19- Il Bacio

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Keith odiava le emozioni.

Erano una cosa che non capiva: funzionavano in maniera strana e facevano fare cose strane, cose che la sua mente non pensava davvero o cose che pensava, certo, ma che non avrebbe mai fatto.

Come dirglielo.

Se quelle maledette emozioni non avessero messo le mani negli affari suoi, ora molte cose sarebbero state diverse. Non avrebbe sofferto per amore, ad esempio.

Bleh, l'amore! Che cosa ripugnantemente meravigliosa. Andava e veniva a piacere, si insinuava nelle crepe delle armature che la gente si costruiva attorno, possedeva il cuore, la mente e l'anima, e faceva sentire benissimo e malissimo allo stesso tempo.

Ah, l'amore. Era forse stato lui a metterlo sulla Harley Devinson di Shiro per quella meta non troppo lontana?

Keith non lo sapeva, ma una cosa era certa: in quel momento aveva bisogno di qualcuno. Qualcuno di cui si poteva fidare ciecamente, ora che non riusciva neanche a distinguere dove finisse il cielo e dove iniziasse la terra.

Era l'una e mezza di notte e tutti dormivano, ma tanto lui sapeva che lo avrebbe sempre trovato al suo rifugio segreto.

Per un secondo, Keith sorrise.

Lance era sempre lì la sera; glielo aveva confessato dopo la domanda sul Texas, domanda che lo aveva mandato in panico e lo aveva innervosito. Se il moro poteva dire di sapere qualcosa dell'altro, era che quando si innervosiva o imbarazzava iniziava a parlare a vanvera.
Le onde del mare erano lente e pigre, e l'ispanico diceva di adorare quel suono rilassante, mentre si allenava con il canestro del Wishes's Beach.

"Keith?"

Lance gli si avvicinò, lasciando rimbalzare via il pallone.

Keith non si mosse, iniziandosi a chiedere se quella era stata una buona idea oppure una di quelle che mandavano tutto all'aria e che non facevano altro che peggiorare le cose.

Si era promesso e ripromesso che non avrebbe pianto mai più, e forse fu proprio per questo che pianse. Perché era tutto troppo per lui e dopo anni di no e di forse e di basta, era il momento di smetterla. Niente no, forse e basta, ma sì, certo, continua, continua pure a piangere.

Ma non aveva più importanza.

"Calmati, Keith, è stata una giornata faticosa. È normale. Normalissimo" disse Lance, facendolo sedere sulla sabbia.

"Normale. Cosa è più normale, adesso?"chiese Keith.

A lui la normalità piaceva: l'idea di non essere diverso, magari con una famiglia felice, tanti amici, qualche bell'hobby, un paio di sport, un posto segreto con la ragazza più dolce della scuola, bei voti; insomma, essere uno normale.
Era triste pensare che tutte quelle cose non si sarebbero mai avverate con lui.

"Non ne ho la più pallida idea. La sai una cosa assolutamente anormale? Il fatto che sei venuto da me. Non me lo dirai mai, vero? "disse Lance, poggiando la testa sulle ginocchia rannicchiate. Le stelle erano luminosissime quella sera.

"Ho paura di no"rispose Keith.

E che altro gli avrebbe potuto dire? Che lui era l'unica persona la quale fiducia era rimasta intatta, l'unica che sapeva dove trovare, l'unica che avrebbe potuto farlo sentire meglio, solo per quella notte? Era una pessima idea.

"Non importa. Infondo, tutti abbiamo dei segreti ed è giusto così. Sarebbe una tale noia se tutti sapessimo tutto di tutti. Niente segreti, niente miseri da scoprire, niente sentimenti nascosti, solo pura e cruda verità"

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