosi il casco e scendendo dalla moto.

Lance non rispose, non sapeva neanche perché era stato così insistente.

Aveva come l'impressione che lui e Keith si conoscessero da sempre, che loro fossero semplicemente... uniti. Magari in un'altra vita, o in un altro universo ben lontano da quello. Iniziava a credere che ci fosse una ragione se era andato a sbattere contro Kogane, quel fatidico giorno nei corridoi; il giorno in cui erano iniziati i casini.

"Neanche Hunk sa di questo posto" rispose Lance.
"Hunk sarebbe il tuo amico grasso, no?" chiese Keith incerto, con una faccia così insicura e tenera da far sorridere l'ispanico.
"Proprio lui. L'amico grasso" ripeté tra un ridacchio e un altro lui.
"Ma allora, perché lo fai vedere proprio a me? È lui il tuo migliore amico, non io. Non capisco"

Già, Keith non capiva mai.

Non che fosse stupido, era solo che tutte quelle cose che riguardavano i sentimenti delle persone gli parevano così strane. Come se lui fosse solo un alieno e quello solo un pianeta in cui si era schiantato per sbaglio, senza via di scampo. Quella non era casa sua. In un modo o nell'altro, Lance lo aveva capito sin da subito.

"Non lo so. Esiste una risposta?" fece il cubano guardando il mare.

Il cielo non faceva altro se non tingersi ancora di viola e di blu, iniziando a mostrare prematuramente le sue belle stelle.

"Allora starò zitto" rispose Keith, seguendo lo sguardo del cubano.

Il rifugio segreto di Lance era un lido chiamato Wishes's Beach.

Non c'era nessuno, ovviamente, ed il moro non era neanche sicuro che la spiaggia fosse aperta (e che quindi il loro scavalcare il recinto che separava il parcheggio dalla sabbia soffice era proprio quello che sembrava: una cosa illegale). Il mare era calmo, quella sera, e le onde si riversavano placidamente sul bagno-asciuga. Il vento muoveva un po' la sabbia, facendone delle dune che ricordavano tanto quelle del deserto del Sahara, ma molto più piccole ed innocenti.

Lance portò Keith fino ad un canestro che era stato messo non troppo lontano dalla zona bar, ora chiusa a chiave da un lucchetto arrugginito. Prese un pallone che teneva ben nascosto dentro una delle canoe da affittare d'estate ed iniziò a fare un paio di palleggi veloci.

Kogane lo guardò impassibile.

"Oh, andiamo! Io mi alleno, tu disegni. Credevi ti avessi portato qui per farci le treccine?" sbuffò Lance.

Il moro non perse tempo, e dallo zaino che si portava sempre dietro ne estrasse un quaderno spesso e delle matite nere; nel frattempo il castano aveva già fatto il primo canestro di una lunga serie.

"Kogane, Kogane, Kogane. Ma da dove vieni?" chiese Lance, senza smettere di fare degli scatti con degli avversari immaginari.

"Dal Texas. Ma non credo sia quello che vorresti sentirti dire. Diciamo che è un cognome Coreano" disse Keith.

"Doveva essere bello, il Texas. Eri sicuramente un eccellente cowboy"

"Non avevamo una fattoria, ma due cavalli, sì. Scintilla e Cometa, credo si chiamassero così" ricordò.

"Non ti manca neanche un po'?" continuò Lance, pensando a quella sua Cuba che non ricordava neanche più. A lui mancava.

"Mi prendi in giro? Era una landa desolata e vuota, senza tracce di vita. Da dove vivevo io, per arrivare nel paese più vicino si dovevano passare le ore sotto il sole cocente ed era un miracolo se non svenivi prima. Per un bambino, non è mica il massimo" sbuffò il moro, premendo la matita più forte sul foglio.

"Ed i tuoi genitori? A loro non manca, il Texas?"


Lance fece canestro per l'ennesima volta, e mentre il pallone rimbalzava via, il ragazzo notò qualcosa di strano.

Keith aveva smesso di disegnare e stringeva la matita così forte da fargli tremare le mani e le spalle.


Nel suo viso nascosto in parte dai capelli si vedevano tante emozioni: rabbia, sdegno, tristezza, paura, risentimento, dubbio. Erano troppe e dire che fino a poco prima Lance conosceva solo il Keith-impassibile ed il Keith-sarcastico. Ma questo...

Poi, come tutto era iniziato, tutto finì, e la faccia pallida del moro tornò la solita lastra di marmo inespressiva.

"Sono sicuro che a loro non manca per niente" disse seccamente, per poi tornare a disegnare.

"A Voltron Story"Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora