37- La Missione

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"Allora" disse Pidge, nascondendosi dietro l'angolino di mattoni, che era una posizione strategica per vedere lo spacciatore, quando sarebbe arrivato.

A Keith sembrava così naturale, come se la ragazza lo avesse fatto mille volte.

"Che facciamo nel frattempo?"

"Suppongo che dovremmo parlare" rispose lui, alzando le spalle.

Lei annuì silenziosa. "È da un po' che non lo facciamo. Tipo da quella faccenda di Matt. Non è che non mi fido di te, anzi; sei il mio migliore amico, non potrei mai mentirti! Solo, non sapevo bene che dire... Era una storia strana e non volevo metterti in pericolo... ricordi, non sapevamo ancora nulla di Galra ed Imperi e Ribelli..." iniziò a dire lei gesticolando, cosa che a quanto pare era simbolo degli scleri degli Holt.

Keith la fermò immediatamente. "Guarda che non ti devi scusare. Non è stata colpa tua, ma delle circostanze"

Il moro si ricordava, di quando alla festa di Lotor era arrivato il messaggio inaspettato di Shiro. E poi con Lance ed Hunk che parlavano di Pidge che era Matt, non il Matt che avevano conosciuto in seguito, ma un Matt diverso, solo una falsa identità. Si era sentito confuso sul momento; poi aveva iniziato a capire come giravano le cose e non ci aveva più pensato. Erano avvenuti troppi eventi più importanti ed ingarbugliati.

"Piuttosto..." gingillò lei.

"Lo so cosa vuoi fare. Dillo. Lo so che lo sai: Lance ha una bocca troppo larga e tu una mente troppo geniale"

"Come va tra di voi? Dal tuo punto di vista, dico; quello di Lance lo so a memoria" disse sorridendo.

Keith sorrise a sua volta. Sì, se lo immaginava bene il suo Lance che parlava e straparlava di loro.

"Non lo so" disse.

Pidge rimase basita. "Che significa che non lo sai? Non era quello che volevi?"

Keith si appoggiò al muro e sospirò. "Mi ha detto per la prima volta ti amo"

"E tu?"

"Ho fatto finta di non sentire"

Pidge si avvicinò quasi a toccargli il naso, gli ispezionò a lungo gli occhi. "Non mi sembri pazzo, ma non capisco proprio: lui ti ama, tu lo ami. Cosa ti fa dire non lo so?"

"Un pensiero. Brutte belve, i pensieri"

"E perché?"

"Perché sanno quando siamo più fragili e.. ah, non lo so"

Pidge lo guardò a lungo. "Cosa dice il pensiero del non lo so?"

Keith rise con rammarico.

Quel pensiero sapeva parlare bene, tant'era che le occhiaie lo perseguitavano come cani neri e affamati, di notte. Era quello il problema principale: la notte.

Durante la notte accadevano troppe cose per poter dormire veramente e quel pensiero ne era perfettamente consapevole. Significava essere assaliti da altri pensieri, rimasti digiuni per tutte le ore di luce, che fremevano sotto la pelle e mordevano. Andavano a caccia di idee, di emozioni, di ricordi; loro sapevano come sbranali e storcerli per sempre.

Di notte, la testa era una tempesta di pensieri. Nelle ore di buio trovano sentieri nascosti per riemergere e sulla via assalivano il sonno, cervo bianco azzoppato da funeste fiere nere.

Ed erano in pochi a sapere cosa si provasse.

Le nottate passate a pancia in su a fissare il nulla sperando che rimanesse tale, le mani sotto il cuscino, i capelli che vanno da tutte le parti, i pensieri che li imitano. In pochi sanno cosa significa cercare di cancellare tutto dalla propria testa per incasinarla ancora di più, addormentarsi dopo ore di agonia, per poi svegliarsi come se non si avesse mai chiuso occhio, una, due, tre volte. Sembrava durare all'infinito.

"Dice che è giunto il momento. Guarda" sussurrò Keith, mettendosi in agguato come una pantera prima di  balzare sulla preda.

Qualcosa nell'aria si era mosso.

La figura si avvicinava furtiva al vicolo, tenendo le mani nelle tasche di quella felpa che era decisamente troppo grande. Le gambe erano lunghe e flessuose, erano l'unica cosa di lui che si riconosceva. Era un lui: quell'andatura era dai caratteri maschili.

"Ho paura" mimò con le labbra Pidge, stringendo il suo teaser come fosse un fucile fa caccia pesantissimo. Era l'unico tipo di arma che le avevano dato.

"Non gli lascerò farti male" mimò di rimando il moro; lei si limitò ad annuire, non capendo bene.
Fu accanto a loro, proprio a pochi passi. Si fermò tutto.


Pidge non l'aveva mai vista, la pantera che si trovava in Keith.

Non era una metafora, in lui uno spirito animalesco faceva capolino in situazioni di pericolo. Si acquattava in silenzio, puntando con gli occhi il bersaglio. Se avesse avuto una coda, avrebbe avuto dei fremiti regolari; se avesse potuto comunicare con le pantere, avrebbe gorgogliato dal fondo della gola con costanza, facendo delle flebili fusa.

E poi saltava all'attacco.

Era preciso, sapeva cosa voleva e come ottenerla: aveva dalla sua l'effetto sorpresa, piombando alle spalle della vittima; le faceva perdere l'equilibrio, la stringeva con le gambe e la teneva inchiodata con il coltello.

Ma la sua preda non era debole. Contrastò con violenza l'attacco, scaraventando Keith verso i muri di mattoni angusti.

Pidge voleva aiutare, ma le sue mani tremavano manco fosse stata per giorni su una nave in balia del vento.

Lo spacciatore cercava di scappare, ma ogni passo era una fatica, dato che il moro gli ripiombava con ostinazione addosso.

Ad un certo punto, finì per ferirlo: un taglio dall'aspetto torbido iniziò a far sgorgare fittoni di sangue dalla spalla sinistra fino alla spalla destra.

Fu questo a sfiancarlo.

Cadde a terra come un sacco, mentre Keith lo tirava per le caviglie a sé. Cercò lo stesso di liberarsi, ma quel graffio doveva fare male.

"Credo che avrai un po' di cose da dirci, non credi, Galra?" disse lui, invitando Pidge ad uscire dal suo nascondiglio.

La ragazza prese il telefono in mano e scrisse un messaggio ai Ribelli, che stavano arrivando.

"Lo avete preso?" chiese eccitato Lance, alla quale aveva inviato un altro SMS. Hunk era con lui.

"Avevano detto di non ferirlo" rispose il ragazzone con dispiacere, notando il sangue.

Keith sbuffò.

"Solleviamo il cappuccio?" propose Pidge.

Il prigioniero iniziò ad agitarsi, non pareva felice. Lo tirarono su, la schiena gli si contorse.

Keith lo teneva stretto per i polsi, Lance sollevava con cautela il cappuccio della felpa.

"Lotor?!"

"A Voltron Story"Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora