12- L'Invito a Cena

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Pidge stava seduta su una panchina fuori lo spogliatoio maschile, sola.

Non stava aspettando nessuno, a dire il vero, era solo che quello era l'unico posto in cui c'era segnale in tutta la Garrison.

I ragazzi le passavano davanti come se niente fosse: se non aguzzavano la vista non capivano neanche se fosse un maschio o una femmina, quindi si limitavano ad entrare ed uscire dallo spogliatoio, ignorandola.

"Che stai facendo?"

Pidge quasi fece un balzo dalla panca, rischiando di far cadere il suo computer a terra. "Dio, stavo per avere un infarto, brutto stron- Oh, sei tu"

Kogane era davanti a lei, la sua faccia marmorea a pochi centimetri dalla sua, nessun ombra di imbarazzo. "Sono io. Se fossi stato un altro mi avresti dato dello stronzo? Sembrava lo stessi per fare" disse, sedendosi accanto a lei e stiracchiando le gambe lunghe.

"No, è che... mi sono spaventata, tutto qua" rispose Pidge, chiudendo il portatile.

"Se vuoi scappare non è un problema. Lo fanno tutti"

Pidge si aggiustò gli occhiali. "E cosa ti fa pensare che io sia come tutti?" chiese.

Kogane sorrise un pochino, mentre guardava il vuoto. "Non l'ho pensato. Era solo per vedere la tua reazione" ridacchiò.

"C'è un motivo particolare per la quale sei qui?" chiese la ragazza lentigginosa, guardando a sua volta il vuoto. Forse oltre quel niente c'era qualcosa che valeva la pensa di osservare.

"Oltre al fatto che ho appena finito un'ora di Educazione Fisica e sono andato a cambiarmi? Non credo" disse Kogane.

"Non credi, eh? Forse era solo perché, per una volta, ti andava di state con qualcuno che non se ne sarebbe andato con una stupida scusa. O che non si sarebbe messo a tremare come una foglia. O che non ti avrebbe guardato zitto e muto, pensando che 'Oh mio Dio: Kogane, Red, Robin Hood, il Lupo Solitario, Pugno d'Acciaio, si è seduto proprio accanto a me' o qualcosa di simile" ipotizzò Pidge.

Un soffio di vento scompigliò i capelli di entrambi, come anche le chiome degli alberelli che si trovavano nei dintorni.

Vedete, la Garrison aveva una una struttura piuttosto stramba: era una specie di città di marmo.

C'era un grande quadrato che si innalzava al cielo, che era al centro di tutto e che ospitava tutte le aule principali, gli uffici dei professori e, all'ultimo dei quattro piani, quello del preside stesso.

 Poi c'era un giardino intorno, o almeno un sentiero di mattonelle grige con erba e cespugli, tanto per far credere agli studenti che erano liberi. Una seconda cerchia di aule circondava il sentiero e la Torre Bianca (che era il nome che gli alunni avevano affibbiato al grande quadrato centrale). Ai lati della Torre, nella seconda cerchia, si trovavano le due palestre, la principale a sinistra e la secondaria a destra, con gli spogliatoi alle uscite.

Tutta la seconda cerchia aveva un corridoio che affacciava apertamente sul sentiero, ed era proprio dove si trovavano Kogane e Pidge.

"Allora è così che mi chiamano" 

Pidge si pentì di ciò che aveva detto. "Dipende dalla classe in cui vai" disse, quasi con colpevolezza. A lei avrebbe dato fastidio sapere che le altre classi le davano dei soprannomi strani.

"Tu lo sai come mi chiamo?" chiese Kogane, indifferente.

Pidge ci pensò un po' sopra, sforzandosi di cercare nei suoi cataloghi mentali il nome di quello strano ragazzo. "No. Mi dispiace" disse infine.

"Non lo sa nessuno, tranne McLain. Chi sa perché. Io non gliel'ho mai detto. Nessuno me lo ha mai chiesto"

Dei ragazzi camminavano con dei frullati con il logo della scuola sopra, ignari di quella strana coppia che se ne stava a discutere di nomi sulla panchina fuori dalla palestra.

La caffetteria si trovava nella sala mensa, nella Torre, ma era in una zona diversa dai tavoli da pranzo ed il bancone delle portate. Affiliati, c'erano dei tavolini e delle sedie in giardino; vi si trovava persino una fontana.

"Come ti chiami?" chiese Pidge.

Lui la guardò sarcasticamente; "Keith. Keith Kogane" rispose poi.

"Io sono Pidge Gunderson. Sono più piccola di te; non so neanche se ci hai mai fatto caso al fatto che frequentiamo un sacco di corsi insieme" disse lei, facendo oscillare le gambe nel vuoto che c'era tra lei ed il pavimento.

"Forse. Ma noi ci siamo già visti prima, non è così?" rispose lui, guardandola.

Lei sorrise amaramente. "Già. Mi sorprende il fatto che tu non mi odi"

Pidge iniziò il suo racconto.

"Ero al primo anno, tu al terzo. Lotor e le sue scagnozze mi avevano preso di mira. Non so tanto bene il perché. All'epoca avevo i capelli lunghi e decisamente meno lentiggini, ed ero assolutamente incapace di farmi valere; forse era per questo che mi picchiavano. Ma poi sei arrivato tu. Un giorno mi stavano mettendo alle strette per avere i miei compiti di algebra, una cosa stupida, e Lotor mi aveva presa per i capelli, li tirava e mi faceva male. Ero disperata, non sapevo che fare, ma c'era un certo alunno indisciplinato nelle vicinanze, per mia fortuna. Non ci conoscevamo. Non avevamo mai parlato prima. Ma non ti importava, mi hai aiutata lo stesso. Hai tirato un pugno a Lotor e gli hai strappato un'intera ciocca di capelli, gli hai detto che ogni singolo capello che torceva a me valeva una ciocca intera dei suoi. Ci fu una rissa ed eri da solo, ma lottasti lo stesso senza tirarti indietro. Sono stata la ragione per la quale ti hanno fatto ripetere l'anno"

Ci fu silenzio, se non delle grida provenienti dalla palestra. 

"Ricordo"

"Non ti ho mai detto grazie"
"Lo hai fatto ora"
"Grazie. Davvero"

"Non so come si deve rispondere a queste cose. Non mi avevano mai ringraziato per una cosa del genere"

"Beh" disse Pidge, con imbarazzo.

Keith non la stava guardando, fortunatamente. Se l'avesse fatto, avrebbe visto una ragazzina lentigginosa con le guance in fiamme che giocava nervosamente con un portachiavi a forma di funghetto di Super Mario.

"Potresti invitarmi a cena, no?"

"E per cosa?" chiese Keith, girando lo sguardo verso di lei, che aveva recuperato un po' di contegno.

Pidge sorrise e si alzò dalla panca. "Ma come! Non mi hai mai chiesto come stavo, dopo la rissa! Sono ancora molto arrabbiata con te"

Keith rise, scompigliandosi i capelli.

"Ma se ero io quello in infermeria?"
"Il mio era un trauma psicologico! Alle otto a casa tua, okay?" fece Pidge, prendendo le sue cose.
"Non sai dove abito" continuò lui, sorridendo con aria di sfida.
"Lo saprò dopo aver hakerato l'archivio scolastico"

"Sei terribile, Pidge Gunderson"

"Ci si vede in giro, Keith Kogane"

"A Voltron Story"Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora